Conflitto di interessi o pura competenza
Non sono un esperto di gestione delle vie aeree, competenza di base o avanzata. Sono un medico di pronto soccorso, che ha provato tramite corsi, a crearsi una sua competenza, purtroppo sempre frustata da un sistema e da una realtà lavorativa italiana ospedaliera, in cui la gestione delle vie aeree a torto o a ragione, è di competenza e pratica rianimatoria esclusiva.

Io non ne faccio una questione di etichetta. Ma sento la necessità di farne un discorso di sicurezza lavorativa per chi lavora e per chi viene assistito. Non penso sia sicuro, efficiente ed efficace una realtà in cui chi lavora in pronto non possa considerarsi sicuro nel gestire le vie aeree. Perchè a tutti capiterà prima o poi la propria signora Saufia.
Saufia
Saufia quel giorno aveva particolarmente fame. Era felice, senza una motivazione precisa. Le noccioline offerte dall’amica erano invitanti, non le aveva mai mangiate, tantomeno con quella salsa. Cavolo se erano buone, peccato che la gola non lo pensava allo stesso modo. Inizia ad arrabbiarsi, ad irritarsi, a lamentarsi. Il prurito inizio a diventare sempre maggiore ed anche la cute sembra inizia a sfogare la sua rabbia con un colore rosso fuoco. Saufia inizia a sentire caldo, un caldo che la opprime. L’amica compone il numero del 112 e l’intervento è immediato. La reazione allergica è certificata dal personale sanitario, che iniziano la terapia standard: steroide ed antistaminico. Eppure l’evoluzione non è ottimale, al caldo si sostituisce una sudorazione fredda, il fiato inizia a diventare corto. Ci si affida e si confida nell’aiuto dell’adrenalina intramuscolo.

Eppure Saufia continua a gonfiare, il tono di voce si modifica sempre di più e a poco viene a mancare, come il fiato. Il respiro diventa un rantolo fino a quando cessa. E con lui, il cuore di Saufia.
La diagnosi di arresto cardiaco è eseguita rapidamente sulla barella del tua sala d’emergenza. Gli occhi di Saufia sono spenti a guardare, senza vedere, una lingua enorme labbra turgide ed un collo gigantesco. Mastodontica è la responsabilità che senti.
Il massaggio cardiaco inizia rapidamente ed efficacemente, ma tu a ventilare Saufia proprio non riesci. Forse sono solo secondi ma ti sembrano anni, il tempo in cui aspetti il rianimatore e la sua epifania. Pensi che devi fare qualcosa, pensi a cosa devi fare; la tua scelta si concretizza in un tentativo di cricotiroidotomia percutanea.
Da allora le mie giornate sono scandite dagli occhi senza vita di saufia, dal dubbio di aver fatto una scelta giusta e soprattutto da una consapevolezza. Anzi due.
Le mie due consapevolezze
La necessità di decidere: nel lavoro come in urgenza forse l’unico errore è non decidere. Fondamentale sono la ponderazione, il dubbio, la riflessione, ma la velocità di pensiero e di scelta e la scelta stessa sono elementi fondamentali per non venir bloccati. Nel non rimare immobili. “Saper reagire cambia le cose: restare immobili lascia ogni cosa così com’è”.
La consapevolezza della inadeguatezza: poche cose mi ricordo di quei momenti come la sensazione di manchevolezza e di inidoneità. Quello che stavo facendo lo avevo studiato tanto volte, ma non ero preparato a farlo. Mi ero preparato senza esserlo diventato. Ed il mio io interiore mi sgridava per questa inadempienza ed inadeguatezza. Mi sono ritrovato studente al liceo interrogato a sorpresa muto davanti alla classe ed alla vita. Ma se il nostro compito è fornire la migliore assistenza possibile, dove ho o abbiamo fallito?
Scelta giusta?
Le complicanze maggiori di una gestione delle vie aeree sono rare ma possono essere fra le maggior Life-thretening in medicina. Il CICV(“can’t intubate can’t ventilate”) si verifica in meno che 1 su 5000 anestesie generali e richiede una soluzione chirurgica d’emergenza in circa 1 su 50000 intubazioni ma giustifica il 25% delle morti anestesia relata. Questi dati dipendono tuttavia dal contesto e dal setting: nel contesto dell’urgenza le incidenze e le frequenza aumentano sostanzialmente, fino a 1 su 200/600.
Il CICO (cannot intubate cannot oxygenate) è una emergenza rara ma possibile, tipica dei traumi facciali, del trisma e delle ostruzioni alte delle vie aeree. Essa insorge quando i tentativi di gestire le vie aeree tramite intubazione tracheale, dispostivi sovraglottici o ventilazione con pallone maschera hanno fallito ed il danno ipossico cerebrale e successivamente la morte si verificheranno nel caso in cui la situazione non si possa risolvere rapidamente.
Le linee guida 2015 DAS (Difficult Airway Society) per la gestione della intubazione difficile imprevista ci fornisco 4 possibili opzioni/plan:


- Laringoscopia
- Device Sovraglottico
- Ventilazione con pallone maschera
- Cricotiroidotomia
Analizzando la mia condotta la laringoscopia e il device sopraglottico non sono stati tentati praticamente: ho fatto bene perchè erano manovre a rischio di risultare dispersive e futili senza una concreta possibilità di successo dato il quadro clinico della paziete o ho perso una possibile opzione terapeutica, semplice senza essere dispersiva?
La scelta è stata la 4. E qui si aprono alcuni dubbi.
Cricotiroidotomia
La cricotiroidotomia è una delle tante Procedure HALO in medicina d’urgenza: High Acuity Low Occurence (HALO). La sua indicazione principe in urgenza è il CICO o il CICV.
Dovuto alla natura stessa della procedura, 3 aspetti sono fondamentali:
- Il più possibile rapida / il più possibile semplice
- Nessun particolare equipaggiamento richiesto
- Alto tasso di successo / basso tasso di complicanze
La Cricotiroidotomia per ostruzione acuta delle vie aeree è attualmente riconosciuta non solo come una tecnica sicura (smentendo la fobia della stenosi tracheale precedentemente riportata) ma, a causa della natura superficiale della membrana cricotioidea, come più veloce e semplice rispetto alla tracheotomia. E’ ampiamente accettato che la cricotoroidotomia sia la procedura di scelta per accesso chirurgico in emergenza alle vie aeree, con diverse tecniche descritte.
Anatomia da conoscere
Il nostro punto di interesse è la membrana o legamento localizzata fra la cartilagine tiroidea e la cartilagine cricoidea, la A scarlatta mostrata nell’immagine sovrastante, presa in prestito da REBELem. Negli adulti solitamente ha le dimensioni 9-19 mm orizzontale x 9-20 mm verticale. Il centro del collo, a differenza di quanto possiamo passare, è un luogo sicuro, senza la localizzazione di arterie o vene di grosso calibro o strutture nervose.
