Report da una trincea qualunque di un paese in guerra

1. Ho scoperto la paura.
Siede vicino a me in macchina quando salgo per dirigermi a lavoro.
Si cambia nell’armadietto vicino al mio nello spogliatoio maschile. Indossa una divisa monouso blu, proprio come la mia. Poi mi fissa durante i miei turni, in sala emergenza o negli ambulatorio dei codici verdi, nella parte sporca o in quella pulita di un pronto soccorso ferito.
Appena volgo lo sguardo è lì, compagna fedele ed inseparabile. Ho cercato di conoscerla. Ho scoperto che non è la paura del contagio o di essere contagiato.
Il mio fatalismo nichilista ha avuto la meglio su questo legittimo primordiale istinto umano.
Magari è già successo, probabilmente succederà. La mia paura è differente.
E’ La paura di essere impotente, di essere inadatto. La paura di non essere pronto. Di non essere abbastanza. E di essere solo.
2. Ho scoperto la voglia di dimissioni, licenziamenti e fughe.
L’ ho incontrato un giorno.
Aveva la sembianza di un ventilatore negato ad un paziente senza fiato in attesa di un tampone.
Aveva la forma di una sedia vuota vicino ad un 90enne che stava morendo.
Ho scoperto la voglia di abbandonare.
Ho scoperto il coraggio di essere codardo.
La serenità nel non dover accettare alcune responsabilità ma chiudersi in un piccolo angolo ed aspettare la fine della bufera.

3. Ho scoperto la paura di tornare a casa.
Siedeva vicino a me in macchina una sera che tornavo a casa dopo un turno particolarmente faticoso.
Mi ha accompagnato fin dentro casa e poi si è seduta al fondo del letto. Era una paura diversa.
Era la paura Di contagiare. Di essere l’untore.
Nonostante la sua compagnia, ho scoperto la solitudine di un autoisolamento domiciliare in cui vivevo gli stessi fantasmi lavorativi senza aver nessun con cui condividerli per combatterli efficacemente.
4. Ho scoperto che si possono costruire porte ermetiche e muri in poche ore dove prima vi erano corridoi comunicanti per dividere il “pulito” e lo “sporco”.
Ho scoperto mascherine che proteggono dai microorganismi più piccoli ma che nascondono i sorrisi.
Visor che proteggono i volti ma che non fanno vedere gli occhi.
Cuffie che raccolgono i capelli ma che coprono le orecchie rendendole sorde.
Camici che rendono impermeabile ma che isolano.
Circondato da tute asettiche tutte uguali senza volto, non riconosco più il collega vicino a me.
E scopro di essere solo. Di volerlo urlare. Ma non c’è nessuno che mi ascolta.

5. Ho scoperto l’angoscia di vedere nel prossimo paziente il tuo collega.
Lo specialista che avevi chiamato fino ad ieri su un caso complicato. Il consulente che cerchi perché vuoi proprio lui.
E lui ti aveva detto: “no, dai non vengo che c’è il coronavirus in questo periodo in pronto” e poi era già dietro di te, pronto ad aiutarti.
Il tuo compagno di lavoro, quello con cui qualche settimana prima avevi scherzato seduto al tavolo della tisaneria. Adesso lo guardi, un pò più pallido, sudato, molto più dispnoico.
E, nonostante il visor, la vedi questa volta. Perché quella la vedi sempre. Nei suoi occhi la sua paura, che rifletta la tua, e la sua richiesta di non farlo sentire malato.
Ho visto decine di mani che cercavano nell’aria la presenza di dita lontane. Decine di sguardi che cercavano un conforto vicino alla propria barella, purtroppo assente.
Ho scoperto che le persone muoiono in ospedale come è possibile (e non giusto) che succeda, ma i pazienti infetti e contagiosi ci muoiono, da soli, senza nessuno che stringa quelle mani contagiose, pulite ma comunque sporche.
E che parenti per noi sconosciuti lo apprenderanno da anonime telefonate in cui una voci senza nome trasformeranno per sempre la loro anima.

6. Ho imparato che bisogna imparare.
Situazioni nuove presuppongono conoscenze nuove. Ho imparato che è impossibile annullare le paure. Ho imparato che sarebbe sbagliato.
Ma ho imparato che si possono e che, soprattutto adesso, si devono combattere. Ho imparato che la competenza è la soluzione per provare a superarle le paure. Studio e confronto. Con l’umiltà di dire io non lo so, io non lo so fare. Ma con la prontezza di reagire ed imparare.

7. Ho riscoperto la voglia di uscire di casa per andare a fare il culo al virus.
Che le dimissioni le si danno a nemico sconfitto ed a pensione raggiunta. Ho imparato davvero che la resilienza può sconfiggere il moral injury.

8. Ho imparato che si può sorridere anche indossando la mascherina. Si può sorridere con gli occhi.

E che se il sorriso è particolarmente intenso non esiste visor a fermalo.

Ho imparato che non esistono muri né così spessi né cosi nuovi che non possono essere attraversati dalla voce. Perchè, ho scoperto, che i muri possono divedere ma non separare. E possono essere pagine bianche testimoni di coraggio e fratellanza. Perchè, spesso, il tuo collega ha le tue stesse paure. Ma dette ad alta voce e condivise, o scritte, non sembrano poi così terrificanti.


9. Ho scoperto che i pazienti infetti si possono abbracciare.
O forse lo sapevo già ma dovevo solo ricordarmelo.
Basta qualche DPI ed un tocco di umanità.
Però ho notato come la frequenza cardiaca e quella respiratoria si riducano e la sensazione dispnoica si attenui significativamente a seguito di un abbraccio fatto bene.
E non sto parlando del paziente, ma del medico. Provate. Ed allenatevi perché è difficile.

