Questo è un periodo di incertezze e confusione, almeno questa è la mia impressione. Anche cose che davamo per scontate come l’uso dell’ossigeno nell’infarto e dell’adrenalina nell’arresto cardiaco vengono messi in discussione. All’opposto nuove soluzioni vengono pensate e proposte: è il caso dell’uso dei beta bloccanti in pazienti vittime di arresto cardiaco con cosiddetti ritmi defribillabili: tachicardia e fibrillazione ventricolare.
Sta per essere pubblicato su Resuscitation una revisione sistematica dal titolo: Use of beta-blockers for the treatment of cardiac arrest due to ventricular fibrillation/pulseless ventricular tachycardia: A systematic review.
Il presupposto teorico si basa ancora una volta sulla discussione riguardo all’utilità dell’adrenalina nel’arresto cardiaco. Questa infatti se da un lato attraverso il suo effetto alfa – adrenergico permetterebbe quel minimo aumento della perfusione coronarica che renderebbe possibile la defibrillazione dall’altro, attraverso l’effetto beta stimolante determinerebbe un aumento del consumo di ossigeno ed una ridotta perfusione del subendocardio con conseguente disfunzione miocardica e sviluppo di tachicardie ventricolari da rientro.
Gli autori hanno così esaminato utilizzando Medline gli studi in cui i betabloccanti erano stati utilizzati durante la rianimazione cardiopolmonare. I termini MESH utilizzati sono stati [(“tachycardia, ventricular” OR “ventricular fibrillation” OR “resuscitation”) AND “adrenergic beta-antagonists”] e sono stati trovati 1153 articoli. Alla fine sono stati considerati infine 24 lavori: 12 studi sugli animali , 10 case reports e 2 studi sull’uomo.
I betabloccanti utilizzati sono stati principalmente: propranololo ed esmololo ed in minor misura atenololo e carvedilolo.
Gli studi sugli animali sembrerebbero suggerire che questi farmaci possano trovare spazio potenziale nell’algoritmo ALS, purtroppo ci solo due studi sull’uomo e sono di basso potere statistico, i restanti dati in letteratura risultano basati su case reports . Nella maggior parte dei casi comunque il beta bloccante era in grado di revertire la fibrillazione ventricolare in pazienti con infarto miocardico acuto ma non aveva effetto sulla sopravvivenza.
le conclusioni degli autori sono abbastanza scontate ed anticipate da una precedente revisione della letteratura pubblicata sempre su Resuscitaion nel 2007 beta-Blockers for the treatment of cardiac arrest from ventricular fibrillation?: sono necessari ulteriori studi sull’uomo in grado di confermare quello che in teoria sembrerebbe offrire una promettente strategia terapeutica.
Nel frattempo meglio continuare ad affidarci a quello che più di tutto è in grado di salvare delle vite: la rianimazione cardiopolmonare, quindi push hard and fast.