Come localizzare la membrana cricotiroidea?
Localizzazione manuale: manovra di handshaking

Tale manovra prevede il riconoscimento dell’anatomia delle strutture laringee tramite la mano non dominante e la palpazione dell’osso ioide, della cartilagine tiroidea e successivamente della cartilagine cricoidea; il pollice ed il medio identificheranno i lati delle strutture cartilagine mentre l’indice andrà a localizzare la membrana cricotiroidea, rappresentata da una depressione leggera fra le due. Il pomo d’Adamo, sicuramente più facilmente nei soggetti magri, facilita la localizzazione.
Comunque, l’identificazione della membrana cricotiroidea tramite Landmark è spesso non affidabile: la letteratura riferisce che solo il 30% di anestesisti marcavano correttamente la zona cutanea e solo il 10% il punto centrale della membrana.
Localizzazione ecografica
Con l’utilizzo di una sonda lineare, si procede alla rapida identificazione di una linea iperecogena fra cartilagine tiroidea e cricotiroidea, che appiano come rotondi ipoanecogeni in una visualizzazione sagittale sulla linea mediana sul collo

Potenziali Complicanze
Danno alle struttura locali: laringe/vasi/nervi/esofago/cartilagine/muscoli | Failure / malposizionamento |
Sanguinamento | Ipossia |
Danno nervoso | Infezione |
Formazione di Fistole | Cicatrice |
Morte |
Ma che tipo di crico?
In urgenza esistono soprattutto due possibilità:
- percutanea con ago/cannula: transtracheal jet ventilation (TTJV) se siamo proprio disperati, o, meglio, nella mia realtà, minitrak o chi per essa;
- chirurgica: nella mia formazione significa soprattutto three step: scalpel finger bougie;
Premesse
Indipendente dal tipo di procedura, la decisione più difficile è quella di farla. Prendere la decisione di tagliare è la scelta più complessa. Tipicamente la procedura è spesso eseguita troppo tardi per ottenere un outcome ottimale; questo ritardo comprende sia il tempo per decidere di agire sia il tempo utilizzato per prepararsi e preparare il materiale.
Come scrivono le linee guida DAS 2015: “Success depends on decision-making, planning, preparation, and skill acquisition, all of which can be developed and refined with repeated practice”
Bisogna ricordarci che non esiste nessuna assoluta controindicazione alla procedura.
Quale scegliamo? Vediamo un pò cosa dice la letteratura
C’è davvero poco consenso nella letteratura su quale tecnica dovrebbe essere usata, con una grande varietà: cannula su ago, cannula su filo guida, metodiche di chirurgia aperta. Anche perche la letteratura si basa su davvero pochi dati – case series in diversi e non sempre riproducibili setting, dati proveniente da studi su manichini o cadaveri – con una grossa difficoltà di poter essere conclusivi.
Una revisione sistemica del 2013 (Langvad et al) ha concluso, che dato la bassa qualità dell’evidenza disponibile e l’eterogeneità degli studi esistenti, nessuna conclusione sicura può essere fatta riguardo al tasso relativo di successo e di complicanze della cricotiroidotomia con cannula versus quella chirurgica
L’audit NP4 eseguito in UK ha trovato tuttavia un 60% di tasso di fallimento per crico d’emergenza con cannula mentre la chirurgica ha dimostrato un tasso di successo praticamente universale. Sulla base di questi dati, la cricotoridotomia chirurgica sempre dover essere la pratica di scelta, sicuramente la più veloce.
A mio avviso, su può affermare, BASANDOSI PERTANTO SULL’USO DI ATTREZZATURA FAMIGLIARI E DI TECNICHE COLLAUDATE, SULLA RAPIDITA’ E LA SEMPLICITA’ DELLA PROCEDURA ED IL SUO ALTO TASSO DI SUCCESSO IN DIFFERENTI CONTESTI, LA TECNICA SCALPEL FINGER BOUGIE è LA TECNICA DI SCELTA IN TUTTE QUELLE OCCASIONI IN CUI UNA VIA AEREA D’ERMERGENZA è NECESSARIA.
Anche le linee guida DAS hanno pochi dubbi. Per loro cricotiroidotomia significa Scalpel cricothyroidotomy

Scapel Finger Bougie
Abbiamo bisogno di:
- Bisturi con lama 10 o 11: è essenziale una lama larga
- Un nostro dito
- Bougie con punta angolare
- Tubo endotracheale cuffiato diametro 6.0 – 6.5 mm
- Siringa per cuffiare il tubo
La procedura
Il paziente deve essere ovviamente messo in posizione supina con il collo esteso in modo da favorire il riconoscimento dei reperi anatomici (quindi non sniffing position – può essere utile un cuscino sotto le spalle); l’operatore è posizionato alla sinistra del paziente nel caso di destrodominanza. Ovviamente la ventilazione, o i suoi tentativi, tramite le vie aeree superiori devono essere proseguiti.
Dopo aver stabilizzato e localizzato clinicamente (con la mano non dominante) o ecograficamente la zona cutanea da incidere, procedere, con la mano dominante, ad una incisione verticale di 8-10 cm con il taglio delle strutture superficiali. Appoggiarsi sullo sterno del paziente favorisce stabilità e supporto. Posizionare il dito nella incisione ci permetterà di palpare la membrana di interesse.
L’esecuzione di questa prima incisione verticale non è strettamente necessaria, ma è indicata quando la membrana cricotiroidea è difficile da localizzare o si hanno evidenti dubbi sulla sua localizzazione corretta.
Con il bisturi nella mano destra, esegui una incisione orizzontale tramite la cute e la membrana cricotiroidea con l’estremità tagliente del bisturi verso l’operatore. Una incisione orizzontale andrà a forare la membrana: trascina la lama del bisturi da un lato all’altro, quindi ruota la lama di 90 °C con estremità tagliente verso i piedi del paziente per dilatare senza rimuoverla. L’incisione deve essere estesa lateralmente fino ad essere giudicata sufficiente larga per accomodare la punta del dito piccolo dell’operatore, circa 15 mm. La membrana criciotiroidea è delimitata da una “gabbia cartilaginea”, quindi si avvertirà resistenza ai margini della membrana quando la lama del bisturi tocca la cartilagine.

Meglio se la incisione è fatta nella meta inferiore della membrana cricotiroidea, per evitare le arterie cricotioidee e le corde vocali.
