Una paziente di 28 anni, alla 32esima settimana di gravidanza, si presenta in pronto soccorso per un intenso dolore (VAS 9) al fianco sinistro, intermittente, irradiato verso l’inguine, iniziato da circa 4 ore. La paziente ha sofferto in passato di nefrolitiasi e il dolore le ricorda le precedenti coliche renali. In anamnesi non presenta altre patologie di rilievo. Lamenta disuria e pollachiuria, le urine sono limpide, riferisce alvo regolare e nega perdite vaginali. I parametri vitali sono nella norma, l’obiettività evidenzia un giordano chiaramente positivo a sinistra.
La nefrolitiasi nella paziente gravida pone tuttavia alcune difficoltà diagnostiche [1] legate alla fisiologica dilatazione delle vie escretici, che si instaura dal secondo trimestre (generalmente più accentuata a destra), e alle limitazioni poste dai potenziali danni causati dall’esposizione del feto a radiazioni ionizzanti (per approfondire: Radiation and pregnancy) .
Pur tenendo a mente tali premesse, l’ecografia rimane esame di prima scelta nel sospetto di una colica renale. Elementi che ne potenziano l’accuratezza diagnostica sono la valutazione dell’indice di resistenza intrarenale all’eco color doppler (che non rientra tra le competenze previste dall‘emergency ultrasound) e l’assenza del jet ureterale dal lato ove si sospetta l’ostruzione (sensibilità 100% e specificità 91%). L’ecografia transvaginale inoltre può essere utile nel valutare l’uretere distale e distinguere l’ostruzione dalla fisiologica idronefrosi della gravidanza [2].
Nel nostro caso il rene sinistro mostra una idronefrosi lieve di secondo grado (dilatazione della pelvi e dei calici), mentre il destro una idronefrosi lieve di primo grado (dilatazione della pelvi in assenza di dilatazione caliceale). Viste le premesse non ci affidiamo troppo cecamente a questo esame.
In letteratura è riportato che in gravidanza il 70-80% dei calcoli viene espulso spontaneamente, tuttavia la potenziale complessità del caso impone una valutazione collegiale con radiologo, urologo e ginecologo. Nell’attesa degli esami di laboratorio (che di alterato mostreranno una lieve elevazione della pcr e una microematuria) è necessario trattare il dolore.. ed entrare quindi nell’ostico tema “analgesia in gravidanza“.
PARACETAMOLO
Alla luce di tali dati, che non accertano un effetto teratogeno, infondiamo senza esitazioni alla nostra paziente un grammo di paracetamolo. Ci aspettiamo un buon risultato? Benché il paracetamolo non sia considerato farmaco di prima scelta nella colica renale, studi eseguiti in pronto soccorso hanno evidenziato una pari efficacia tra paracetamolo (1 gr ev) e morfina (0.1 mg/kg ev) [8,9].
Passati 30 minuti la nostra paziente è ancora visibilmente sofferente (VAS 8) ed agitata..: “Dottore.. ho un male cane.. ma so che posso prendere solo la tachipirina….”
La campagna dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) invita le donne in gravidanza a fidarsi del proprio medico e assumere i farmaci prescritti.
“Ascolta il tuo medico”.. ma noi a questa paziente cosa le diciamo? Cosa le possiamo offrire? Abbiamo la possibilità di diminuirle il dolore?
Il contesto non è dei più semplici:
- le pazienti sono giustamente preoccupate dei rischi di teratogenicità dei farmaci e si informano (sapendo cercare su internet accedono alle stesse fonti di informazione consultate dai medici).
- in pronto soccorso è più difficile stabilire la cosiddetta “alleanza terapeutica” tra medico e paziente: la paziente non ci conosce, non ci ha scelti e il rapporto è limitato nel tempo.
