mercoledì 4 Dicembre 2024

Detendere o non detendere?

“Ciao, di questo paziente non ho capito niente…”

Con queste parole esordisce il collega del 118 che mi porta il sig. Mirco; il paziente avverte, dalla sera prima, un vago discomfort toracico che questa mattina si è associato ad un severo quadro ipotensivo. L’ECG eseguito a domicilio rivela solo una modesta tachicardia sinusale senza alcuna modificazione ischemica; al torace sono presenti alcuni crepitii bilaterali ma niente di particolarmente significativo. La sintomatologia stessa avvertita dal paziente è piuttosto modesta; resta il fatto che il suo colorito cutaneo è caratterizzato da una sfumatura di grigio inquietante e che la PAS è 73 mmHg sostenuta da un infusione di dopamina.

Con un impulso quasi riflesso prendo la sonda cardio che mi mostra immediatamente il colpevole: in apicale è chiaramente visibile un versamento pericardico di dimensioni ragguardevoli, con collasso quasi completo del ventricolo destro. Perché il paziente è tamponato? Dato il dolore e il riscontro anamnestico esclusivamente di ipertensione la mente corre subito alla dissezione aortica; tuttavia il versamento sposta in parte il cuore sotto il manubrio sternale, così che avere un’immagine decente della radice risulta impossibile. Estendendo l’indagine ad arco e tronchi sovraortici visualizzo un’immagine compatibile con flap alla carotide interna di destra…. BINGO!!!

Chiamo il radiologo e concordo l’angio-TAC… ma come porto il paziente in piastra radiologica? La pressione arteriosa sistolica è ora di 58 mmHg ed il paziente è sempre più marezzato. Decido di temporeggiare con un bolo di liquidi associandolo all’infusione di noradrenalina che va a sostituire la dopamina (na onta e na ponta come si dice dalle mie parti). Questo mi permette di raggiungere una pressione decente e di portare il paziente in TAC.

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Flap di dissezione si estende del piano valvolare a tutta l’aorta toracica, sino al passaggio toracoaddominale e agli ultimi piani di scansione inclusi nell’indagine. L’aorta ascendente presenta diametro massimo di circa 6 cm, con compressione a carico del tronco principale e del ramo destro dell’arteria polmonare, che in corrispondenza presentano lume sensibilmente assottigliato. Versamento pericardico ematico, da tamponamento cardiaco”

La diagnosi è chiara dalle prime scansioni, ed alzo il telefono per chiamare il cardiochirurgo; tuttavia è domenica ed in sede c’è solo lo specializzando. Specialista ed equipe di sala devono venire da casa. E mentre tengo a bada il mio paziente attendendo che il personale arrivi e la sala sia pronta mi chiedo cosa fare di questo versamento tamponante e soprattutto di cosa farò se la situazione dovesse precipitare prima di avere la sala…

 

DETENDERE O NON DETENDERE? QUESTO E’ IL PROBLEMA….

Olivier

La risposta, secondo l’insegnamento classico, appare scontata: il drenaggio di un tamponamento pericardico in corso di dissezione aortica tipo A è controindicato (Classe III Linee Guida ESC 2001(1) – le linee guida del 2014 addirittura non la citano nemmeno). Il rischio è quello di destabilizzare l’eventuale coagulo e rifornire ulteriormente il versamento, peggiorando la dissezione. Certo è che anche la prospettiva di indurre l’anestesia in un paziente tamponato non è allettante, dato che ogni minima diminuzione del precarico rischia di scatenare un quadro di PEA; e poi come la mettiamo con l’ischemia a valle? Intestino, fegato, reni mal perfusi che, seppur in secondo piano nel momento dell’emergenza vascolare, torneranno a farsi sentire nel decorso post-operatorio. In effetti l’acido lattico del mio paziente è di 11, a dimostrazione che la perfusione periferica non è adeguata. L’alternativa è di insistere con la noradrenalina e l’aumento del precarico, ma siamo sicuri che sia meglio? E lo stress di parete?