Rimuovi il bisturi ed inserisce la punta del dito. Conferma palpatoriamente che l’incisione è penetratata nel lume laringeo, sentendo la parete posteriore della cartilagine tracheale/cricoidea, e che sia sufficiente grande per accogliere il tubo endotracheale. la sensibilità della punta del dito permette anche di identificare la presenza di patologie intralaringee, come l’edema della mucosa laringea, che potrebbero rendere difficoltoso il passaggio del tubo tracheale.

Inserisci il bougie dietro il tuo dito (senti gli anelli tracheali mentre il bougie scende) senza forzare per evitare di danneggiare la carina e successivamente il tubo endotracheale, con la cuffia completamente gonfia, diretto caudalmente. Può essere necessario un movimento di twist tenendo in tensione la cute per favorire il passaggio del tubo attraverso il derma. Evita un inserimento eccessivo in profondità del tubo essendo già l’entrata sotto le corde vocali, per evitare una incubazione endobronchiale. Fermati quando non vedi più la cuffia.

Conferma il corretto posizionamento del tubo – ETCO2. Fissa quindi il tubo con un cerotto a cravatta, come nel caso di un tubo orotracheale.
La letteratura riferisce un tempo medio inferiore ai 60 secondi per completare la procedura, con tempi compresi fra i 28 secondi ed i 2 minuti e mezzo.
Stab, twist, bougie, tube

Consigli pratici:
- Pratica Pratica Pratica: allenamento dovrebbe essere ripetuto almeno una volta al mese per mantenere famigliarità con questa procedura.
- Modelli 3 d possono essere utili nell’aiutarti a mantenere questa skills. Un nastro isolante adesivo può essere usato come membrana, Foam Tape come Skin. E su questo, empills ha già fornito spunti.
- Ricordati la controindicazione, a mio avviso relativo, della cricotiroidotomia chirurgia nei pazienti < 10 anni, maggiormente suscettibili a danni laringei ed a complicanze postoperatorie.
- In caso di una via aerea difficile, se possibile, cerca sempre il doppio set up: una persona prova l’intubazione, l’altra persona si prepara per la crico.
Appello
Io rivendico la mia non volontà di essere un rianimatore o un piccolo anestesista. Anzi esalto la mia formazione internistica d’urgenza ed è esattamente ciò che voglio essere. Ma se la gestione professionale olistica si rivolge dal codice bianco al codice rosso passando per le sfumature del verde, azzurro ed arancio, io chiedo l’aiuto nell’apprendere in modo ottimale fondamenti di gestione di vie aeree base ed intermedie. Collaborazione, formazione, training e refreshement costanti. Solo così nessuno si sentirà mai come me davanti a Saufia, alla sua bocca ed ai suoi occhi che chiedevano solo un pò di ossigeno e di mani capaci.
Peer Review
Abbiamo chiesto di commentare questo post a Maria Luisa Ruberto medico anestesista rianimatore presso ASL 4 di Chiavari e divulgatrice scientifica attraverso un proprio blog: marialuisaruberto.com e un canale youtube: https://www.youtube.com/@MariaLuisaRuberto
Commentare questo post è stato un occasione per collegare tre capisaldi che ancora aleggiavano separati nella mia mente. Ve li elencherò, sperando che possano esservi utili:
“Just a routine operation”, “Just a routine resuscitation. The AMAX4 algorithm for anaphylaxis/asthma” e “2022 American Society of Anesthesiologists Practice Guidelines for Management of the Difficult Airway”
Just a routine operation
Il Dott. Tizzani ha fatto una cricotiroidomia e io nessuna.
Sono un anestesista, perciò la cricotiroidotomia e, in generale, la gestione delle vie aeree difficili è un’eventualità che aleggia ad ogni induzione dell’anestesia generale, ad ogni sedazione procedurale, ad ogni chiamata di emergenza intraospedaliera.
Ma le procedure HALO, high acuity, low occurrency, sono HALO un pò per tutti. Come anestesista con un laringoscopio in mano, il mio rischio è di gestire una via aerea difficile solo con questo strumento, facendo ripetuti tentativi con la stessa tecnica, quella che conosco meglio. Senza seguire alcun algoritmo sulle vie aeree difficili. Senza lavorare in equipe.
Contro questa eventualità, ormai dal 2007, ha fatto scuola la storia della moglie di Martin Bromiley, morta a causa dell’errata gestione di una via aerea difficile imprevista. Il caso Bromiley è familiare a molti anestesisti, dato che molti corsi sulle vie aeree difficili iniziano con la sua testimonianza, cristallizzata nel video “Just a Routine Operation”.
Che siate Medici dell’Emergenza-Urgenza o Anestesisti rianimatori, cercate Martin Bromiley, pilota d’aviazione ed esperto di sicurezza, su un motore di ricerca…
Nel 2005 sua moglie morì come conseguenza diretta di ripetuti tentativi di laringoscopia durante l’induzione di un’anestesia generale per un operazione chirurgica d’elezione ai seni paranasali. Una successiva revisione indipendente riconobbe che nonostante la sala operatoria fosse ben attrezzata e l’équipe medica fosse tecnicamente competente non si era riusciti a rispondere in modo appropriato a un’emergenza imprevista.
In mancanza di una chiara leadership l’equipe non era riuscita a seguire i protocolli, a utilizzare correttamente le attrezzature, a mantenere la consapevolezza della situazione, a stabilire le priorità e a prendere decisioni in modo appropriato.
Fattori umani.
I Fattori umani sono caratteristiche organizzative, individuali, ambientali e lavorative che influenzano il comportamento in modi che possono avere un impatto sulla sicurezza…
E i fattori umani possono includere un gap in knowledge, reale o percepito che sia, nella gestione delle vie aeree da parte delle equipe di lavoro dei DEA e dei pronto soccorsi, quindi mi sento di supportare assolutamente la formazione, l’educazione continua e le simulazioni sulla gestione delle vie aeree per il personale dell’Emergenza-Urgenza. Dal Triagista, all’Urgentista e all’Anestesista che devono sapere che materiale c’è o non c’è nella Sala Rossa del loro Ospedale, all’infermiere che deve sapere come si chiamano i vari dispositivi e in che cassetto o armadio sono.
Just a routine resuscitation. The AMAX4 algorithm for anaphylaxis/asthma.
Avendo appena citato il lavoro di Martin Bromley, “Just a routine operation”, avrete sicuramente già fatto il collegamento con “Just a routine resuscitation”.
Qui troverete, secondo me, tutto quello che c’è da dire su una cricotiroidotomia in caso di arresto cardiaco da anafilassi/asma.
“Just a routine resuscitation” è il ciclo di videolezioni che un Medico dell’Emergenza-Urgenza Australiano, Ben McKenzie ha dedicato a Max, il figlio quindicenne morto per encefalopatia ipossica secondaria ad arresto respiratorio prima e arresto cardiaco succesivamente da anafilassi grave. Sono video educazionali, ma per chi lavora nel settore si meritano un posto speciale nella sezione Thriller-horror.
