
12 maggio: Giornata Internazionale dell’Infermiere.

Per celebrare la Giornata Internazionale dell’Infermiere ho intervistato Harriet. Ritengo che sia un esempio ammirevole per accompagnarvi nella scoperta degli Advanced Nurse Practitioners (ANP).
Ma prima un po’ di storia della medicina.
L’infermieristica moderna nasce per mano di Florence Nightingale (Firenze, 12 maggio 1820 – Londra, 13 agosto 1910) [1]. Nel 1974 l’International Council of Nurses (ICN) sceglie il 12 maggio, giorno della nascita di F. Nightingale, come data celebrativa per il Giorno Internazionale dell’Infermiere [2].

La mamma dell’infermieristica moderna.
F. Nightingale, di nazionalità britannica, prende parte alla Guerra di Crimea (ottobre 1853 – febbraio 1956) nel 1854 [3]. Raggiunge la città di Scutari assieme ad altre 38 infermiere volontarie da lei stessa formate alla professione [1]. Una volta sul campo, constata le disastrose condizioni igieniche nelle quali i soldati britannici venivano curati. I decessi per patologie endemiche come tifo, febbre tifoide, colera e dissenteria erano dieci volte superiori rispetto alle morti per ferite da guerra [4].
La rivoluzione ha inizio.
F. Nightingale impone misure radicali di igiene e sanificazione. Comprende che la malnutrizione, l’assenza di condizioni igieniche e gli scarichi fognari inadeguati costituivano il problema principale. In aggiunta all’introduzione di tali misure preventive, le vengono riconosciute l’abilità di guidare e organizzare il suo gruppo di lavoro. Questo ha contribuito a dipingerla come una donna intelligente, determinata e da un’esemplare capacità professionale [4].

La maturazione dell’infermieristica moderna è legata alle sue origini territoriali: l’Inghilterra rappresenta tutt’oggi un punto di riferimento.
Ma è proprio così?
Pur avendo un’esperienza diretta in campo inglese dal 2015, mentirei se descrivessi il mondo dell’infermieristica britannica in maniera univoca. Come in ogni ambito umano, anche la mia professione non può essere ridotta a dinamiche semplicistiche. Posso affermare con positività che sul territorio inglese vi sono ruoli infermieristici che vantano un progresso professionale avanzato. É possibile sovrapporre gran parte delle loro competenze a quelle mediche.
Come infermiera, riconosco il valore e l’unicità di un medico forte della sua formazione ed esperienza. Seguendo una dinamica di reciprocità, ritengo che anche i medici possano comprendere che infermieri con un elevato livello educativo e rilevanti esperienze professionali possano apportare un valore essenziale all’esperienza dei pazienti. Medici e infermieri, assieme alle numerose figure che danno corpo alla Sanità, condividono un obiettivo comune imprescindibile: il benessere della persona assistita.

I risultati migliori vengono raggiunti collaborando e ponendo al centro l’interesse dei nostri pazienti. In questa prospettiva, i limiti tra le differenti figure professionali vengono abbattuti, ed è questo l’obiettivo a cui bisogna tendere.
Ed eccoci ad Harriet, Advanced Nurse Practitioner (ANP) trainee.

Gli ANP costituiscono il più elevato avanzamento di carriera infermieristica in ambito clinico; su una linea parallela, è anche possibile una progressione professionale in senso manageriale. Trovo ancor oggi straordinario come l’Health Education England (HEE) – parte del National Health Service (NHS, il Sistema Sanitario Inglese) – abbia sostenuto il progresso della professione infermieristica a tal livello [5].
Chi è Harriet?