Le fonti bibliografiche alla base di questa proscrizione si limitano fondamentalmente ad un singolo studio, quello di Isselbacher (1991)(2). Si tratta di una case series di 10 pazienti con tamponamento cardiaco: di questi 3 erano già in arresto all’arrivo in PS, ed in arresto sono rimasti. Per quanto riguarda i restanti 7 la pericardiocentesi è stata effettuata in 5 pazienti (3 deceduti e 2 sopravvissuti) mentre gli ultimi 2 in cui non è stata eseguita sono entrambi sopravvissuti. In base a questi numeri, piuttosto scarni, gli autori sconsigliano di eseguire il drenaggio di un tamponamento cardiaco in corso di dissezione aortica, perché associato a maggiore mortalità. Peraltro osservando con attenzione i casi riportati, si nota che la quantità di sangue drenata era imponente: 100-300 cc fino ad arrivare a 1200 cc in un caso (!); inoltre i risultati emodinamici erano altrettanto aggressivi, visto che le pressioni dopo drenaggio risultavano elevate (PAS 120-160), ben oltre il target consigliato in corso di dissezione. E se avessero provato ad aspirare solo il minimo necessario ad ottenere una pressione sufficiente a garantire un minimo di perfusione periferica?

E’ quello che ha provato a fare un gruppo giapponese, che ha presentato nel 2012 la sua esperienza su 18 pazienti con tamponamento cardiaco associato a dissezione tipo A(3). Si trattava di pazienti in shock la cui diagnosi di tamponamento era stata fatta ecograficamente in Pronto Soccorso e nei quali persisteva ipotensione dopo aumento del precarico con 1000cc di liquidi. Era stata eseguita una pericardiocentesi mediante posizionamento ecoguidato di un catetere tipo pigtail con evacuazione della minima quantità di sangue necessario ad ottenere una PAS di 80-90 mmHg; tutti i pazienti venivano poi portati in sala non appena questa era disponibile.

I risultati sono stati incoraggianti: i volumi medi aspirati sono stati di 40 cc e la risposta emodinamica è stata pronta, senza nessuna evidenza di rifornimento del versamento. Sulla base di questo studio le recenti linee guida AHA sulla gestione della dissezione aortica ritengono possibile la cauta aspirazione della minima quantità di sangue necessaria a ottenere la stabilità emodinamica come misura temporanea in attesa dell’intervento cardiochirurgico(4).

A posteriori penso che questi dati ci debbano indurre a non escludere a priori la pericardiocentesi nei pazienti con tamponamento in corso di dissezione con emodinamica instabile in particolare nei pazienti in arresto/periarresto o quando l’intervento non è immediatamente eseguibile e magari si rende necessario trasferire il paziente verso un centro dotato di cardiochirurgia.

 

Bibliografia

  1. Erbel R, Alfonso F, Boileau C, Dirsch O, Eber B, Haverich A, Rakowski H, Struyven J, Radegran K, Sechtem U, Taylor J, Zollikofer C, Klein WW, Mulder B, Providencia LA. Diagnosis and management of aortic dissection task force on aortic dissection, european society of cardiology. Eur Heart J 2001 The Oxford University Press;22(18):1642-81 (link)
  2. Isselbacher EM, Cigarroa JE, Eagle KA. Cardiac tamponade complicating proximal aortic dissection. is pericardiocentesis harmful? Circulation 1994 November 01;90(5):2375-8 (link)
  3. Hayashi T, Tsukube T, Yamashita T, Haraguchi T, Matsukawa R, Kozawa S, Ogawa K, Okita Y. Impact of controlled pericardial drainage on critical cardiac tamponade with acute type A aortic dissection. Circulation 2012 September 11;126(11 suppl 1):S97-S101 (link)
  4. Hiratzka LF, Bakris GL, Beckman JA, Bersin RM, Carr VF, Casey DE, Eagle KA, Hermann LK, Isselbacher EM, Kazerooni EA, Kouchoukos NT, Lytle BW, Milewicz DM, Reich DL, Sen S, Shinn JA, Svensson LG, Williams DM. 2010 ACCF/AHA/AATS/ACR/ASA/SCA/SCAI/SIR/STS/SVM guidelines for the diagnosis and management of patients with thoracic aortic disease. Circulation 2010 April 06;121(13):e266-369 (link)
Giacomo Magagnotti
Giacomo Magagnotti
Specialista in Medicina d'Emergenza-Urgenza C.O.P. SUEM 118 Mestre-Venezia Twitter @docjmaga Google+: + Giacomo Magagnotti