Max era allergico alle noccioline, dopo aver mangiato per sbaglio una tavoletta di cioccolato con noccioline, ha sviluppato rash cutaneo e prurito. Soccorso quando ancora aveva un GCS 15, una SpO2 del 100% e poteva parlare, ha fatto tutto il possibile per chiedere aiuto tempestivamente, dicendo chiaramente ai soccorritori extraospedalieri che l’asma che stava avendo era dovuta all’assunzione di un allergene alimentare.
C’è stato un progressivo deterioramento della funzione ventilatoria.
L’arresto respiratorio ha preceduto l’arresto cardiaco e “Airway and Breathing” non sono state gestite tempestivamente con l’intubazione ma solo con 40 minuti di ventilazione con pallone autoespandibile e maschera, inefficaci a causa dell’asma grave.
Quando il danno ischemico cerebrale era ormai irreversibile, è sopraggiunto in aiuto all’equipe lì presente il padre di Max, smontante dal suo turno.
Il Dr. Ben McKenzie ha dovuto dirigere e poi completare di persona la cricotiroidotomia del proprio figlio, mettendo il dito nel collo di Max per far passare il bougie e poi la cannula. Nonostante la ROSC, Max è morto alcuni giorni dopo, era il 2021 e tutta la vicenda si è svolta in un ospedale metropolitano di prim’ordine.
Il padre di Max, il Dr. Ben McKenzie, ha creato l’algoritmo
AMAX4, specifico, ripeto specifico, per i pazienti con anafilassi grave/asma grave, incoscienti, che necessitano di supporto ventilatorio.
Sottolineo che questo algoritmo è di un medico che lavora in Australia, e che questo algoritmo non ha nessun equivalente in Italia.
Con questa premessa AMAX4 dice che chi sa intubare deve intubare. E deve farlo precocemente. Individua un 4 minuti di tempo.
Dice di lasciar perdere i dispositivi sopraglottici, dato che le pressioni delle vie aeree in caso di asma grave/anafilassi grave sono troppo elevate per qualsiasi cosa che non sia un tubo endotracheale cuffiato.
Il primo tentativo deve essere ottimizzato, deve essere eseguito nelle migliori condizioni possibili, non ne sono previsti altri, il passo successivo è la via aerea chirurgica.
Ai medici che non hanno competenze specifiche nell’intubazione, sottolinea che non si sa per quanto tempo la ventilazione con maschera e pallone autoespandibile sia efficace nell’ossigenare un paziente con asma/anafilassi grave o ostruzione delle vie aeree.
L’AMAX4 ricorda che nel 2020, l’Organizzazione Mondiale delle Allergie ha aggiunto il broncospasmo acuto, isolato, senza sintomi cutanei, dopo esposizione ad un probabile allergene, tra i criteri diagnostici dell’anafilassi.
A proposito di linee guida, il Dr. Ben McKenzie, a margine dell’algoritmo AMAX4 critica la mancanza di direttive specifiche per l’arresto cardiaco da asma e anafilassi grave.
Perchè l’arresto cardiaco traumatico e quello cardiogeno si meritano un trattamento speciale nell’ALS mentre quello a genesi respiratoria no? Il massaggio cardiaco esterno in un paziente in arresto cardiaco per ipossia, e in cui la causa dell’ipossia non è ancora stata adeguatamente trattata non fa altro che far circolare sangue deossigenato.
Termino con le linee guida del 2022 dell’American Society of Anesthesiologists, le Practice Guidelines for Management of the Difficult Airway.
La paziente del post CICO era in arresto cardio-respiratorio, ma se invece fosse stata ancora in una fase di distress respiratorio ma con circolo, o se fosse stata ancora vigile e capace di autodeterminarsi?
Le linee guida ASA 2022 “Practice Guidelines for Management of the Difficult Airway”, riguardano la gestione delle vie aeree in tutte le situazioni, tranne la rianimazione cardiopolmonare.
Le cito perchè, per queste linee guida, la via aerea difficile comprende anche la via aerea invasiva difficile o fallita.
Caratteristiche anatomiche o vere e proprie patologie possono impedire o rendere difficile posizionare con successo una via aerea passando dalla parte anteriore del collo.
Queste Linee guida potrebbero quindi interessarci perchè indicano cosa fare anche nei casi in cui non ci troviamo di fronte ai colli lunghi e anatomicamente didattici dell’iconografia delle vie aeree chirurgiche.
Cosa fare allora in questi casi? In realtà la distinzione non avviene sul piano dell’invasività, ma sul piano del livello di coscienza e autonomia respiratoria del paziente.
Queste linee guida prevedono due percorsi distinti: l’intubazione da svegli e l’intubazione dopo l’induzione dell’anestesia generale.
Questa netta divisione è probabilmente la decisione più importante nel processo di gestione delle vie aeree.
L’atto di indurre l’anestesia generale e di prendere il controllo delle vie aeree di un paziente è sempre impegnativo, indipendentemente dal grado di difficoltà prevista: portare un paziente da uno stato di autosufficienza a uno in cui dipende dalle tue azioni come medico è una responsabilità impressionante.
Sospettate un’intubazione difficile, o una ventilazione difficile? C’è rischio di aspirazione? Il paziente potrebbe non tollerare neanche un breve periodo di apnea?
Sospettate una via aerea chirurgica o invasiva difficile? È un paziente “senza collo”?
Se, sulla base di una valutazione approfondita, si percepisce uno dei rischi citati, la linea d’azione deve essere quella di non indurre questa dipendenza. E prendere la strada “awake”.
Un altro punto importante delle “Practice Guidelines for Management of the Difficult Airway” del 2022 è l’importanza che danno alla misurazione dell’anidride carbonica (CO2) espirata.
Non è a disposizione di tutti i DEA e tutti i Pronto soccorsi avere a disposizione il monitoraggio dell’EtCO2.
Mi sembra di fondamentale importanza che almeno la sala rossa del Pronto soccorso sia equipaggiata per una gestione avanzata delle vie aeree, incluso il monitoraggio dell’EtCO2.
Ventila? Non ventila? Senza EtCO2 la risposta è un pò a “sensazione”.
Bibliografia
- Frerk C et al “Difficult Airway Society 2015 guidelines for management of unanticipated difficult intubation in adults”. Br J Anaesth . 2015 Dec;115(6):827-48
- 4th National Audit Project of The Royal College of Anaesthetists and The Difficult Airway Society. Major complications of airway management in the United Kingdom, Report and Findings. Royal College of Anaesthetists, London, 2011
- Cook Tm et al. “Complications and failure of airway management”. Br J Anaesth . 2012 Dec;109 Suppl 1:i68-i85
- Pax Br et al. “Emergency surgical cricothyroidotomy: 24 successful cases leading to a simple ‘scalpel–finger–tube’ method”. Emergency Medicine Australasia (2012) 24; 23–30
- Sorbello M et al. “Front-of-Neck Access and Bougie Trapping”. Anaesthesia 2018.
