domenica 1 Ottobre 2023

Dottore mi fa la scossa?

foto 1.1

È proprio con questa frase che un pomeriggio di Ottobre il Sig. Francesco si è rivolto a me.

Francesco è stato appena fatto entrare in sala dal triagista per l’ennesimo episodio di fibrillazione atriale (FA). È già conosciuto al PS per le recidive di FA nonostante la profilassi con sotalolo.

È in FA da circa due ore, e mi prega di non fargli perdere troppo tempo: ”Dottore, tanto la bottiglia non funziona, facciamo la scossa e mi libera subito?”

Non è una richiesta che ci si sente fare spesso, eppure potrebbe avere qualche ragione.

Francesco ha una storia di cardiopatia ischemica, iperteso in trattamento con antiaggregante, warfarin, sotalolo, statina, Ace-I e PPI. Recentemente l’FA si è fatta sentire spesso e nell’ultimo episodio dopo tentativo inefficace di cardioversione farmacologica con amiodarone, è stata praticata con successo cardioversione elettrica (CVE).

Voi cosa avreste fatto?

E’ razionale la richiesta del paziente?

Precedentemente nel blog è stato affrontato più volte l’argomento gestione della fibrillazione atriale nel DEA; adesso il mio punto di domanda è:  “nel trattamento dell’FA è corretto sottoporre direttamente un paziente emodinamicamente stabile a CVE?”

In letteratura la superiorità della CVE sulla farmacologica è sicuramente consolidata. Un po’ meno il timing.

Le linee guida ESC sulla gestione dell’FA, lasciano la possibilità al medico e al paziente di poter scegliere tra le due procedure.

fibrillazione ESC

Gli studi di confronto (non molti) presenti in letteratura hanno come end point l’efficacia, la sicurezza e la rapidità di dimissione dal PS.

Su Emergency Medical Journal negli ultimi anni sono usciti due studi che confrontano CVE con cardioversione farmacologica. Entrambi di due gruppi italiani. Entrambi concludono sulla superiorità della CVE, sulla sua sicurezza e sulla possibilità di ridurre permanenza in PS e ricoveri.

Nel primo (Cristoni L. et all), studio retrospettivo,  la tendenza era di eseguire CVE  in pazienti premedicati con antiaritmici, e solo 17 pazienti su 171 del gruppo CVE hanno eseguito la procedura direttamente.

Il secondo (Bellone A, et All), studio randomizzato e prospettico, prevedeva che nel gruppo CVE non vi fossero “interferenze” di farmaci antiaritmici. Il gruppo CVE ha ottenuto il ritmo sinusale nel 89,3% dei casi vs 73,8% del gruppo propafenone (solo bolo 2 mg/kg). Lodevole il fatto che i colleghi abbiano svolto la procedura (valutazione ecocardio/cardioversione/ sedazione con propofol) in assenza di supporto specialistico (cardiologi/ anestesisti). Tra gli end point secondari da non sottovalutare è il tempo di permanenza in PS, che è stato di 180 min nel gruppo CVE versus 420 min nel gruppo propafenone. Gli effetti collaterali erano superiori nel gruppo propafenone (6:1), pur in assenza di significatività statistica. Recidive a due mesi sovrapponibili in entrambi i gruppi.

Altri colleghi hanno fatto un confronto a tre inserendo, oltre CVE e cardioversione farmacologica (propafenone, procainamide, amiodarone), la cardioversione spontanea (ritorno a ritmo sinusale nel  78.2, 59.2 e 37.9% dei casi rispettivamente).

In un altro studio i colleghi hanno valutato oltre ad efficacia e sicurezza, anche la soddisfazione del paziente per la CVE che è risultata di livello ottimale (97% del campione).