26 Commenti

  1. Ciao, bel post.. su un gran bell’argomento. Ho solo una esperienza, indiretta, di tamponamento cardiaco e dissezione aortica. Il drenaggio di pochi cc di sangue sotto monitoraggio ecocardiografico continuo (monitorizzando la riespansione del VD) hanno consentito al paziente di poter arrivare in sala operatoria vivo e vegeto. Concordo con i Giapponesi che hai citato…

    • Ciao Mauro,
      grazie per i complimenti!
      Fa piacere sapere che ci sia chi il drenaggio lo fa nonostante il “diktat” della tradizione! 🙂

  2. La decisione se pungere o no è davvero molto critica, ma forse una via di mezzo potrebbe essere ragionevolmente fattibile (drenare parzialmente ). I nostri cardioch di riferimento (che non stanno nel mio H) non vogliono che dreniamo. Ultimo nostro caso 2 settimane fa: ero appena arrivata e avrei dovuto portare io la signora via, ma dopo l’ennesimo ACR – aveva ormai un tamponamento spaventoso- se n’è ita sul letto del Ps.
    Una domanda:

    “E mentre tengo a bada il mio paziente attendendo che il personale arrivi e la sala sia pronta mi chiedo cosa fare di questo versamento tamponante e soprattutto di cosa farò se la situazione dovesse precipitare prima di avere la sala…”
    Scusa…chiamare il rianimatore/anestesista che magari poi porta il paz in sala e far gestire a lui il resto della storia…no? Che un pa arrivi da casa e viene sparato direttamente in sala in emergenza senza passare per le mani di quasi nessuno(vedi distacco di placenta con emorragia imponente ad es), mi va bene: mi arrangio e faccio tutto sul momento. ..
    ma che mi arrivi in sala un paz che ha stazionato per un bel po di tempo in ps (dove ha pure fatto una TAC) in condizioni disperate senza essere stata chiamata prima per gestirmerlo come ritengo meglio io ai fini della sala op….questo non va.
    Spero che tu abbia omesso questo particolare solo per centrare la gestione su di te, e abbia invece chiamato o almeno allertato l’anestesista appena fatta ecografia e dunque diagnosi e prima di andare in TAC.
    La donna alla fine è morta o è andata bene?

  3. Ciao Arianna, chiedo scusa se mi intrometto ma credo tu sappia che esistono realta’in cui i medici d’emergenza sanno gestire perfettamente i malati critici, per cui non sempre e’necessario chiamare il rianimatore. Molto verosimilmente questo e’uno dei casi e la speranza e’ che, nel tempo, sia sempre piu’diffusa questo tipo di realta’. Questa non e’una polemica ma una cosa in cui io credo e ritengo sia necessario sottolineare.
    Imma

  4. La mia non è una polemica sul saper gestire o no. È solo un voler sottolineare che chi porta in sala operatoria il paziente e poi se lo gratta in sala perché deve possibilmente stabilizzarlo prima di indurre l’anestesia (o anche no se non c’è tempo – ma qua il tempo ci sarebbe), monitorarlo in modo adeguato ovvero in modo invasivo (e sempre se c’è tempo è opportuno anticiparsi prima), organizzarsi in modo adeguato con trasfusionale, proseguire con mantenimento dell’anestesia con l’obiettivo di farlo uscire vivo e senza danni dalla sala, e infine portarlo in TI – ovviamente casi del genere non si svegliano a fine intervento – proseguendo l’intensità di cure in un continuum tra sala e TI,
    è l’anestesista, non il medico di PS.
    Chi porta in sala un’emergenza , vi assicuro, gradisce “impacchettarsi ” da sé il paziente, perché sa perfettamente poi cosa farà in sala e soprattutto COME. È una questione di continuità. Se e quando un giorno vorrei andrete anche in sala a fare il nostro lavoro, allora saprete esattamente cosa è meglio fare “guidandolo” nel viaggio dei sogni, con tutte le responsabilità , difficoltà e oneri che ciò comporta.
    A ognuno il suo lavoro. Un paz che deve andare in sala ed è critico DEVE passare rapidamente a chi lo porterà e lo seguirà in sala. Il confine può essere sottile per chi lavora in PS, oppure per molti non esiste affatto, invece io vi invito a riflettere su questo.
    Ciò che scrive il collega, chiedendosi cosa fare col versamento e soprattutto cosa fare se la situazione dovesse peggiorare prima di andare in sala,
    beh
    è emblematico. La risposta la trovo ovvia: chiama l’anestesista (per i motivi spiegati sopra) Spero lo abbia fatto. E spero ci dica anche come è evoluto il caso, scrivendo come è proseguito il trattamento della paz.