- Langvad S et al. “Emergency Cricothyrotomy – A Systematic Review”. Scand J Trauma Resusc Emerg Med 2013.
Da “specializzando anziano” in MEU ho apprezzato molto questo post perché credo che intercetti due temi importanti per la medicina d’urgenza attuale: la necessità di una formazione dell’urgentista che includa sempre di più la gestione delle vie aeree e la necessità di formazione ed esercizio continui su quegli scenari che capitano raramente ma richiedono risposta immediata.
Grazie Davide.
Complimenti perché da quello che ho capito alla fine la pagnotta, ovvero ossigenare, è stata portata a casa.
Da anestesista rianimatore però vorrei fare alcune osservazioni premettendo che leggendo e non stando sul campo tutto sembra più facile.
Questa situazione non può essere definita CICO perché non c’è mai stato un tentativo di intubazione. Una occhiata in video laringoscopia se la lingua permetteva di passare l’avrei data perché evitare la tracheo ad una paziente giovane è importantissimo e nella maggior parte dei casi in queste situazioni con un tubo piccolo (5 o 5 e mezzo) si passa. Capisco che detto da chi gestisce vie aeree quotidianamente più volte al giorno sia diverso, quindi se ti sentivi più sicuro con il bisturi (che è sicuramente la tecnica migliore in emergenza) hai fatto benissimo per quanto mi riguarda.
Concordo sul fatto che la sala rossa debba essere dotata di tutto il necessario per una gestione avanzata delle vie aeree ma non vorrei che passasse l’idea che la gestione di una via aerea prevista difficile venga intrapresa da non anestesisti se non in situazione di emergenza imminente dove non ci sono neanche 2 minuti per aspettare il rianimatore.
La gestione dei farmaci, del paziente in generale e soprattutto della via aerea in queste situazioni devono essere svolte dal massimo esperto possibile perché i rischi sono dietro l’angolo e ci vogliono migliaia di intubazioni per essere davvero confident.
Per quanto riguarda l’awake intubation bene che sappiate cosa sia e che conosciate le linee guida ma va fatta esclusivamente da anestesisti rianimatori.
Ancora complimenti
ciao Valerio. ti ringrazio peril commento e la tue considerazioni, piene di buon senso. Concordo con te sulla definizione di CICO nel caso in questione, preso a spunto per parlare poi della crico ma soprattutto in generale della mia sensazione di inadeguatezza e forse pensare che non sia stata solo mia. Il post in questione non ha la volontà ovviamente di deliberare un uso sportivo della gestione delle vie aeree, lungi da me una sciocchezza in tal senso. E’, come tutti i post di questo blog, un modo di riflettere, porre un problema e capire se qualcuno fra chi scrive e chi legge, abbia una possibile soluzione. Grazie ancora
Avevo capito benissimo l’intenzione del post, ho voluto precisare perché alcuni potrebbero fraintendere e credo fermamente che la collaborazione tra tutte le figure sanitarie sia di fondamentale importanza.
Credo che nessuno si possa sentire adeguato durante una crico in emergenza in una ragazza giovane.
Al prossimo post
Grazie per il post esaustivo. CiCO è un incubo di cui occorre prendere consapevolezza e saper gestire in maniera adeguata. Penso sia utile un training periodico in corso di simulazione ad alta fedeltà…sono evenienze estremamente rare ma per le quali è necessario essere preparati al meglio
Bravo Davide! Molto interessante l’articolo che si sofferma su un problema di medicina di emergenza critica rilevante. Mi permetto di fare solo piccole osservazioni sul caso clinico usato giustamente a mó di pretesto e per esigenze natrative in modo “ veloce”
– La paziente è stata intubata dal Rianimatore di Pronto Soccorso al primo tentativo. Quindi non era per definizione una CICO.
Perciò il primo suggerimento utile che si potrebbe trarre sarebbe di formare gli operatori a riconoscere una CICO ben prima che ad effettuare una cricotiroidotomia
Mi pare quindi corretto completare così il messaggio suggerito, anche per i giovani colleghi:
– in tali situazioni sembrebbe comunque oppurtuno provare a ventilare in maschera con una cannula di Mayo o posizionare un presidio sovraglottico. Potrebbe funzionare…
Questo perchè nessuno di noi medici, infermieri OSS e parenti, soprattutto, sia costretto a vedere gli occhi di una paziente, che poi viene intubata, ma che ormai si trova in coma post-anossico
– Bisogna conoscere la squadra con cui si lavora: nella rianimazione del nostro ospedale, come ben sai, per esempio vengono effettuate al letto circa 150 tracheostomie percutanee all’anno: ognuno dei rianimatori di guardia e accettanti di Pronto Soccorso ha perció notevoli skill in vivo sulla procedura. E sono molto diverse di quelle che si acquisiscono in un corso di due giorni o su un manichino.
– curare un malato acuto e critico è comunque un lavoro di squadra, e non un gesto
del singolo, se non ci si trova sul Rosa.
Ciao e buon lavoro
Ciao Felice, ti ringrazio molto del tuo commento. Il post era intenso in due sensi: una era il ripasso teorico pratico di una potenziale CICO avvertito dal medico d’emergenza in primis. E come, effettivamente fatto notare, il ripasso di tutti gli elementi previsti da tale algoritmo, in primis dal sottoscritto che con maggior razionalità avrebbe potuto effettivamente effettuare altre scelte, come spero sia anche emerso dal post. La seconda nozione prettamente più umana: queste gestioni sono sicuramente da affrontare in un squadra e da affidare sicuramente al più esperto medico presente nella sala rossa, in pronto soccorso e nell’ospedale che è ovviamente il rianimatore. Ma la mia speranza per tutti è che a nessuno capiti mai quello che ho provato io in quel momento e che continua a perseguitarmi. Dato che il rischio, meno in ospedale, ma sicuramente tangibile in extraospedaliero non è zero per cento quali possono essere le strategie di ridurre tale rischio? in tal senso il post voleva poter essere uno stimolo al ripasso, al confronto, alla condivisione, al riscoprire gesti più semplice come la ventilazione manuale, all’identificare possibili soluzioni o magari ad eseguire esercitazioni periodiche anche solo per avere la consapevolezza dei materiali e del loro corretto uso.
Grazie mille per aver sottolineato alcuni concetti fondamentali di cui mi scuso se non fossero emersi dal post.