- per ovvi motivi etici la ricerca sui farmaci in gravidanza è limitata e gli studi gravati da numerosi fattori confondenti (effetto del farmaco o della patologia di base della madre?); di conseguenza per la maggior parte dei farmaci le informazioni che possediamo sono insufficienti. Inoltre i dati a disposizione sulla sicurezza generalmente non permettono di distinguere tra i rischi connessi alla singola somministrazione, alla terapia di breve e di lunga durata.
- medicina difensiva: i dati sulla sicurezza dei farmaci sono limitati e non vi sono chiare linee guida.. se poi la paziente andrà incontro a un aborto spontaneo o partorirà un figlio con un difetto di malformazione verrò incolpato?
Andiamo quindi brevemente a valutare le evidenze disponibili sulla sicurezza in gravidanza degli analgesici:
FANS
Gli antiinfiammatori non steroidei sono da molti considerati analgesici di prima scelta nella colica renale. Riducendo la filtrazione glomerulare riducono la pressione intraglomerulare, per tale motivo sono però controindicati nei pazienti con insufficienza renale. Ricordiamo inoltre il dibattito aperto sul dosaggio ideale del ketorolac (Ketorolac: 20 mg di troppo? ).
Analizzando i dati del Quebec Pregnancy Registry [10] si evince che l’esposizione, durante le prime 20 settimane di gravidanza, ad uno qualsiasi dei FANS (e a un qualunque dosaggio) è associata ad un aumento del rischio di aborto spontaneo. Gli autori concludono affermando che, alla luce di questi dati, il ricorso ai fans andrebbe valutato attentamente.
Nel primo trimestre gli antinfiammatori non steroidei sono inoltre associati a un aumento lieve-moderato del rischio di malformazioni congenite (in particolare malformazioni del labbro e del palato, difetti del tubo neurale, anoftalmia/microftalmia, stenosi della valvola polmonare, malformazioni degli arti) [11]. Gli autori hannno inoltre analizzato separatamente i dati delle pazienti che hanno dichiarato di assumere Fans “al bisogno”, pur non trovando differenze statisticamente significative rispetto alle pazienti che hanno dichiarato terapie prolungate e continue. Gli autori concludono affermando che i FANS, alla luce delle attuali evidenze, non sono da considerare un fattore di rischio maggiore per malformazioni congenite quando assunti durante il primo trimestre e che ulteriori studi sono necessari per meglio quantificare l’aumento del rischio.
Sebbene i FANS siano generalmente considerati sicuri nel secondo trimestre vi sono alcune evidenze circa un possibile effetto teratogeno. Uno studio sulla popolazione danese [12] ha mostrato una relazione dose-dipendente tra criptorchidismo e assunzione di aspirina [OR adjusted (95% CI): 3.76 (1.15–12.3)] e ibupfrofene [OR adjusted (95% CI): 4.59 (1.1–19)] durante il secondo trimestre. Gli stessi autori hanno però riscontrato che nella popolazione finlandese i fans non sono risultati essere un fattore di rischio per lo sviluppo di criptorchidismo (una possibile spiegazione è rappresentatata dalla bassa prevalenza del criptorchidimo tra i finlandesi). L’utilizzo dei FANS dal secondo trimestre fino al parto è inoltre associato ad un aumentato rischio di insufficienza renale neonatale (OR, 7.38; 95% CI, 3.26–16.7) [13].
Van Marter LJ e colleghi [14] hanno rilevato che i FANS (“o le patologie per le quali le madri hanno fatto ricorso ai FANS”…) sembrano essere associati alla Ipertensione polmonare persistente idiopatica del neonato (PPHN) (adjusted OR for aspirin, 4.9; 95% CI, 1.6–15.3 and adjusted OR for NSAIDs, 6.2; 95% CI, 1.8–21.8). Sebbene questo e altri studi abbiano portato alla convinzione che i FANS nel terzo trimestre siano da considerare un fattore di rischio per lo sviluppo dell’ipertensione polmonare persistente del neonato, un recente studio multicentrico pubblicato su Pediatrics [15] non ha riscontrato nessuna associazione statisticamente significativa tra PPHN e il consumo di fans (è’ stato riscontrato un aumento del rischio associato all’aspirina con intervalli di confidenza che non escludono l’ipotesi nulla e una inaspettata riduzione del rischio associato al consumo di ibuprofene nel terzo trimestre).