    • Cara Arianna,
      come ho scritto nel post essendo domenica non era presente il personale di sala, e questo includeva anche l’anestesista che avrebbe condotto l’intervento (come in molti grandi ospedali anche da noi ci sono gruppi più o meno omogenei che si dedicano alle varie chirurgie specialistiche – neuroanestesisti, cardioanestesisti ecc.); non appena la sala è stata attiva (e quindi in pratica l’anestesista ed il suo infermiere erano in sede) abbiamo trasferito il paziente. Ovviamente nel frattempo il paziente era stato “impacchettato”, compreso il monitoraggio invasivo.
      Per quanto riguarda l’epilogo il paziente è arrivato in sala cosciente, ben orientato, con una sistolica di 80; purtroppo però è andato in PEA all’induzione. Da qui alcune delle considerazioni che hanno fatto nascere questo post. E’ stato poi messo in ECMO (in sala ovviamente) e nel contempo è stata portata avanti la sternotomia e la procedura chirurgica. Ad oggi è ancora in TIPO ed attendiamo fiduciosi.
      Un saluto

  5. Bellissimo post, e sapete perché? Perché è bello l’argomento, sono interessanti gli interventi e sono giuste le risposte e le obiezioni. In fondo fa chiarezza a tutti noi di quello che dovrebbe avvenire in un sistema sanitario ideale dove devono esserci emergentisti attenti con elevato indice di sospetto e competenza tecnica autonoma diagnostica e rianimatori collaboranti e consapevoli che la anticipazione del proprio intervento, in un paziente critico da portare in sala, contribuirà notevolmente a cambiare la prognosi a breve e lungo termine, nella sopravvivenza e nella qualità di vita; e dove gli specialisti di II livello guardano positivamente a ciò che nella sala di emergenza può essere fatto per aumentare le probabilità di invio nei loro reparti di un paziente critico . Quanto il sistema ideale sia vicino al sistema reale … purtroppo ognuno di noi lo constata tutti i giorni. Se proprio devo esprimere un parere sulla gestione della “golden hour” di questa patologia, qualche volta si ha la percezione che un paziente dissecato e “permissivamente” instabile non si faccia proprio “… a gara” per farlo uscire dal PS.

    • Ciao Paola,
      grazie del complimento e soprattutto grazie dello splendido commento che esprime con grande eleganza l’obiettivo che in tanti, giorno dopo giorno, cerchiamo di raggiungere!

  6. Scusa Arianna, ma io proprio non capisco. Il medico d’emergenza esattamente cosa dovrebbe fare? Un po di toradol nelle lombalgie? Io potrei dirti che su un malato acuto non sono assolutamente d’accordo che vada in sala di rianimazione perché il rianimatore non ha le competenze diagnostiche del medico di pronto soccorso proprio perché la finezza diagnostica clinica e ecografica la conquisti su tutti quei codici gialli e verdi che talvolta nascondono il malato critico. In area rossa serve l’approccio di quel medico, un medico che ragioni in termini di occhio, di ecografia a 360 gradi, un medico ciò garantisca la continuità col territorio, che conosca bene la medicina interna, la diagnostica.. non un medico che passa le giornate tra la sala e la rianimo, che fa un altro, bellissimo, ma un altro, lavoro. Il pronto soccorso è un ponte tra il territorio e l’ospedale, il malato critico in pronto soccorso non è il malato critico della sala.. in pronto soccorso un malato che va a trenta di frequenza non si fa atropina, ma si fa una diagnosi, un eco, un ega, si inquadra, si legge il tracciato, si valuta quale amina. È un paziente diverso.. e la diagnosi e la terapia sono un continuum. Non capisco perché l’anestesista può impacchettare chiunque e il medico di pronto soccorso più che gestire un bianco non può fare. Invece dovrebbe essere il medico della prima ora, quella che fa la differenza. Nessun cardiologo mai avrà da ridire se sul tracciato di una Wellens o su uno stemi mascherato impostiamo già una terapia sulla base di una ipocinesia segmentaria, o se su una sincope con segni ecocardio di tep, ipotensione e cus positiva facciamo la trombolisi.. perché se il malato viene dal territorio, è il nostro mestiere.. come è il nostro mestiere gestire la niv in un malato acido, e decidere di indurlo e intubarlo visto che ogni giorno vediamo decine di malati critici, dispnoici e abbiamo quel tipo di background.. non è nostro compito gestire le difficoltà della terapia intensiva, quello è il vostro compito.. come è compito del cardiologo coronarografare.. I tempi cambiano. Gli urgentisti sono formati anche nelle rianimazioni e nelle sale proprio perché è forse più importante avere una continuità forte tra la casa e il pronto soccorso che tra il pronto soccorso e la terapia intensiva..