Harriet, 34, nazionalità britannica. La si riconosce nei corridoi per sua figura minuta e al contempo slanciata. Nella sua semplicità, offre sempre un’immagine impeccabile. Non nega mai un sorriso e ogni confronto verbale è sempre un momento costruttivo. Si esprime con un linguaggio chiaro e diretto, poco macchiato dallo slang. Non si tira mai indietro dall’offrire il suo aiuto e non lascia scappare occasione per rinforzare la professionalità dei suoi colleghi. Offre consigli, lunghe chiacchierate e organizza momenti di insegnamento vero e proprio.
Raccontami brevemente delle tue origini.
Sono cresciuta in una cittadina a circa un’ora da Londra. Ho lasciato casa giovanissima, iniziando a lavorare come healthcare assistant (HCA) in una residenza per anziani per potermi sostenere economicamente. Nel 2008 ho intrapreso il diploma of higher education in Infermieristica. Il vantaggio di questo percorso era che, essendo finanziato dal governo, ricevevo una borsa di studio che copriva buona parte delle mie spese. Ho comunque dovuto proseguire a lavorare part-time come HCA mentre studiavo.
Quindi, una volta infermiera…
La mia passione per l’emergenza nasce dai tempi in cui ero studentessa in tirocinio in A&E [Accident & Emergency: l’equivalente del Pronto Soccorso italiano, ndr], dove ho immediatamente iniziato a lavorare come infermiera nel 2010.

Nel 2014 ho richiesto un’interruzione di carriera per imbarcarmi come medical officer a bordo di una nave da crociera. Sono rientrata a casa dopo un anno, forte della mia esperienza in nave. Avevo assistito pazienti acuti – tra cui un arresto cardiaco evacuato con l’elicottero e un paziente intubato per 3 giorni prima di poterlo trasferire -. Avevo anche ampliato conoscenze di sanità pubblica – epidemie di gastroenteriti – e aumentato la mia sicurezza nella pratica infermieristica autonoma trattando traumi minori.
Ho presto ottenuto la posizione da Nurse Team Leader (NTL) in A&E, iniziando anche il corso come Emergency Nurse Practitioner (ENP).

Nel 2018 sono poi diventata Nurse Team Manager (NTM), sempre in A&E. Lavoravo anche come ENP, gestendo in totale autonomia professionale i traumi minori. Poco prima del Natale 2019 sono entrata nel corso da ANP in Frailty [geriatria, ndr], sempre finanziato dall’Azienda Ospedaliera per cui lavoro. Il corso sarebbe dovuto iniziare nel marzo 2020. Il covid ha causato la sospensione del corso fino a settembre 2020. In quei mesi sono stata “trattenuta” in A&E come team manager.
In questo momento sono ancora in fase di training, seppur già lavori nel mio ruolo in base alle competenze acquisite finora. Certo, dopo 10 anni di emergenza, spostarsi in geriatria è un gran cambiamento, però è stata una scelta maturata con l’esperienza in A&E e ne sono felicissima.
C’è stata qualche esperienza specifica che ha influito sulla decisione di spostarti in ambito geriatrico?

Ho letto recentemente un’intervista sulla medicina geriatrica che trovo molto interessante. Spiegava come un’alta percentuale dei primari di geriatria scelgano di specializzarsi in quest’area piuttosto tardi nel corso della loro carriera. Credo si tratti di una sorta di proiezione, come un segno di maturità. Certamente questo è valido per me. Ho assistito 3 dei miei nonni al termine della loro vita e ho maturato il desiderio di diventare parte di un sistema che fornisse assistenza di ottima qualità per gli anziani.
Quindi di cosa si occupa un Advanced Nurse Practitioner (ANP) in generale?
Nel 2017 l’NHS England ha stilato un documento in cui regolava la figura dell’ANP. L’obiettivo era di unificare la pratica su base nazionale. Già da tempo gli infermieri avevano la possibilità di progredire nella loro carriera acquisendo autonomia, come ad esempio succede per gli ENP. Fino ad allora questi ruoli non erano stati ben definiti, perciò c’era grande varietà in termini di competenze specifiche.