La somministrazione in prossimità del parto di Indometacina (utilizzata come tocolitico) è associata ad un aumento del rischio di complicanze gravi, tra cui l’enterocolite necrotizzante, l’emorragia intracranica [16] e la pervietà del dotto arterioso (adjusted odds ratio 3.07; 95% CI 1.46 to 6.45, con un più frequente ricorso alla legatura chirurgica del dotto: 59% vs 35% , P= 0.01) [17] (Come viene spiegata l’associazione tra indometacina e pervietà del dotto arterioso? L’indometacina inibisce la sintesi delle prostaglandine e ha quindi un effetto vasocostrittore sul dotto arterioso; tuttavia si ipotizza che dopo l’iniziale vasocostrizione si assista alla incapacità delle cellule muscolari liscie di contrarsi e all’aumento della produzione di ossido nitrico).
L’aspirina alle dosi di 60-80 mg al giorno (utilizzata senza nette evidenze nelle pazienti gravide affette dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi e nelle pazienti ad alto rischio di preeclampsia) è considerata sicura; tuttavia dosi maggiori (>150 mg/die) sono da evitare [18, 19].
In conclusione la maggior parte degli esperti [20, 21, 22] sostengono che, qualora si renda necessaria, la terapia con FANS dovrebbe limitarsi alle 48 ore e che qualsiasi tipo di FANS non andrebbe somministrato dopo la 30esima settimana di gravidanza (per il supposto rischio di chiusura prematura del dotto arterioso e la conseguente ipertensione polmonare; alcuni studi sostengono che tale effetto collaterale si verifichi sin dalla 27esima settimana [23]).
COXIB
Similmente ai FANS le maggiori preoccupazioni legate all’impiego dei Coxib in gravidanza riguardano la prematura chiusura del dotto arterioso [24.]. I dati sulla sicurezza di questa classe di farmaci sono estremamente limitati, motivo per cui sono inseriti dall FDA in categoria C.
OPPIOIDI
La FDA (Food and Drug Administration) inserisce in categoria B (D se a termine) morfina, ossicodone e fentanil e in categoria C codeina e tramadolo. Terapie prolungate in gravidanza possono indurre dipendenza nel neonato (con l’annesso rischio per il nascituro di sviluppare la sindrome da astinenza del neonato). Circa l’opportunità o meno di ricorrere a tali farmaci in gravidanza molto spazio viene lasciato al giudizio del medico, attraverso la valutazione, caso per caso, del rapporto rischio-beneficio.
Dall’analisi dei dati del National Birth Defects Prevention Study [25] (dall’ottobre 1997 al dicembre 2005) risulta che l’assunzione di oppiacei nel periodo che intercorre dal mese precedente il concepimento ai tre mesi successivi è associata all’aumento del rischio di alcune malformazioni congenite (in particolare malformazioni cardiache e spina bifida). Gli oppioidi più frequentemente utilizzati sono risultati essere la codeina (34,5%), l’idrocodone (34,5%), l’ossicodone (14,4%) e la meperidina (12,9%).
Limiti dichiarati dello studio sono la mancanza di informazioni circa il dosaggio e la durata del trattamento e il fatto che la principale indicazione all’utilizzo del farmaco è risultata essere un intervento chirurgico (per cui altri principi attivi sono stati usati in concomitanza). Gli autori enfatizzano come l’aumento del rischio relativo di patologie rare si traduca in un aumento modesto del rischio assoluto. Per esempio la prevalenza negli USA della sindrome del cuore sinistro ipoplasico è di 2.4/10.000 nati vivi e secondo i dati di questo studio incrementerebbe di 2.4 volte (5.8 casi ogni 10.000 nati vivi) in chi assume oppioidi nelle fasi precoci della gravidanza.