Mi preme sottolineare come in questo post, come spero sia emerso, non esiste alcun spirito polemico, nessun conflitto sull’ambito delle competenze che lo specialista possiede e che tutti riconosciamo e nessun volontà di invadere il campo. Ma era una semplice riflessione critica, partendo da un mio potenziale errore e da un mio profondo senso di inadeguatezza professionale nei giorni post turno sulla possibilità che mi ricapitasse di nuovo e su come ridurre tale rischio.
Post interessante, complimenti.
Prima di tutto da Anestesista/Rianimatore ti posso capire e non posso far altro che dirti BRAVO. In certe situazioni è molto più semplice aspettare gli altri invece che fare e magari risolvere una situazione complicatissima.
Detto questo, come hanno già detto i miei colleghi anestesisti , non si trattava di una CICO perché non hai provato ad intubare il paziente. Già l’intubazione non è una manovra semplice, richiede anni di pratica che deve essere poi continua. Colleghi che fanno solo Terapia intensiva non si sentono così sicuri anche facendo un paio di intubazioni al mese.
La crico penso sia ad un livello di complessità ancora superiore, procedura che non è così immune da complicanze.
Volevo infine sottolineare come la gestione delle vie aeree non deve ridursi ad un semplice posizionamento di tubo , ma deve essere considerato il paziente a 360* . Capire chi sono i pazienti da intubare e quali no, capire come gestire la ventilazione e la sedazione.
Insomma dietro c’è un mondo e per questo forse noi rianimatori siamo un po’ scettici nell’ aprirsi verso altre categorie
Buongiorno.
Secondo me non c’entra la specialità. C’entrano il numero di procedure effettuate e il numero di procedure che si effettuano settimanalmente.
Esistono (pochissimi) medici d’urgenza formati (per loro abnegazione) per anni, in sala operatoria, da anestesisti, e che si occupano solo di area rossa e 118. Un medico dell’urgenza che si occupi solo di area rossa e 118 in un ospedale di medie grandi dimensioni, ha l’opportunità di gestire le vie aeree praticamente quotidianamente. Questo nella pratica succede molto raramente perché la procedura, unicamente per ragioni di abitudine nella realtà Italiana, é del rianimatore, e pertanto chiamando sempre il rianimatore, la procedura rimane “skillata” da lui.
Se i meu passassero in specialità due anni in sala e continuassero la formazione dopo, e se un manipolo di meu si occupasse prevalentemente di area rossa e 118, sicuramente le cose potrebbero essere diverse. E qualcuno c’è. Pochissimi.
Ma purtoppo i meu, come categoria, non hanno alcun interesse a gestire le urgenze vere anteponendo quella che é la diagnostica e la valutazione delle urgenze internistiche e fermandosi quando il malato diventa critico, non avendo a cuore una solida e costante crescita in termini di “ore di volo” su questo tipo di malato, pur rappresentando in media tanta casistica (nel mio ospedale 1-2 pazienti al giorno).
E questo ha portato negli anni tanti giovani medici volenterosi di trattare urgenza, e magari senza velleità di fare gli anestesisti, a scegliere anestesia e rianimazione, proprio perché in questo momento va detto che è l’unica specialità che ti forma realmente all’emergenza, pur avendo molti limiti in particolare sulla cardiologia e l’ecografia oltre ad essere, soprattutto, l’unica specialità che ti permette poi di gestire certi pazienti senza essere considerato un pesce fuor d’acqua.
Ed è anche per queste ragioni che la medicina d’urgenza si è impantanata, come dico più o meno dal 2008, ovviamente inascoltato.
Perché, fatta così, non è attrattiva. E quindi avanti con le cooperative e lo svilimento ulteriore del sistema.
Questo è impossibile perché in sala operatoria ci stanno gli specializzandi di artid che sono tanti.
Anche all’estero il massimo esperto di vie aeree è l’anestesista per ovvie ragioni di pratica. Intubare un paziente in arresto od un manichino è completamente diverso dalla gestione di una via aerea.
Anche in usa dove intubano altre specialità in ultima spiaggia si chiama l’anestesista tanto che nel team ecmo alle vie aeree è codificato il resident di anestesia.
In USA la gestione del paziente critico in PS è appannaggio del medico d’urgenza, perché giustamente essendo un medico dell’urgenza, gestisce l’urgenza. Chiaro che se ci sono situazioni complesse DEVE essere preventivamente chiamato l’anestesista perché chiaramente più esperto di via aerea. Ma il meu non dev’essere uno che ha intubato solo manichini. Dev’essere uno che ha passato anni in sala. E che continua a frequentare la sala. Altrimenti non può lavorare in area rossa e meno che meno sul territorio.
Guarda. Io personalmente ho passato i primi 5 anni da strutturato ogni mattina in sala operatoria con anestesisti a cui devo tutto, e adesso continuo periodicamente, conquistando a fatica turnazioni sul 118, dove ho lavorato qualche anno.
L’importante è avere ben consapevolezza dei propri limiti e non mettersi a gestire pazienti per i quali non si hanno sufficienti skills.
Un medico d’urgenza che ogni giorno gestisce pazienti critici e ha passato anni in sala con anestesisti esperti, ha queste skills. E ha l’intelligenza di capire dove fermarsi in base alla propria esperienza, alla situazione, all’evolutivitá della stessa, alla complessità del paziente e alle risorse umane alle spalle (territorio vs shock room).
Siamo medici. E certe cose sono terre di confine. I meu non sono tutti uguali e non hanno tutti la stessa formazione. Assolutamente. E come tale quello che può spingersi a fare uno, non deve spingersi a fare un altro.
Capita spesso, da noi, che quando scende il rianimatore ci invertiamo i ruoli: io sto alle vie aeree e lui all’eco, perché ci si conosce. Capita altre volte che scenda e il paziente è già impacchettato completamente. Altre volte ancora arriva prima del paziente, giustamente sul trauma maggiore ove servono due medici esperti i quali devono avere tutte le skills ma essere in qualche modo complementari su quelle più proprie.
Non starei a fossilizzarmi sulla specialità. Ho capito negli anni che contano le persone. Le singole persone. E i rapporti che si creano.
Questo è un discorso che puoi fare in un ambiente dove non sei pieno di specializzandi.
L’organizzazione degli USA che hai descritto è proprio il motivo per cui negli studi che fanno in videolaringo ha tutta questa superiorità. Se hai frequentato anestesisti sai benissimo che le volte che ti serve realmente si contano sulle dita di una mano.
Io questa strada preferirei non prenderla sinceramente.
Sul discorso delle persone hai perfettamente ragione ma è un discorso che si può fare più avanti con il tempo e con l’esperienza in un ambiente dove ci si conosce. Perché altrimenti passa il messaggio sbagliato. Tempo fa lessi un post di un collega che in un paziente in acidosi con pH indosabile convinto delle sue capacità e non volendo chiamare il rianimatore non si sa per quale motivo ha fatto nel giro di 10 minuti 1 litro e mezzo di bicarbonato 8.4%.
