We could be from Los Angeles or the backside of Romania and the attitude of the staff would have been the same
Questa frase, tanto cara a me perché vicina al mio concetto di “MEU”, calza a pennello con questa storia che si snoda per mezza Europa.
E’ inizio dicembre ed Anna, 54 anni, accusa un dolore al petto di tipo oppressivo mentre è tornata in Romania a visita da dei parenti in un’area rurale e lontana dai principali centri del paese.
Nel locale pronto soccorso avviene il classico iter di visita, ECG, RX torace e curva troponinica: il quadro non è quello di una SCA conclamata ma comunque, date le caratteristiche del dolore e i fattori di rischio cardiovascolari, viene proposto ad Anna un ricovero per approfondire la situazione.
E qui Anna agisce d’istinto: restare nel paese che gli ha dato i natali oppure fuggire, forse incosciamente, nel paese che l’ha adottata molti anni orsono?
Neanche il tempo di rifletterci e Anna la ritroviamo seduta in sala d’attesa del nostro Pronto Soccorso.
Ad oltre duemila chilometri di distanza si ripete, come una strana litania, la medesima routine clinico – laboratoristica la cui conclusione arriva con l’osservazione in un letto dell’OBI attiguo al PS.
Come è di prassi nella nostra realtà di ospedale di terzo livello, il paziente con anamnesi di dolore toracico di verosimile origine cardiaca subisce un iter costituito da:
- Monitoraggio della curva troponinica nel tempo;
- Esecuzione di ECG seriati;
- Esecuzione di test provocativo come ECG da sforzo su cicloergometro oppure ECO stress con Dipiridamolo;
Nel caso di Anna né la curva troponinica né i vari ECG eseguiti risultano significativi, non resta quindi che aspettare il test provocativo (in questo caso l’ECG da sforzo su cicloergometro considerando la giovane età della paziente e l’assenza di limitazioni funzionali alla “pedalata”).
Ed è quando meno ci si aspetta che il responso dell’ECG da sforzo arriva pesante come un macigno: “[…] si osserva per tutta la durata del test ed anche nel periodo successivo la comparsa di un quadro elettrocardiografico compatibile con blocco di branca sinistro […]”
Panico, silenzio e sbigottimento sono i primi tre sentimenti che ci pervadono: dopo poco, come un riflesso incondizionato, si prenota un posto per eseguire una coroTC ad Anna.
E qui viene la sorpresa: in una miriade di righe e di discorsi in lessico puramente “radiologico”, si capta quell’unica frase che ci illumina, ossia “quadro strutturale compatibile con bridge miocardico sulla coronaria destra”.
La felicità per un quadro di occlusione coronarica atipico e inusuale scompare rapidamente di fronte all’enigma diagnostico – terapeutico che pone questo “bridge”.
Oh, when times get rough
And friends just can’t be found
Like a bridge over troubled water
I will lay me down
Bridge miocardico… ma cosa diavolo sei?
Definizione
Una coronaria, normalmente in sede epicardica, che invece si trovi a decorrere in maniera anomala all’interno del miocardio configura un “bridge miocardico” (MB), a sua volta distinto tra intramurale, murale o tunnelizzato.
Epidemiologia
Il MB non è una anomalia esclusivamente umana, infatti si ritrova in varie specie animali e alcune, come il coniglio (ma anche criceti e scoiattoli), hanno la sfortuna di avere l’intero circolo coronarico in una condizione di “bridge” (!)
La frequenza del fenomeno non è chiara, essendo molto più elevata nei dati autoptici rispetto ai dati derivanti dall’esperienza clinica, dove il bridge si configura come un rilievo incidentale.
Confrontando dati autoptici con dati radiologici (da coro-TC e da angiografia coronarica) si stima una frequenza di MB pari a 1 adulto ogni 3.
Anatomia patologica
Circa ¾ dei casi sono rappresentati da bridge superficiali (bridge posto ad angolo retto o acuto rispetto alla coronaria) e il restante ¼ dei casi è invece dato da bridge profondi (con decorso trasversale, obliquo o elicoidale rispetto all’arteria): 2 mm è il cut – off per la distinzione tra MB superficiali e MB profondi.