In precedenza il Michigan Medicaid study [26] riportava i dati inerenti 332 neonati esposti a idrocodone, 281 a ossicodone e 7640 esposti a codeina, tutti nel primo trimestre di gravidanza. Il tasso di malformazioni congenite maggiori fu di 7,2% per il gruppo idrocodone, 4,6% nel gruppo ossicodone e 4,9% per il gruppo codeina (sovrapponibile a quello della popolazione generale).
Due importanti studi [27, 28] mostrano che l’assunzione di codeina in gravidanza non è collegata ad un aumento del rischio di malformazioni congenite e mortalità infantile. Tuttavia è stata riscontrato un aumentato rischio di parto cesareo (adjusted OR 1.5,95% CI 1.3–1.8, anche in questo caso è possibile che tale dato sia attribuibile alla patologia sottostante) e di emorragia post-parto (adjusted OR 1.3, 95% CI 1.1–1.5). Gli autori, alla luce di tali dati, suggeriscono prudenza nel somministrare codeina nelle fasi finali della gravidanza. Una ulteriore limitazione posta all’uso della codeina in gravidanza è rappresentata dalla imprevedibile conversione della codeina in morfina (per i polimorfismi del CYP2D6) e alle interazioni con altri farmaci.
Il tramadolo è inserito dalla FDA in classe C. Willaschek [29] ha descritto un caso di un neonato che ha sviluppato segni clinici di astinenza da oppioidi dopo essere stato esposto in gravidanza ad alte dosi di tramadolo. L’autore suggerisce di limitare il più possibile la durata del trattamento.
La maggior parte degli studi sugli oppioidi in gravidanza si sono focalizzati sul terzo trimestre e sul parto, fornendo poche informazioni sul potenziale teratogenico. Quando utilizzati nell’analgesia del travaglio di parto gli oppiodi possono essere causa di depressione respiratoria nel neonato, perdita della normale variabilità della frequenza cardiaca fetale e ipossia [3] (la letteratura inerente la Partoanalgesia è tuttavia molto articolata e di interesse anestesiologico; l’argomento esula dagli obiettivi e dalle possibilità di questo post).
Inoltre sono descritti in letteratura casi aneddotici di pazienti affette da dolore cronico moderato-grave che hanno continuato ad utilizzare durante la gravidanza il cerotto transdermico di fentanil. Una paziente affetta da lupus sistemico eritematoso e fibromialgia ha proseguito la terapia con Durogesic (25 mcg/h con sostituzione del cerotto ogni due giorni) per tutta la gravidanza. In tale caso non sono stati registrati eventi avversi e la paziente ha partorito per via naturale alla 39esima settimana un neonato sano di 3416 gr, in assenza di segni e sintomi di sindrome da deprivazione neonatale [30].
In linea generale la maggior parte degli autori [3, 21, 31] considerano gli oppioidi farmaci relativamente sicuri in gravidanza, da utilizzare con cautela, valutando sempre il rapporto rischio-beneficio, con particolare attenzione al terzo trimestre e alla sindrome da astinenza neonatale. Le pazienti con preesistente dipendenza da oppiacei (per terapia analgesica o illegalmente) vengono mantenute in terapia fino al parto, al fine di evitare la sindrome da astinenza fetale [20], che può portare alla morte del nascituro.
SPASMOLITICI
Gli antispastici svolgono un ruolo secondario nella gestione del dolore in corso di colica renale. Inoltre, inibendo la peristalsi ureterale, potrebbero ritardare l’espulsione del calcolo. Tuttavia, viste le limitazioni poste dalla gravidanza, aumentano le opzioni terapeutiche praticabili.
L’antimuscarinico N-butilbromuro di joscina (Buscopan) ha mostrato nella review di Holdagte [32] di non aver nessuna utilità nel ridurre il dolore. Tuttavia altri studi [33, 34] hanno evidenziato un effetto benefico (seppur minimo) del Buscopan quando associato a Fans e Oppioidi. Il farmaco viene abitualmente prescritto dai ginecologi e non è attualmente associato a effetti teratogeni.