Questo documento del 2017 dichiara che tutti gli ANP devono aderire a un percorso formativo universitario di secondo livello. La differenza tra gli ANP e gli infermieri specializzati è che gli ANP seguono una formazione più generica e di più alto livello. In tal modo possono trasferire le loro conoscenze su differenti aree, diversamente dagli infermieri specializzati che invece si focalizzano su un singolo ambito.
Pensa ad esempio alle comorbilità e alla polifarmacologia tipiche della geriatria: coprono uno spettro molto ampio. Oppure agli ANP in A&E, che vedono sia presentazioni chirurgiche che mediche. Una volta qualificati, gli ANP sono autonomi nel processo decisionale.
Come descriveresti le tue competenze professionali?
È difficile descriverlo dettagliatamente poiché è un ruolo in fase di sviluppo nella nostra Azienda Ospedaliera al momento. Il Frailty Team è stato dislocato in aree differenti dell’ospedale a causa del covid e perciò l’attività della clinica è stata ridotta. Lavoriamo a stretto contatto con servizi di comunità, infermieri, medici, assistenti sociali, fisioterapisti, farmacisti e terapisti occupazionali.
Capacità comunicative di avanzato livello sono fondamentali per migliorare gli outcome per i nostri pazienti. La nostra attività ci permette di riconoscere in sicurezza quali persone possano essere gestite in ambulatorio, e quali invece necessitano di essere ricoverate.
Posso richiedere e valutare test diagnostici, il che mi permette di prendere decisioni cliniche in autonomia.
In quale maniera?
Il Comprehensive Geriatric Assessment (CGA) racchiude una valutazione medica, funzionale, psicologica e sociale. Per quanto richieda molto tempo e risorse, il CGA è il Gold Standard in geriatria.
È stato provato che il CGA riduca la mortalità. Ad esempio, ai pazienti anziani viene spesso erroneamente attribuita una diagnosi di demenza invece che riconosciuto uno stato di delirium. In questo modo, vengono dimessi dall’ospedale in modo inappropriato [6].
Ciò che trovo soddisfacente, rispetto a quando lavoravo in Pronto Soccorso, è che ora ho più tempo per la valutare i pazienti e per discutere con i loro familiari. Avendo più tempo a disposizione, posso eseguire una valutazione piò approfondita, rendendo la mia pratica più sicura e prevenendo il rischio di eseguire una diagnosi errata.

Puoi darmi un altro esempio di come un ANP lavora in ambito geriatrico?
Pensa ai pazienti con ipotensione ortostatica. Talvolta hanno solamente bisogno di una modifica al loro regime terapeutico, ma possono comunque essere dimessi a casa in sicurezza. Un ANP può valutare il paziente e modificare la sua terapia [farmacologica] in autonomia, per poi monitorare l’intervento terapeutico nell’ambulatorio di geriatria.