L’ arteria interventricolare anteriore (IVA) è il vaso più comunemente interessato dal bridge (in genere nella sua porzione intermedia) e, in generale, i rami coronarici del settore sinistro sono più frequentemente “coperti” da bridge rispetto alla circonflessa e alla coronaria destra (dove il bridge è poco comune).
Lo studio di Rozenberg and Nepomnyashchikh (2002) ha rilevato che, suddividendo ogni coronaria in 4 segmenti, se il bridge è posto sul secondo segmento allora il circolo collaterale che si formerà sarà maggiore rispetto a un bridge sulla prima parte dell’arteria; se invece il bridge è sul terzo segmento allora abbiamo il rischio potenziale di avere un “furto” del flusso (flusso retrogrado).
Fisiopatologia
Sul piano fisiopatologico sono stati proposti due meccanismi alla base della sintomatologia rilevata:
- Compressione del bridge sulla coronaria durante la sistole cardiaca che perdura fino a parte della diastole (compressione che tra l’altro aumenta utilizzando vasodilatatori come la Nitroglicerina);
- Anomali profili di flusso dati dall’incremento delle velocità nel vaso soggetto a bridge;
E’ chiaro ormai che l’alterazione fisiopatologica prodotta dal MB sia non più solamente confinata alla sistole ma “sconfina” anche nella diastole: tale fenomeno è ulteriormente aumentato in caso di prevalenza del tono simpatico sul cuore, come accade per esempio nell’esercizio o infondendo Dobutamina.
D’altro canto non bisogna dimenticare che il bridge è un elemento potenzialmente pro – aterogeno: circa la metà dei pazienti sintomatici con rilievo di tali anomalie hanno infatti lesioni aterosclerotiche, principalmente per settori vasali con flusso ridotto, oscillatorio e/o invertito.
Sembra inoltre che se è la coronaria destra ad essere interessata dal bridge, questa sia più soggetta al rischio aterogeno.
Ne nasce quindi un aumentato rischio di sviluppare un infarto tipo 1 da una placca originariamente nota per la presenza di un bridge: sembra che più è prossimale la placca più è alto questo rischio (probabilmente per lo sviluppo di un ridotto circolo collaterale).
Analogamente soggetti deceduti per la cosidetta “morte cardiaca improvvisa” (MCI) talora hanno mostrato un quadro di bridge miocardico sul tavolo autoptico.
Alla base della MCI nel paziente con bridge vi sono fattori di rischio distinti tra:
- fattori di rischio condizionali, come ipertrofia cardiaca, aterosclerosi coronarica o malattie dei canali ionici;
- fattori di rischio scatenanti, come ischemia acuta o cambi repentini di tipo autonomico
Clinica
I sintomi clinici datidal MB sono angina o suoi equivalenti: più raramente troviamo aritmie indotte dall’esercizio, sindrome di Wellens, Takotsubo…
La variabilità e la severità dei sintomi cambia a seconda del difetto anatomico alla base: in particolare giocano un ruolo rilevante la dimensione cardiaca, la sua frequenza, la dominanza coronarica e se il paziente ha rischio di sviluppare lesioni aterosclerotiche.
Un elemento rilevante è il dato “sintomo ischemico” nel paziente giovane senza fattori di rischio cardiovascolari come diabete, malattia renale cronica e pregresso IMA/PCI.
L’unico fattore di rischio frequentemente rilevato in tali pazienti è il fumo: elemento questo, che sembra favorire per sua natura lo spasmo coronarico.
Un ulteriore elemento caratteristico della clinica anginosa del MB è il peggioramento della sintomatologia qualora venga somministrato un nitrato al paziente (infatti si prolunga la compressione sistolica del vaso “sotto” il bridge e si vasodilata il restante circolo coronarico favorendo fenomeni da “furto” di flusso).
In generale possiamo dire che la sintomatologia da MB è più probabile che sia una angina instabile rispetto a una SCA con movimento delle troponine (sia essa uno STEMI o un NSTEMI).