La rociverina (nome commerciale Rilaten) è considerata sicura nel secondo e terzo trimestre di gravidanza. Tuttavia non sono disponibili studi che abbiano valutato l’efficacia del farmaco nella colica renale. Discorso analogo per la floroglucina (Spasmex).
Voi cosa fareste in questo ipotetico (ma verosimile) caso clinico?
Più in generale: come avete affrontato situazioni analoghe?
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Grazie del bel post! Assolutamente utile…ho sperimentato che, nonostante il personale scetticismo sul Buscopan, nella colica renale della paz gravida funziona, abbinato al paracetamolo…non mi pare il caso di rischiare con altri farmaci di dubbia sicurezza e nel caso di refrattarieta’il ricovero (in ginecologia preferibilmente) e’ piu’che adeguato:riposo e varie dosi di antispastici/paracetamolo ev fanno il loro lavoro!
Io ,dopo aver constatato l-effetto nullo del paracetamolo , e in presenza di un dolore insopportabile, le avrei fatto un po’ di fentanest e.v. (” un po’” = quanto basta a ridurre il dolore ad un VAS di 2-3). Per il trattamento a casa le avrei dato solo tachipirina e in caso di coliche recidive , avrei prescritto la visita nefro per valutazione di posizionamento di doppio -j
volevo dire visita urologica, scusate
Tommaso, grazie di questo post che, nonostante il tuo pregevole lavoro di approfondimento, ci lascia con la bocca asciutta per quanto riguarda le risposte alle tue domande.
Il rapporto tra farmaci e gravidanza è uno degli argomenti più controversi in medicina e chi si aspettasse delle soluzioni semplici e pratiche rimarrà sempre deluso, per una serie di motivi, non ultimo le problematiche medico legali ad esso connesse.
Discuterne, come sempre è il primo passo. Queste alcune mio modeste considerazioni.
– Condividere la strategia terapeutica con le pazienti, sottolineando che non trattare il dolore, al di là della sofferenza, non fa bene non solo alla madre, ma anche al nascituro.
– Utilizzare strumenti terzi, come il sito AIFA su farmaci in gravidanza, che sebbene non dia risposte per l’uso in gravidanza per tutti i farmaci, consente, per quella che è la mia piccola esperienza, di superare la naturale diffidenza delle gestanti verso un professionista della salute, mai incontrato prima. A questo riguardo è possibile trovare nel blog il link sotto la voce Risorse/Farmaci in gravidanza.
– Nel caso specifico condivido appieno la strategia proposta da Arianna.
Infatti, nonostante le ricerche effettuate per preparare il post, l’argomento mi risulta ugualmente ostico… e nella letteratura sono sorti dubbi persino sulla sicurezza del paracetamolo (per ora non confermati). Come hai giustamente evidenziato è importante condividere la strategia terapeutica, magari anticipando le domande della paziente (“dottore ma questo farmaco lo posso prendere?”), spiegando prima in termini comprensibili rischi e benefici connessi alla terapia con oppioidi.
Io farei paracetamolo e buscopan. In secondo battuta, se il dolore rimane moderato-severo, 5 mg di morfina.
Sul paracetamolo in gravidanza bisogna considerare anche i recenti studi che lo associano a un aumento del rischio di sviluppare ADHD (Disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività): “Associations between Acetaminophen Use during Pregnancy and ADHD Symptoms Measured at Ages 7 and 11 Years” – “Acetaminophen in pregnancy and future risk of ADHD in offspring”
“There are few options for analgesia that are safe in all 3 trimesters. While acetaminophen has long been considered a safe treatment for headache, fever, and myalgia in pregnancy, the results from these 2 studies might cause us to reconsider the timing and amount of acetaminophen that we recommend. However, making definitive conclusions about acetaminophen causing ADHD in children would be interpreting the data inaccurately, as there might be confounding risks. Further evidence is needed to prove causation.”