Molto interessante, Francesca! Grazie per il tuo contributo. Complimenti a chi come Harriet è riuscito/a a conciliare lavoro, famiglia, vita privata con una pandemia!
Ciao Cristina, sia Harriet che EMPills Blog ti ringraziano il tuo commento!
La pandemia da covid-19 è una situazione che – nel suo carattere tragico – raccoglie eccezionalmente l’intera popolazione mondiale. Essa ha comportato profondi cambiamenti nella vita di ciascuno di noi.
Sono grata ad Harriet per aver descritto con semplicità e apertura la sua esperienza personale. Le sue parole sono indicative di come avere un forte sistema di supporto (Harriet, ad esempio, cita in diversi momenti Uros, suo marito) costituisca un fattore fondamentale per poter riuscire a gestire anche le situazioni più difficili e inaspettate.
Ricordiamoci che non siamo mai soli. Poter chiedere aiuto non è indicativo di debolezza, bensì della consapevolezza che famiglia, amici o professionisti sapranno sempre tenderci una mano per aiutarci a rialzarci.
Un percorso lungo, complicato ma molto appagante! Se volete posso condividere con voi il mio percorso che tra qualche mese si concluderà, spero, per diventare advanced critical care practitioner!
Ciao Marco, grazie per il commento!
Prego, raccontaci pure della tua esperienza, siamo tutt’occhi! 😉
Articolo molto interessante., dettagliato, storicamente ineccepibile.
Ciao Graziano.
Grazie mille per essere un lettore affezionato!
L’esperienza di Harriet ci mostra come l’ambiente in cui si sviluppa un professionista fa la differenza per la nostra soddisfazione personale.
Vorrei che passasse proprio questo messaggio (che immagino condividerai con me): il riconoscimento e il rispetto reciproco sono la chiave per dar vita ad un luogo sereno e funzionale, dove il benessere dei nostri assistiti è realmente il punto focale della nostra organizzazione.
Grazie Francesca per aver condiviso l’esperienza di Harriet!
Speriamo finiscano le gelosie professionali tra medici e infermieri (vedi Bologna, e ora Toscana) e si possa finalmente realizzare la nostra professione nell’interesse dei pazienti!
Ciao Francesco, grazie per il commento!
I cambiamenti socio-culturali richiedono inevitabilmente lunghi periodi. Riconosco che il percorso di studi in medicina impegni per almeno una decina d’anni, con indubbio (e per me inimmaginabile) dispendio di risorse. Probabilmente c’è chi riduce le competenze professionali infermieristiche alla “sola” triennale, senza avere esperienza diretta di quanto quei tre anni di università implichino. Va aggiunto, inoltre, che seppure non formalmente riconosciuto in termini contrattuali, anche l’Italia offre percorsi formativi post-laurea in cui approfondire le nostre competenze pratiche e cliniche.
Il passaggio successivo potrebbe probabilmente essere questo, ovvero il riconoscimento contrattuale di competenze tecniche specifiche e avanzate in ambito infermieristico. Nel mondo occidentale, quello che costa di più è direttamente legato a una maggiore valorizzazione – qualsiasi oggetto assume maggior fascino in relazione al suo valore di mercato -. Forse allora è proprio quello di cui c’è bisogno: oggettivare la competenza professionale specifica, di modo da poter essere riconosciuti e non combattuti.
Mi chiamo Antonio e sono medico specializzando in Germania.
Grazie per l’articolo, interessantissimo, avevi già descritto in un altro articolo la struttura del sistema infermieristico inglese, molto interessante, chissà se e quando arriverà nel resto d’Europa, soprattutto in Paesi in cui si diventa infermieri con un corso non universitario e ci si concentra sull’eseguire.
Volevo riflettere sul tema infermiere che “sostituisce” il medico: d’accordissimo in emergenza ed in tutte le sfide cliniche con pattern ripetibili, io cerco al contrario a volte di ridurre il carico di lavoro degli infermieri se tempo ed opportunità lo consentono, ma credo bisogna lasciare ad entrambe le figure autonomia altrimenti a mio avviso il rischio è l’appiattimento, la diversità di visuali spinge a ricercare i migliori approcci o terapie diverse, il COVID ha insegnato a molti medici come sia duro girare un paziente intubato e a molti infermieri quanta sensibilità ci voglia per fare diagnosi ad esempio
Ciao Antonio, grazie mille per esporti e validare i temi che ho trattato!
Sono pienamente d’accordo sul sostenere che, per quanto sia i medici che gli infermieri possano sviluppare competenze avanzate, sia necessario preservare le proprie peculiarità professionali.
Proprio in questa prospettiva, vorrei condividere uno dei messaggi più forti che ho ricevuto ai tempi universitari. Nel porre a paragone i medici con gli infermieri, un docente di infermieristica aveva espresso un concetto molto semplice. Il medico guarda il paziente in termini diagnostici (con l’obiettivo di individuare il problema di salute), mentre l’infermiere proietta la persona secondo un concetto di autonomia. I questo senso le due figure professionali si rafforzano reciprocamente, e a beneficiarne maggiormente sono proprio i nostri pazienti.
Ciao Francesca,
Senz’altro molto interessante. Metti a conoscenza gli italiani di un mondo (sanità e A&E) che in Italia è ben diverso dal contesto in cui lavori.
Non ho conoscenze in tale campo, perciò ben lungi da me esprimere un giudizio. ma dalla mia hai tutta la mia stima per ciò che hai fatto sinora e che sicuramente continuerai, d’altronde quella di Harriet è un po’ anche la tua storia.
Ciao Antonio, grazie mille per questo commento così sincero!
Apprezzo moltissimo vedere che quest’intervista sia arrivata anche a chi di organizzazione e gestione in ambito ospedaliero non ha esperienza diretta.
Continua a seguirci!