
Con un gesto ormai automatico apro il rubinetto, bagno bene le mani, inizio ad insaponarle, a strofinare accuratamente le dita in tutta la loro superficie, una per una.
Mi viene quasi voglia di attaccare a cantare “Happy birthday to you ! “ come l’ipocondriaco protagonista di “Basta che funzioni “. Che stia diventando come lui ?

“Da quando è cominciata questa storia del coronavirus qui abbiamo tutti la tosse secca e la diarrea”, mi scrive un collega di Pronto Soccorso in uno dei tanti gruppi whatsapp fioriti in questi giorni.

Come è il vostro sonno notturno ?
Il mio ?
… una vera schifezza…

L’altro giorno, mentre ero in fila al distributore di divise, ho sentito un gruppo di colleghi fare a gara a chi avesse fatto l’incubo peggiore.
C’era chi andava sul classico ed aveva ripreso a sognare di cadere nel vuoto, qualcun altro ha raccontato di aver vissuto l’incubo di vedere i propri familiari su una barca in balia delle onde e non poter far nulla per aiutarli, c’era poi chi si era svegliata di soprassalto pensando di essere entrata in una stanza Covid senza i dispositivi di protezione.
Non credo serva leggere Freud per interpretare questi sogni.

La notizia del suicidio di due infermiere dedicate alla cura dei pazienti Covid nei giorni scorsi , nonostante il grido delle associazioni professionali, è passata quasi inosservata, triturata tra la miriade di cifre e notizie sciorinata ad ogni ora dai media.
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Quale è il prezzo psicologico che noi sanitari stiamo pagando a questa emergenza ?
E soprattutto, quale è il prezzo che pagheremo ?

“Emergono dati preoccupanti riguardo il benessere psicologico di medici e infermieri coinvolti nella gestione dell’epidemia di COVID-19” scrive il gruppo di lavoro guidato da Jianbo Lai, della Zhejiang University School of Medicine di Hangzhou, Cina.
E’ il commento finale ad una survey condotta in Cina, tra il 29 gennaio e il 3 febbraio, su 1257 operatori sanitari coinvolti nella gestione dell’emergenza COVID-19. I dati sono alquanto sconfortanti: circa il 50% ha riportato almeno una lieve depressione; Il 14% dei medici e quasi il 16% degli infermieri hanno riportato sintomi depressivi moderati o gravi e circa il 34% ha riferito insonnia. Circa il 72% ha riferito una qualche forma di disagio psicologico.
Tra i soggetti a maggior rischio di sintomi depressivi e di ansia c’erano le donne in particolare quelle che hanno operato al centro dell’epidemia di Wuhan.
Sempre nelle conclusioni gli autori ribadiscono che la protezione degli operatori sanitari è una componente importante delle misure di sanità pubblica per affrontare l’epidemia di COVID-19. Interventi speciali per promuovere il benessere mentale negli operatori sanitari esposti al COVID-19 dovrebbero essere immediatamente attuati.
A conclusioni analoghe giungono anche i gruppi di Li e quello di Xiao in altri due studi recentemente pubblicati.
La consapevolezza di quello che sta accadendo
La pandemia covid-19 sta mettendo gli operatori sanitari di tutto il mondo in una situazione senza precedenti. A molti è già toccato, ad altri molto probabilmente toccherà prendere decisioni complesse, impossibili da pensare solo fino a pochi giorni fa. Tutti stiamo lavorando sotto pressioni estreme. Quanto sta accadendo è sotto gli occhi di ognuno di noi.
Si lavora su un equilibrio fragile con pazienti spesso critici ed altamente bisognosi di cura ai quali riusciamo a garantire un contatto minimo, ridotto all’osso, quasi disumanizzante a causa del timore del contagio.
Si lavora con l’ansia dell’esaurimento delle risorse a disposizione, la paura del collasso del sistema e la consapevolezza che potrebbe capitare di dover affermare di aver fatto del nostro meglio con il personale e le risorse disponibili, ma non è stato abbastanza.
L’organizzazione degli ospedali è completamente stravolta.
Quando si è in servizio nel settore COVID il lavoro è complicato, nuovo, ma nello stesso tempo alienante, perché drammaticamente ripetitivo ed uguale a se steso, più che mai dettato dai tempi dell’emergenza e del sovraffollamento.
Le procedure di vestizione e svestizione dei DPI (per chi ne ha a sufficienza) sono lunghe e laboriose e volente o nolente ti trattengono più tempo al lavoro.