  7. Caro Alberto,
    la risposta te l’ha già data il collega che scritto prima di te: Paolo dell’Aquila. Mi pare sia tra tutti il commento più realistico ed equilibrato. Ben vengano i colleghi molto bravi che in pronto soccorso sanno gestire tante cose, ma nella nostra realtà italiana sono ancora troppo pochi. I ruoli del pronto soccorsista, del rianimatore e dell’anestesista sono ben diversi e devono essere mantenuti tali, e possibilmente quando si incrociano i rapporti dovrebbero essere collaborativi. Il ruolo del medico di pronto soccorso è quello di inquadrare il paziente, se possibile fare diagnosi e avviare i primi trattamenti , mentre individua la collocazione che avrà quel paz nel suo immediato futuro : cardio, TI, medicina, chir, sala operatoria….nel momento in cui la destinazione è decisa, soprattutto se il caso è critico, a mio avviso devono subentrare i colleghi che lo accoglieranno per valutarlo, eventualmente sistemarlo e portarselo dove deve andare. È una questione di catena dell’assistenza, non un voler discrimare il vostro ruolo. Ognuno deve fare il suo, appunto. Mi sembra così semplice e ovvio, che non capisco le vostre recriminazioni. Se ognuno fa il suo in modo corretto ,puntuale e in collaborazione, il paziente non ne può che beneficiare. Se si lavora con una punta di veleno per voler dimostrare che il vostro ruolo negli anni sta cambiando e finalmente sta diventando quello che avrebbe sempre dovuto essere, cercando anche talvolta di entrare in altri compiti, allora a mio avviso così non viene fatto il bene del paz

    • Ciao Giacomo. Anzitutto complimenti per l’interessantissimo post. é la prima volta che scrivo e quindi subito presentazioni!! Fabio Numis, medicina d’urgenza Ospedale S. Paolo Napoli. Ho affrontato anch’io un caso simile circa 1 anno fa. Il sospetto diagnostico di tamponamento da rottura di Aorta lo feci prima della pericardiocentesi ecoguidata; la diagnosi di certezza fu fatta dopo con la angio-TC. Il paziente era in shock, la diagnosi del tipo di shock fu abbastanza semplice da fare grazie all’eco. Devo dirti che io non ebbi dubbi a fare immediatamente la pericardiocentesi, indipendentemente dalla diagnosi (forse per ignoranza…). In verità penso che in codice rosso, di fronte ad un paziente in shock e con diagnosi fatta di tamponamento cardiaco, non responsivo ai fluidi (ho avuto una discreta reticenza ad utilizzare le amine in questo caso…) non si ha altra scelta che drenare il versamento. Io lo feci utilizzando un CVC, aspirando circa 50 cc e lasciandolo in sede per le eventuali successive piccole aspirazioni. Quest’ultime si resero necessarie durante il trasporto in ambulanza c/o la CCH recettiva in quel momento. Mi sento di aggiungere/confermare che, come tutti sappiamo, questi pazienti (il tuo ed il mio) in teoria non possono e non devono andare in Radiologia se instabili. Credo che le amine rendano il paziente fittiziamente più stabile e non debbano essere utilizzate in questo caso. Non è la pressione arteriosa che rende la perfusione migliore. Per le linee guida ALS in un caso del genere siamo ancora nella “primary survey”, abbiamo individuato un “life-threatening problem” e ora dobbiamo passare immediatamente alla “resuscitation” e non alla “secondary survey”…Grazie ancora ed a presto.