Diagnostica
Molte sono le indagini diagnostiche studiate nel visualizzare il MB, ci soffermeremo su quelle meno “di nicchia” e potenzialmente disponibili rapidamente:
- Ecocardiografia da stress, dove è diagnostica una ipocinesia segmentale durante stress; nonostante sia una tecnica ampiamente disponibile, richiede mdc ecografico e non fornisce un dato anatomico oggettivabile;
- Angiografia coronarica, malgrado sia un esame invasivo, permette di quantificare anatomicamente il MB col “milking effect”; la nitroglicerina favorisce l’identificazione del MB prolungando il vasospasmo;
- Coro – TC , è forse l’esame più completo potendo misurare il MB e fornire, nel contempo, l’immagine di eventuali placche aterosclerotiche e la profondità della sede del MB;
- RM cardiaca, individua il MB laddove si osserva un difetto di perfusione segmentale;
Altre tecniche potenzialmente utilizzabili sono l’intravascular ultrasound, la PET e la SPECT.
Terapia
Gran parte delle conoscenze in merito alla gestione terapeutica nel MB si devono a uno studio fatto da Schwartz et al (2009) suddividendo i pazienti con MB sulla base delle caratteristiche della lesione stessa, della sintomatologia associata e della sua gestione in un follow – up di 5 anni.
La terapia è dapprima medica (β bloccanti e Calcio antagonisti per i loro effetti inotropo e cronotropo negativi) e, successivamente chirurgica in caso di insuccesso della terapia conservativa.
E’ possibile la miotomia del bridge (in genere in casi di malattia isolata o unico bridge) fermo restando che si possono avere rischi quali ischemia localizzata (per riorganizzazione del flusso), aneurismi murali, perforazione del ventricolo destro oppure la creazione di una cicatrice chirurgica che, a lungo andare, agisce paradossalmente come un bridge sui vasi limitrofi.
Il bypass è indicato nel bridge profondo dove la ricerca dell’arteria e l’incisione sarebbero procedure troppo pericolose.
Lo stent del segmento “intrappolato” dal bridge è possibile, sebbene resti un certo grado di rischio di restenosi che, secondo alcuni autori, risulta addirittura maggiore rispetto a pazienti sottoposti a stent per malattia aterosclerotica.
Ed Anna?
Dopo un veloce consulto col Cardiologo di guardia, la paziente è stata dimessa con terapia medica adeguata (antipertensiva e ipolipemizzante) e con indicazione a rivalutazione internistica per adeguato controllo pressorio.
Like a bridge over troubled water
I will ease your mind
Bibliografia
- Loukas M, Von Kriegenbergh K, Gilkes M, Tubbs RS, Walker C, Malaiyandi D, Anderson RH. Myocardial bridges: A review. Clin Anat. 2011 Sep;24(6):675-83. doi: 10.1002/ca.21150. Epub 2011 Jul 12. PMID: 21751254.
- Sternheim D, Power DA, Samtani R, Kini A, Fuster V, Sharma S. Myocardial Bridging: Diagnosis, Functional Assessment, and Management: JACC State-of-the-Art Review. J Am Coll Cardiol. 2021 Nov 30;78(22):2196-2212. doi: 10.1016/j.jacc.2021.09.859. PMID: 34823663.
- Rogers IS, Tremmel JA, Schnittger I. Myocardial bridges: Overview of diagnosis and management. Congenit Heart Dis. 2017 Sep;12(5):619-623. doi: 10.1111/chd.12499. Epub 2017 Jul 3. PMID: 28675696.
- Hostiuc S, Negoi I, Rusu MC, Hostiuc M. Myocardial Bridging: A Meta-Analysis of Prevalence. J Forensic Sci. 2018 Jul;63(4):1176-1185. doi: 10.1111/1556-4029.13665. Epub 2017 Oct 16. PMID: 29044562.
- Rozenberg VD, Nepomnyashchikh LM. Pathomorphology of myocardial bridges and their role in the pathogenesis of coronary disease. Bull Exp Biol Med. 2002 Dec;134(6):593-6. doi: 10.1023/a:1022977515696. PMID: 12660846.
- Schwarz ER, Gupta R, Haager PK, vom Dahl J, Klues HG, Minartz J, Uretsky BF. Myocardial bridging in absence of coronary artery disease: proposal of a new classification based on clinical-angiographic data and long-term follow-up. Cardiology. 2009;112(1):13-21. doi: 10.1159/000137693. Epub 2008 Jun 25. PMID: 18577881.