Il messaggio che deve passare è che in un ospedale si lavora in team. Se un paziente è da rianimare si allerta il rianimatore. Così come l’anestesista allera immediatamente l’otorino se prospetta la possibilità che si dovrà procedere con una tracheo in emergenza.
No mi dispiace non sono d’accordo.
Sul discorso del video si. Personalmente non mi è ancora capitato di usarlo, se non elettivamente, per imparare e tenere la skill, che sia pronta in urgenza.
Io credo che l’urgenza sia o comunque debba diventare progressivamente nel tempo, un momento in cui la gestione è quella del medico d’urgenza. Altrimenti non si capisce bene a che cosa sia servito creare una specialità quando bastava un bravo internista, un po’ smart.
Non credo che l’urgentista debba chiamare il medico intensivista per approcciare una rianimazione cardiopolmonare. Personalmente ho abitudine di contattare l’intensivista cch e il cch se ci sono i presupposti ecmo o se c’è indicazione a una toracotomia in urgenza e l’intensivista generale sul trauma maggiore per una gestione complessa condivisa.
Credo che la via aerea, l’ecografia, l’ecocardiografia, la gestione delle aritmie complesse (compreso blocco del ganglio), debbano essere bagaglio del meu. E bagaglio vuole dire diventare autonomi, e non solo presidenti dei corsi sui manichini.
E gli esempi portati non calzano. Non è che se un chirurgo ha fatto un danno, tutti i chirurghi devono per forza chiedere ausilio ad altre figure.
Ci si attrezza, si cresce e si fa il proprio lavoro.
Certe emergenze richiedono uno sguardo multidisciplinare, soprattutto se c’è necessità di un chirurgo. Ma sinceramente, dopo anni di sala, area rossa, cardiologia e 118, non credo sia corretto che un medico debba per forza contattarne altri perché ritenuti “più esperti” non si sa bene perché. Valuterà lui.
Ho sempre creduto nella medicina d’urgenza e ho passato la vita a imparare ogni skill per lavorare nel migliore dei modi.
Cercherò di formare nuovi medici. E se rimarrò da solo con le mie idee va bene lo stesso 🙂
Un meu non deve chiamare il rianimatore su un arresto e mai ho detto questo. Se però hai un rosc il rianimatore lo devi chiamare eccome anche perché il paziente poi lo prenderò io in ICU e quindi è giusto e corretto che se posso lo gestisco io non appena possibile. Stesso discorso vale per tutti i pazienti che hanno indicazione al ricovero in terapia intensiva/rianimazione perché non siamo un parcheggio per pazienti già rianimati ma siamo la zona dell’ospedale più adatta alla rianimazione di un paziente per setting, skill, rapporto medico paziente e infermiere paziente etc etc.
L’anestesista rimarrà sempre il massimo esperto in gestione della via aerea per fortuna (così come è in tutto il mondo) perché come hai avuto modo di vedere l’unica maniera per imparare è fare sala operatoria e lì ci sta’ l’anestesista. Non è che io da domani posso andare tutti i giorni in sala di otorino a fare da primo operatore tracheostomie chirurgiche per poi farmele da solo se la percutanea non è fattibile perché questo non è il modo di lavorare in team ed in sicurezza per il paziente.
La gestione della via aerea base fatela pure in tranquillità ma quella difficile va gestita con il supporto di chi ne sa di più.
Un giorno arriveranno dei paramedici o degli infermieri che piano piano pretenderanno di fare quello che voi fate, volete fare e avete studiato tanto per fare. Vedremo la reazione delle vostre associazioni.
Un giorno mi piacerebbe che provaste anche voi la sensazione di essere usati come parcheggio per pazienti su cui è già stato fatto in ambiente non ottimale (spesso male ma questo è un’altro discorso) quello che tu hai studiato per fare e quello che tu sei pagato per fare nel miglior setting possibile.
La gestione di quella difficile non c’è dubbio. Sempre chiamato prima. Perché ne viene il bene del paziente.
Ma secondo me il punto è un altro: io non rubo il lavoro dell’AR. Non ho la capacità di gestire fino in fondo una anestesia generale, di decidere quale anestesia. Non so assolutamente gestire un paziente in rianimazione. Ma zero. Non sono esperto nella ventilazione, soprattutto ards…
Ma mai ora come ora mi ci azzarderei.
Nessuno vuole rubare il mestiere a nessuno.
Solo che se sono il medico dell’area rossa e mi arriva in shock room un periarresto al giorno, ne converrai che non ha senso che io debba stare al telefono a chiamare qualcunaltro e guardarlo mentre slitta verso l’arresto o ventilare in ambu uno stomaco pieno. Imparo e gestisco il paziente. O la shock room la tiene l’anestesista o il meu impara a gestire le emergenze. Tranne ovviamente, su casi particolari.
Infatti non ho mai detto questo. Sono d’accordissimo che la gestione iniziale vada fatta da voi che dovreste avere le competenze per farlo.
Il problema è che per molti che ho conosciuto la gestione dovrebbe essere interamente vostra e questo non succede neanche negli USA proprio perché le terapie intensive sono fatte apposta per rianimare il malato nel miglior setting possibile.
Il compito della shock room è stabilizzare il paziente in attesa del trasferimento e non come vorrebbero molti quello di gestire per esempio lo shock settico in toto.
Ricordo che anche nelle LG è ben specificato che ogni ora di ritardo di trasferimento in ICU comporta un aumento della mortalità del 10% in questo caso. E faccio questo esempio perché mi è stato detto di persona.
In alcuni ospedali c’è il punto di rianimo con anestesisti (Genova e Torino) che gestiscono i rossi avanzati è le statistiche mostrano che la clearance dei rossi e la gestione ne ha giovato molto.
Detto questo il mio pensiero è che la gestione debba essere multidisciplinare e ci voglia collaborazione. Proprio per questo motivo secondo me, come ho scritto prima, è corretto chiamare il rianimatore il prima possibile visto che poi il paziente lo prenderà lui in rianimazione.
Ti faccio un esempio; siete voi che decidete se l’appendice è chirurgica o meno o appena potete chiamate il chirurgo che decide la strada?
Credo che occorra fare anche un discorso più in generale: se si ritiene che il medico di Pronto Soccorso debba saper effettuare intubazioni o cricotiroidectomie, allora non hanno ragione di esistere le equipollenze/affinità con specializzazioni che non contemplano nel piano di studi tali procedure. Questo perché le procedure in questione non si possono imparare in poco tempo e d’altronde è proprio la durata di quelle “curve di apprendimento”, fra le altre, che giustifica i 4 anni di durata di Anestesia/rianimazione e Otorinolaringoiatria.