    • Cara Arianna, condivido in parte le tue preoccupazioni di metodo, credo però che le cordiali risposte dei colleghi non siano state colte a fondo. In PS lavorano i medici d’emergenza-urgenza, non faccio riferimento ai soli pochi usciti dalla nuova tanta osteggiata specialità, e non i professionisti della bruttissima definizione ” PS d’accettazione e d’urgenza” che non rende onore al loro lavoro quotidiano ghettizzandoli in una sorta di limbo smistatore. Voler sottolineare una scarsa preparazione dei colleghi di ps di fronte alla criticità, prediligendo la figura del rianimatore, sempre pronto e preparato, appare molto lontano dalla realtà quotidiana. Questo bellissimo articolo parla di scienza e non di politica, complimenti quindi all’autore per gli spunti di riflessione che ci ha concesso. Grazie.

  8. Ciao Giacomo. Anzitutto complimenti per l’interessantissimo post. é la prima volta che scrivo e quindi subito presentazioni!! Fabio Numis, medicina d’urgenza Ospedale S. Paolo Napoli. Ho affrontato anch’io un caso simile circa 1 anno fa. Il sospetto diagnostico di tamponamento da rottura di Aorta lo feci prima della pericardiocentesi ecoguidata; la diagnosi di certezza fu fatta dopo con la angio-TC. Il paziente era in shock, la diagnosi del tipo di shock fu abbastanza semplice da fare grazie all’eco. Devo dirti che io non ebbi dubbi a fare immediatamente la pericardiocentesi, indipendentemente dalla diagnosi (forse per ignoranza…). In verità penso che in codice rosso, di fronte ad un paziente in shock e con diagnosi fatta di tamponamento cardiaco, non responsivo ai fluidi (ho avuto una discreta reticenza ad utilizzare le amine in questo caso…) non si ha altra scelta che drenare il versamento. Io lo feci utilizzando un CVC, aspirando circa 50 cc e lasciandolo in sede per le eventuali successive piccole aspirazioni. Quest’ultime si resero necessarie durante il trasporto in ambulanza c/o la CCH recettiva in quel momento. Mi sento di aggiungere/confermare che, come tutti sappiamo, questi pazienti (il tuo ed il mio) in teoria non possono e non devono andare in Radiologia se instabili. Credo che le amine rendano il paziente fittiziamente più stabile e non debbano essere utilizzate in questo caso. Non è la pressione arteriosa che rende la perfusione migliore. Per le linee guida ALS in un caso del genere siamo ancora nella “primary survey”, abbiamo individuato un “life-threatening problem” e ora dobbiamo passare immediatamente alla “resuscitation” e non alla “secondary survey”…Grazie ancora ed a presto.

    • Ciao Fabio,
      grazie per la tua esperienza! Per quanto riguarda la radiologia io penso sia difficile far andare al tavolo operatorio una dissezione aortica senza l’imaging TAC. A differenza di altre situazioni (vedi AAA in rottura o emoperitoneo instabile nel trauma) nella dissezione ci sono alcune specificità relative anche al tipo di decorso per le quali l’acquisizione di un’immagine TAC credo sia un passaggio necessario anche per garantire un adeguato atto chirurgico; proprio in questo senso il drenaggio controllato del tamponamento può essere uno strumento che ci aiuti a mantenere la stabilità clinica necessaria.

  9. Un paio di anni fa ho portato via un giovane paz con diagnosi di dissecazione fatta solo con eco. Era molto giovane , e essendo stato l’ecocardio del cardiologo indiscutibilmente dirimenti ai fini diagnostici, in accordo con Cch , non abbiamo fatto TAC (avremmo dovuto aspettare i rep da casa), e ho consegnato il paz direttamente in sala op dell’H di riferimento. In genere però viene quasi sempre fatta TAC da noi. Questo fa perdere tempo e riduce prognosi positiva, perché è appunto una lotta contro il tempo.