La gestione dell’FA nel mio PS è simile (con piccole modifiche) all’Ottawa Aggressive Protocol, un protocollo rapido elaborato per il DEA che è stato utilizzato nei pronto soccorsi canadesi: tendenzialmente la gestione dell’FA non complicata rimane a carico del PS, sia quando vogliamo il controllo del ritmo sia che si opti per controllo della frequenza, sempre pensando alla prevenzione del tromboembolismo cardiogeno. La CVE viene eseguita in PS, ma solo in caso di mancata risposta ai farmaci, dopo fallimento di bolo + infusione di uno dei tre farmaci che si è scelto di utilizzare (flecainide, propafenone, amiodarone, sono le possibilità che abbiamo nel mio PS).

Devo dire che la classe IC ha sempre dato buone soddisfazioni (probabilmente flecainide meglio di propafenone). Ovviamente l’amiodarone è notoriamente più lento e meno efficace, ma a volte è l’unica possibilità farmacologica….

Penso che la gestione dell’FA sia piuttosto variegata nelle diverse realtà. Esistono differenti strategie alternative di trattamento, come la “wait and see”.

Non sono del tutto sicuro che la gestione diretta con cardioversione elettrica sia l’optimum in valore assoluto, ma comunque rappresenta una valida scelta terapeutica.

Gli studi citati dimostrano che è sicuramente una procedura che il medico d’urgenza può fare, e dovrebbe quindi fare parte delle nostre competenze (sedazione procedurale compresa).

P.S. nel caso di cui sopra il Sig. Francesco è stato accontentato; un singolo shock di 150J, previa sedazione, ha permesso il ripristino del ritmo sinusale. Due ore di osservazione postprocedurali e dimissione con invio al cardiologo curante….

 

Emanuele Sesti
Emanuele Sesti
Specialista in Medicina Interna, Dirigente medico presso il Pronto Soccorso dell’Istituto Fondazione San Raffaele G.Giglio di Cefalù. Nutro particolare interesse per i temi della sedazione procedurale e della rianimazione cardiopolmonare. Google+: + EmanueleSesti email: [email protected]

23 Commenti

  1. Condivido quasi tutto, a volte un po’ di coraggio in piú e si risolve rapidamente…occhio al timing, spesso non è facile essere sicuri dell’insorgenza, anche in chi sembra orientato. Peraltro, in oltre vent’anni di cardioversioni, mai avuto un problema in acuto…

  2. Salve,
    non sono un medico (anche se sono appassionato di medicina di laboratorio nonchè assiduo lettore del blog) ma ho avuto a che fare con la FA per mio padre.
    Mio padre ha avuto diversi episodi di FA (nel 2013 ha avuto due episodi, uno a marzo e uno a fine agosto) entrambe rientrati dopo circa 2 giorni con cordarone dopo resistenza ad altri farmaci (tipo amiodarone).
    Per ogni episodio viene trattenuto dai 5 ai 7 giorni in ospedale dove vengono sistematicamente ripetuti Ecocardiogramma, ECG Holter, Analisi del sangue ecc…evidentemente sempre tutti negativi.

    Attualmente è sotto cura con rythomonorm, precedentemente con almarythm.

    Ora mio padre ha sviluppato una ansia anticipatoria verso gli episodi di FA che lo ha portato a dover impostare, con il neurologo, una cura per controllare la componente ansiosa in quanto la paura di riavere un nuovo attacco improvviso lo ha portato ad avere una vera e propria incompatibilità psicologico/ambientale con i reparti ospedalieri. Quindi la sua paura più grande è il fatto di dover rientrare in ospedale per diversi giorni ogni volta che insorge la FA.

    Inoltre mio padre non è sotto cura con anticoagulanti a causa di un angioma cavernoso encefalo (zona temporale sx) scoperto occasionalmente durante una RMN Per altri motivi.
    Da 1 anno è sotto cura da un bravissimo neurochirurgo di un noto ospedale Romano il quale ha definito l’angioma privo di rilevanza clinica e a bassisimo rischio generale (compreso il rischio di sanguinamento) con consiglio di monitoraggio dell’angioma con RMN ogni 6 mesi.