A mia conoscenza, nelle scuole di specializzazione in Medicina Interna gli specializzandi non fanno preparazione specifica su queste procedure, se non tramite simulazione su manichino una o due volte, anche perché se un medico nella vita professionale vuole intubare, non si iscrive certo a Medicina interna.
A mio parere, da un punto di vista logico, se si vuole che il medico di Pronto Soccorso intubi e/o faccia con naturalezza procedure tecnicamente difficili, allora non si devono assumere se non MEU o Anestesisti. Se si vogliono mantenere come veramente valide le equipollenze ex tabella, allora non si dovrebbe chiede agli Internisti o agli specialisti affini di effettuare procedure di tipo chirurgico, se non su base volontaria e con manleva da responsabilità.
Mi permetto di dire la mia misera considerazione….Come sempre,denoto una italica abitudine,ovvero salvaguardare il proprio orticello tralasciando il bene comune che é il paziente.Purtroppo il retaggio antico dato dai “porfessoroni” che magari istruivano i pochi eletti (parlo della medicina baronistica di molti anni fà),ha lasciato gli strascichi del “io ce l’ho più lungo”.
Davide HA chiamato il rianimatore che magari era occupato oppure non ha mosso le gambe di buona léna (una battuta,ovviamente) tanto che la pz é andata in acr.
Se pensassimo al pz,si istruirebbe chi lavora in certi setting,all’uso di tecniche e farmaci abitudinari a certe specializzazioni.Mi spiego….un AR non riconosce una Wellens 2 come un cardiologo o MEU,ma se lavora sul 118 sarebbe bene lo sapesse fare.Negli States,un amico molto capace direttore dipartimentale,ha istruito i suoi paramedici alle RSI,alla IOT ed alla crico.Ma non per passare da fenomeno,ma perché da lui essi sono coloro che si occupano di ET.
In parole povere,io che sono potenzialmente allergico agli imenotteri,fossi punto nel bosco,vorrei avere un elemento con capacità e competenza mi esegue una SFiB,non un pezzo di carta attaccato ad una parete che specifica il titolo,pagato da un sistema che se ne sbatte delle narcisistiche storielle di persone che altrimenti si sentono prevaricate,che protestano dell’invasione di un campo che preferiscono arido pur in parte loro,invecr di essere annaffiato da un contadino che potrebbe sapere farlo fiorire.
Bravo Davide….con tutto il cuore tanti complimenti per avere affrontato il tema dopo questa tragedia.
Ho assistito, nel vecchio ospedale dove lavoravo, a un caso esattamente identico a quello di Elaine Bromiley, che da allora sempre cito. Era una paziente di un altro collega (non MEU), giunta dal territorio con un sovraglottico, alla quale una coppia di anestesisti (probabilmente molto bravi nel loro setting ma non pronti a una situazione CICO) ha praticato 9 tentativi di intubazione (tre già fatti sul territorio prima di mettere il sovraglottico) di cui 5 con laringo normale e 4 con video per poi rinunciare a qualsiasi altra tecnica (appunto la crico, ma anche l’utilizzo di un introduttore, qualunque fosse) quando la spo2 era intorno a 30 e i qrs ormai larghi come un viale. Paziente deceduta.
Ho imparato, o meglio quella esperienza mi ha rinfrescato il concetto, che il lavoro del MEU è fare o non fare, non c’è provare. E chi sa fare è il caso che faccia tempestivamente (quando c’è indicazione), altrimenti viene meno una parte importante del suo lavoro, che non può essere fare il receptionist ad altri specialisti (70% dei colleghi negli ospedali nei quali ho lavorato).
Il punto secondo me è un altro: che non bisogna mettersi in certe situazioni.
Quindi se vuoi lavorare in PS dovresti essere non solo MEU possibilmente, ma soprattutto in grado di rispondere a situazioni di questo tipo tramite un training iniziale e un frequente retraining. Ma stiamo parlando della fantascienza quando ho sentito con le mie orecchie colleghi dire che non gli interessava imparare certe procedure (molto meno aggressive) perché tanto potevano chiamare un altro a farlo. Quindi questo sarà sempre un problema irrisolvibile. Fare il meu in maniera completa è il lavoro più difficile del mondo e meno redditizio (anzi, io ci ho iniettato migliaia di euro di corsi in autonomia e anche di attrezzatura da usare nell’ospedale pubblico) e quindi non ci va nessuno.
Stante ciò è ovvio che la gestione dell’emergenza da parte del MEU diventa un’eccezione talvolta malvista quasi che si invadesse il territorio degli anestesisti.
Nessun anestesia rianimatore pensa che il MEU invada. Chiediamo come è normale che sia che il rianimatore venga chiamato se il paziente è da rianimare e potrebbe avere una indicazione al ricovero in ICU o se il paziente va stabilizzato e portato in sala operatoria. Questo è semplicemente rispetto per il paziente e per i colleghi.
Poi personalmente chiedo umiltà. Il meu in Italia pretende di fare tutto, dai bianchi ai rossi avanzati. Questo è semplicemente umanamente impossibile. È impossibile imparare e mantenere le skill di gestione delle vie aeree o di accessi vascolari in emergenza. Proprio per questo in america esistono figure non mediche che fanno alla perfezione tutte quelle manovre in emergenza pre ospedaliera che avete elencato (questa è secondo me la strada giusta) . Voi invece volete la botte piena e la moglie ubriaca da quello che leggo.
Alla fine,tristissimo come sempre,viene fuori il carattere dell’italiano medio (parlo di un inutilissimo parere personale),che sfocia nel “ce l’ho più lungo io”…scordandosi dell importante;il paziente.A me non mi frega nulla chi agisce,m’interessa che lo sappia davvero fare e che sia lí per farlo in quanto,appunto,competente e revisionato.All’estero,nel mio piccolo,ho visto che la persona presente in emergenza ha il dovere di fare tutto ciò per salvare la persona,e per farlo é stato formato.Manca le skill?Ok…negli states sono aperti cadaver lab per chi lavora in emergenza….sia esso EMT,infermiere o medico.Qua in Italia,invece di pretendere una formazione adeguata,si difende il proprio orticello.A questo punto nessun medico,seppur operante in area critica,deve diagnosticare uno STEMI se non cardiologo,una polmonite se non pneumologo o internista,una gravidanza se non gineostetrico,un mal di gola se non ORL.
Scusate la polemica sterile che apparirá ai più,provocatoria e insulsa.Ma ricordiamoci che oltre ad essere operatori sanitari,siamo utenti.E se capitasse a voi,non vi frega nulla del titolo di chi vi salva la pelle,ma vi interessa che ne sia competente.
Buona domenica a tutti