  10. Bel caso,ottimo articolo,incrociamo non solo le dita per il paziente…quanto alle polemiche(civilissime)mi sento di dire che purtroppo ad oggi,2015,paghiamo la solita prassi italiana che ha tollerato per anni che il medico di PS fosse,a scelta,il reietto di reparto,il giovane specializzando o il tappabuchi,di sicuro una figura non normata e senza formazione specifica,quando poi dopo decenni,per esigenze molto politiche e poco pratiche,si è voluto normare il tutto lo si è fatto nel peggiore dei modi,creando una scuola che rischia di sfornare professionisti formati che non hanno un substrato di inserimento professionale.vanno a fare gli urgentisti sul territorio?anche no tanto buona parte dei SIS118 non chiedono specifica formazione,vanno nei DEA?certo ,ovvio,ma nella maggioranza dei PS troveranno colleghi che vivono BENISSIMO facendo i passacarte dei codici bianchi e verdi sapendo a memoria l’interno di anestesista-cardiologo-neurologo-ortopedico.La creazione della scuola di specialità è stato un merissimo atto formale,cambiare mentalità radicate è quasi improbo come compito(nota:considerando che per venti anni è andato a tutti,benissimo,sbolognare patate bollenti agli anestesisti!).Il decreto Mussi ha solo esacerbato lo scontro urgentisti vs. anestesisti non dando soluzioni e non dando linee guida certe e chiare su cosa debba fare un urgentista(e non ci andavano geni,bastava guardare fuori dai confini e vedere cosa fa il Notarzt tedesco ad esempio e come vive benissimo con i colleghi dei servizi di anestesia) ottenendo solo di squalificare ancora di più la figura del medico d’urgenza e di aprire la porta(e ne ho visti tanti ad oggi in facoltà!)al peggiore dei mali:i “segati” in anestesia alla scuola che si riciclano nell’altra non capendo che sono due mondi molto diversi,o almeno dovrebbero esserlo.

    • Caro Daniele,
      mi dispiace che la tua esperienza di Pronto Soccorso sia questo, posso solo suggerirti di venire a fare un giro in qualcuno dei DEA che funzionano (in questa bella penisola ce ne sono tanti): sono sicuro sarebbe un’esperienza illuminante.
      Per quanto riguarda le tue affermazioni circa la scuola di specializzazione in medicina d’emergenza come atto meramente formale o come area di “riciclo” per “segati” ti prego di usare un tono più rispettoso, anche al fine di evitare di offendere colleghi specialisti più suscettibili di me. In particolare l’intento di questo post è scientifico, ritengo altri spazi siano più idonei a discussioni circa l’organizzazione del SSN. Grazie.

      • Carissimo ritengo che se vogliamo crescere dobbiamo anche saper riconoscere i limiti senza raccontarci favole:la figura dell’urgentista é delineata?no la figura é normata bene?no é uguale sul territorio naziknale? no chi non entra ad anestesia si ributta su medicina di urgenza? si. se vuoi che ti dica che é tutto bellissimo nei DEA italiani,no perché non é vero,perché l’urgentista al 85% fa il passacarte e infatti nei commenti sono bastate 4 osservazioni per la classica scornata anestesista vs. urgentista,da manuale.Non vogliamo parlare dei problemi che abbiamo?liberissimo ma mettere la testa sotto la sabbia non serve a nessuno.

        • Sono letteralmente basita.
          Perché denigrare in questo modo chi non è entrato nella scuola di anestesia e ha scelto in seconda battuta la scuola di medicina d’urgenza? io credo che tutti i laureati in medicina e tutti gli specializzandi meritino rispetto e non credo che esistano specialità di serie A o di serie B. Non credo che chi sceglie una specialità, e sfortunatamente per lui non vi entra, sia un cretino nel decidere di cambiare strada (sappiamo tutti perfettamente come si svolgono mediamente molti concorsi). Come non credo che la scuola di medicina d’urgenza sia il ” bidone delle immondizie ” se tra gli specialisti vi sono anche quelli che provengono da altre precedenti scelte, qualunque esse siano. Infine non credo nemmeno che la scuola di medicina d’urgenza sia la soluzione superfiga delle annose problematiche dei PS, perché finché i pronto soccorsi saranno oberati di lavoro e richieste non consone , chi vi lavora purtroppo, che sia chi che sia, continuerà a perdersi tra le carte e la risoluzione di richieste assurde ed improbabili anche causate dalle voragini del territorio. Inoltre il PS è un luogo di diagnosi e cura molto temporanei, perché i paz poi vengono inviati nei reparti di competenza.
          Caro Riccardo,
          mi pare che nessuno abbia mai ‘ghettizzato” in questo sito il vostro lavoro. Io non di certo. Sicuramente smuovo la monotonia dei molti commenti che contengono molte volte solo ahimè complimenti – che vanno benissimo, per l’amor del cielo, ma non aprono alcuna discussione interessante. Sicuramente io scrivo riflessioni o puntualizzazioni “scomode” o “fastidiose” , ma personalmente non mi sono mai sentita né qui ne’ tantomeno sul lavoro, “attaccata” o in competizione con voi che lavorate in PS. Io quotidianamente faccio il mio e ne rispondo, e così deve essere per gli altri. Voi invece spesso date l’impressione di sentirvi in competizione in particolare con noi senza capire che non ha senso, anzi è proprio questa la vostra debolezza. Chi sa il fatto suo , non ha nulla da dimostrare: lo fa e basta . Forse sul web si perde un po’ il senso della realtà