Ho imparato che si deve prestare il telefono ad un paziente per videochiamare il parente rimasto a casa. Per farli salutare un’ ultima volta. Perchè possano morire un pò meno soli e un pò meno spaventati. E poi ho imparato come disinfettarlo, quello cellulare. Per prestarlo al successivo. Penso sia questa la vera medicina 2.0.

10. Ho imparato la voglia di essere contagioso.
Non del virus. ma della ironia. E Dell’entusiasmo. Ho imparato che sono loro due, ironia ed entusiasmo, i miglior antidoti al virus. In attesa che il tocilizumab faccia il suo.

Ed ho anche scoperto che in questo periodo preferisco dormire a pancia sotto, la notte, con la coperta a coprirmi la testa. Con la posizione prono migliora la ventilazione alveolare ed il rapporto ventiloperfusivo polmonare. E la coperta tirata su mi protegge dagli incubi, dai mostri e dal virus. Come da piccolo mi insegnavano i miei genitori. Per sognare di inventare la giusta medicina per sconfiggere il virus e perchè no, tutte le nostre paure. Proprio come mia nipote Cecilia ha previsto.


Grazie Davide. Hai scritto le parole che pensavo di voler scrivere ma che non riuscivo ancora a trovare. Hai illuminato tutti i punti oscuri di questo dramma e li hai accesi di speranza. Hai mostrato le tue paure rendendole universali e facendo capire che siamo tutti spaventati. Hai dimostrato che l’impegno del singolo è importante ma che solo il gruppo e la squadra vincono. Mi hai commosso, mi hai reso più umano e più forte.
Non posso che dirti grazie
Penso che mai come in queste settimane ci siano state divisioni che sono diventate barriere, mentali e fisiche. Il nostro agire come medici è stato rivoluzionato, il nostro essere medici è drammaticamente cambiato. Isolato, solo, impaurito, ho scoperto che solo condividendo e “condividendosi” si può tornare a “rivedere le stelle”. Il Grazie va a tutti i nostri compagni di lavoro che in questi giorni più che mai sono l’esempio più puro di voglia di non arrendersi mai.
Il vostro post meno tecnico di sempre eppure il migliore. Grazie.
Personalmente mi hai lasciato senza parole e con gli occhi lucidi.
In questo post probabilmente sono racchiuse le emozioni e sensazioni di migliaia di sanitari che in questo periodo si sentono all’inferno.
È vero, vederle scritte, leggerle, le fa sembrare meno opprimenti, ti tolgono un po’ dispnea che non è data dal virus, ma dall’ansia e dalla paura.
Grazie.
Ho nel cuore le tue sensazioni che immagino condividano i miei cognati medici. Ho paura per loro e per la nostra famiglia, ma la vostra forza arriverà dritta nelle vite di tutti noi, grazie per il vostro esemplare esempio. Lo sia per tutti noi italiani.
Grazie Davide
grande sensibilità e cruda obiettività.
grazie
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/03/30/metafora-guerra-coronavirus
”La guerra è un’altra cosa. Nella guerra non ci sono solo i morti per i bombardamenti, c’è la fame, c’è la mancanza d’acqua, c’è la mancanza di un tetto, c’è l’incertezza totale rispetto all’ora successiva. Fortunatamente la maggior parte di noi quest’incertezza non ce l’hanno, il rischio ce l’abbiamo tutti ma insomma per molti direi che è un rischio estremamente basso
Viviamo in un mondo carico di dolore. Quasi 1 miliardo di esseri umani soffre la fame, centinaia di milioni di persone sono esposte alla guerra e alle sue conseguenze, poi ci sono le malattie. Il mio pensiero in questo momento va all’Africa, dove stanno cominciando i primi casi e sono in aumento, l’Oms è già in allarme. Se dovesse scatenarsi l’epidemia là, dove le strutture sanitarie sono carenti, sarebbe probabilmente un disastro.
Qual è la lezione di questa emergenza? Capire che la sanità, la medicina e il curare persone come dovere preciso dello Stato può essere solo una sanità pubblica e gratuita. Non a caso nelle regioni in cui si è investito nella sanità privata e disinvestito in quella pubblica ci troviamo di fronte alle mortalità più alte. La sanità privata non ha un senso, non si può fare profitto sulle sofferenze degli altri; sarebbe come se legittimassimo di andare in giro, porta a porta, a vendere mascherine a 200 euro per farci profitto: non si può, è immorale. Occorre recuperare un’etica sociale, sia con i comportamenti individuali che con i comportamenti delle istituzioni e anche del privato. Noi stiamo assistendo a una straordinaria gara di solidarietà. Però poi bisogna farne tesoro, non si può ricominciare come prima. La sanità come la scuola e come il lavoro sono i pilastri di una società, dare queste cose in mano ai privati credo sia un gesto suicida”.
Gino Strada.
Se mi avessero detto ad inizio anno che il mio 2020 sarebbe stato segnato da un evento pandemico mondiale e da un commento di Gino Strada ad un mio post, ovviamente non avrei mai creduto possibile la seconda opzione. Che però ci amplia la mente e ci fa riflettere di quanto, anche in un momento storico “drammatico”, siamo fortunati. Fortunati per qualcosa che consideriamo scontato, ma solo perché siamo nati nella parte fortunata del mondo. Non è una guerra ma una tragedia collettiva, questo penso di si. Dalla quale usciremo inevitabilmente diversi. Speraiamo che “diversi” possa significare “migliori”.
Grazie mille per il commento che ci aiuta a diventarlo.
Grazie, Davide! Ho lavorato anni con suo padre il Dr Tizzani P. Leggo con commozione questa condivisione!
Bellissimo.grazie