Gli stessi DPI ti rendono faticoso il lavoro, complicano la comunicazione.
I turni di lavoro si moltiplicano per coprire esigenze di servizio ed i colleghi malati o in quarantena.
Molti colleghi hanno attuato una qualche forma di isolamento volontario, allontanandosi dalle famiglie, perchè se il timore del contagio è in qualche modo accettabile per se stessi, è inaccettabile diventare un untore.
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Diciamolo chiaramente ci sono tutti gli elementi per creare situazioni esplosive di stress-lavoro correlato: orari di lavoro prolungati, responsabilità schiaccianti, mancanza di una chiara descrizione dei compiti da svolgere, la scarsa comunicazione, lavorare in aree che non sono sicure, timore per i propri cari
Il tutto in un contesto sociale, quello del distanziamento sociale, che isola, annulla ogni relazione sociale, modifica fortemente le dinamiche familiari dalla gestione dei figli a quella dei familiari anziani.
Stiamo tutti feriti nell’animo… e come riportato da un recente articolo pubblicato si BMJ potremmo essere potenzialmente vittime di Moral Injury
La Moral Injury nei giorni del COVID

La moral injury è una terminologia di origine militare definita come il disagio psicologico che deriva da azioni, o dalla loro mancanza, che violano il proprio codice morale.
A differenza delle condizioni di salute mentale formali come la depressione o il disturbo post-traumatico da stress non è una malattia mentale.
Chi sviluppa Moral injury prova pensieri negativi su se stesso o sugli altri, così come intensi sentimenti di vergogna, inadeguatezza, rabbia, colpa, disgusto. Questi sintomi possono contribuire allo sviluppo di disturbi mentali, tra cui depressione, disturbo da stress post-traumatico e persino ideazione suicidaria.
Di questo occorre prendere coscienza perchè è vero che stiamo tutti facendo un lavoro importante ed essenziale, ma ricordiamo che per continuare ad AIUTARE è necessario imparare ad AIUTARSI.
Esistono individui che di fronte a sfide significative, morali o traumatiche, sperimentano un certo grado di crescita post-traumatica, ossia sono in grado di avere un rafforzamento della resilienza psicologica, dell’autostima, delle proprie prospettive e valori dopo l’esposizione a situazioni altamente difficili.
Esiste chi è per sua natura in possesso di strategie di adattamento chiamate condotte di coping che ci permettono di ridurre o tollerare lo stress emotivo nel situazioni più svariate, ma purtroppo non è un dono di tutti.
Studi sulla moral injury in corso di disastri naturali hanno evidenziato come la tenuta psicologica degli operatori è probabilmente influenzata dal modo in cui si è supportati prima, durante e dopo un evento traumatico.
Imparare ad AIUTARSI

Nel nostro piccolo dovremmo provare ad usare le nostre strategie positive e ad evitare quelle negative.
Questo ci aiuterà a sentirci più forti e a riacquisire il senso di controllo.
Ognuno di noi dovrebbe cercare di prendersi del tempo per se stesso: mangiare adeguatamente, riposare e rilassarsi, anche solo poco tempo.
Cerchiamo di mantenere un monte ore ragionevole, per evitare di sfinirsi perchè la lotta al coronavirus sarà purtroppo lunga.
Nei limiti del possibile continuiamo ad avere cura del nostro corpo e fare esercizio fisico, anche in casa.
Anche nella condizione di isolamento forzato, è importante combattere la solitudine e continuare a parlare.
Evitiamo di isolarci, ed anche se è più complicato in questi giorni di distanziamento sociale e superlavoro, sforziamoci di trovare il tempo per telefonare ad un amico, parlare con i propri cari o altre persone di cui ci si fida per ricevere sostegno.
Allo stesso modo cerchiamo di fare ancora quelle attività che aiutano a rilassarsi (camminare, cantare, leggere, pregare, giocare con i bambini).
Chi lavora con noi vive i nostri stessi sentimenti, ha le nostre stesse paure, chiediamo al nostro collega come sta, raccontiamogli come ci sentiamo e troviamo il modo di sopportiamoci a vicenda.
Cerchiamo di conservare un nostro angolo di bellezza perchè è quello che ci salverà e ci permetterà di continuare ad AIUTARE chi ha bisogno di noi.

FARSI AIUTARE
Le emozioni sono importanti, non vanno mai sottovalutate e dobbiamo prendercene cura come si fa con il corpo. Per quanto possa essere normale sentirsi tristi, stressati, confusi o spaventati in un momento come quello che stiamo vivendo è importate dare ascolto alle nostre emozioni e capire quando stiamo per essere sopraffatti, quando è il momento di FARSI AIUTARE.
Fortunatamente si stanno mettendo in campo a livello nazionale e locale diverse iniziative per il supporto psicologico agli operatori sanitari coinvolti nell’emergenza Covid.
Cito le più importanti:
- Il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop), che ha istituito un motore di ricerca (accessibile dal sito Cnop) per prenotare un teleconsulto gratuito con lo psicologo che si trova più vicino a noi;
- il servizio di ascolto e consulenza telefonica della Società psicanalitica italiana (Spi);
- La Croce Rossa Italiana al numero 065510 riservato agli operatori sanitari.
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Purtroppo esiste ancora una stigmata da parte degli operatori sanitari alla richiesta di supporto psicologico, riuscirà l’emergenza Cornavirus a farcela superare ?
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BIBLIOGRAFIA