          • Scusate ma sento il dovere di intervenire. Lavoro da 5 anni e mezzo nella UOC di PS e Medicina d’Urgenza dell’Ospedale S. Paolo. Da noi c’è il chirurgo, l’ortopedico, il rianimatore…ma il sottoscritto e quelli che come me ritengono che il medico d’urgenza debba saper fare tutto, non rilevano quasi mai la necessità di coinvolgere gli specialisti di cui sopra (spesso chiamati solo per una mera condivisione di responsabilità e non per un reale supporto). Prima dell’esperienza del S. Paolo ho lavorato c/o la UOC di PS e Medicina d’Urgenza dell’Ospedale Moscati di Aversa per altri “lunghissimi” 5 anni e mezzo. La mia ex-primaria, la dott.ssa Raucci, sicuramente lungimirante, ci vietava di chiedere consulenze: i percorsi erano condivisi con tutti gli altri specialisti dell’Ospedale ma si era in grado di intervenire in ogni tipo di emergenza. Non esistono etichette. Ai colleghi rianimatori che sono intervenuti nella discussione dico che, per quello che mi riguarda, FA CHI SA FARE. Non sempre i rianimatori sanno fare più o meglio del medico d’urgenza. Direi che la mia vita quotidiana dimostra molto spesso il contrario.
            Nell’ultimo anno e mezzo ho eseguito 3 pericardiocentesi ecoguidate. Non molte decisamente…ma purtroppo ne ho fatte più dei rianimatori che con me hanno gestito i 3 pazienti. Per questo motivo mi hanno lasciato fare. Questo è, serenamente, il significato del giusto collaborare. I pazienti sono stati intubati, ovviamente non da me…

  11. Ma infatti Fabio, l’importante è che si faccia ciò che si sa fare (bene però). E chi fa risponde del proprio operato nel bene e nel male. Il non chiamare lo specialista deve implicare però ,la certezza di saperlo sostituire in toto nel trattamento medico e nelle manovre che ci si accinge a fare, qualsiasi cosa accada ,portando a termine le cure senza chiamare , e assumendosi oneri ,onori e ovviamente la responsabilita’ di eventuali errori o malpractice. Oppure, contrariamente si decide di condividere in modo collaborativo e con rispetto reciproco.

  12. …che il medico del pronto soccorso debba saper fare tutto, questo non condivido. Se così fosse o dovrebbe essere secondo l’opinione vostra, allora le varie specialità sarebbero inutili e dovrebbero istituire una unica per voi: la “specialità di tuttologia”, ma forse 20 anni non basterebbe per farla….

  13. Sono passati 5 anni.
    E le parole di Daniele sono sempre più attuali.
    I ps vanno a bagno.
    Nei ps sempre di più si trovano medici a gettone, medici non specialisti.. Tanto basta alzare il telefono e la parte clinica viene gestita dal consulente.
    Per chi, come me, ha passato il suo tempo libero negli ultimi 5 anni in sala operatoria o con specialisti vari a imparare procedure e skills, raggiungendo ormai una discreta autonomia, confermata dal numero (centinaia) di procedure.. Il “non chiamare” é sempre un terno al lotto, perché l’impressione è che tu sia comunque un medico di serie B, e stride il fatto che tu abbia deciso qualcosa che riguarda l’urgenza, in autonomia.
    Purtoppo finché gli urgentisti saranno mosche bianche sarà sempre peggio.
    Al massimo “ti concedono” un’intubazione, ma non sarà mai un confronto alla pari.
    Il team leader dell’urgenza non é il medico d’urgenza.
    E le cose stanno andando sempre peggio….

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