    Ora mio padre ha fatto già 3 RMN in cui l’angioma non si è mosso e le RMN sono tutte e tre sovrapponibili, pertanto il prossimo controllo è fra 1 anno sotto parere del neurochirurgo.

    Tuttavia quest’ultimo, in accordo con il cardiologo curante, ha ritenuto opportuno sospendere la terapia antiaggregante che mio padre stava facendo in attesa che vengano prodotti farmaci antiaggreganti meno “pesanti” del warfarin che mio padre, precauzionalmente per l’angioma, non può assumere.
    Questo ovviamente ha aumentato esponenzialmente l’ansia e la paura per gli attacchi di FA di mio padre rendendo strettamente necessaria la cura impostata dal neurologo.
    Attualmente vive nell’ansia che se dovesse riavere FA possa sviluppare un coagulo di difficile gestione.

    Come viene trattato in generale un paziente con FA che non è sotto trattamento anticoagulante per rischio sanguinamento per altre patologie?

    vi ringrazio e mi scuso per l’intrusione nel blog.
    Saluti a tutti e buone feste.

    • Salve Luca,
      il quesito che hai posto è sicuramente molto spinoso.
      L’indicazione alla terapia con anticoagulante orale si scontra spesso nella pratica clinica con numerosi problemi, ed a volte non è attuabile. Esistono degli score che stimano la probabilità dell’evento ischemico e dell’evento emorragico. Ma si tratta sempre di “probabilità”, purtroppo non ci sono certezze assolute, come spesso succede in medicina.
      In queste “zone grigie” è difficile dire se esiste giusto e sbagliato. Credo che la cosa più corretta si condividere la scelta con il paziente dopo avere esposto in modo completo rischi e benefici.
      Grazie per la tua partecipazione

  3. Caro Emanuele, per quel che vale dove lavoro viene privilegiata la CVE che rappresenta più del 60% dei trattamenti. Sebbene sia un dato aneddotico il successo della CVE nel corso dell’ultimo anno è stato del 97% circa. Personalmente se parliamo dei pazienti stabili io propongo al paziente di scegliere tra una strategia di attesa con rivalutazione entro 48h dall’esordio o CVE subito. La maggioranza dei pazienti opta per quest’ultima.

      • In effetti ricorriamo poco ai farmaci. Direi che generalmente la CVE è la prima terapia proposta. I farmaci vengono proposti ai pazienti che non vogliono eseguire la CVE (ma sono la minoranza), a quelli che avevano risposto in passato prontamente alla CVF, e, talvolta in pazienti con vie aree particolarmente complesse.
        Non sono solito utilizzare per la CVF altri farmaci al di fuori della classe 1c il che esclude molti pazienti. L’amiodarone non lo utilizzo quasi mai: nella mia logistica non avrebbe senso dato il tempo che necessita(e lo scarso tasso di successo). Sicuramente la CVE permette un tempo di permanenza molto ridotto. In situazioni di scarso afflusso il paziente può anche ricevere la CVE entro 30 minuti dall’ingresso ed essere fuori in due-tre ore.

  4. Sebbene dove lavoro (ma anche dove lavoravo prima, vero Felix? 😉 anche se poi non facevamo la CVE ) il “protocollo” che utilizziamo nei pazienti stabili è quello che ha illustrato Emanuele (tentativo di CVF con bolo + mantenimento, eventuale CVE se falliscono i farmaci) devo dire che nella sostanza condivido quanto detto da Mattia….soprattutto nel paziente giovane (dove uno shock non ha certo gli effetti avversi che può avere un antiaritmico). Ovvio che il primo modus operandi non ha nulla di sbagliato (ricordo in specializzazione che il Prof. Schiraldi diceva sempre: “Se il primo farmaco fallisce il secondo è la scossa”) però credo che sia nostro dovere imparare a gestire una procedura tutto sommato semplice (soprattutto se al posto del Propofol si usa Midazolam/Fentanyl), indubbiamente superiore per quel che riguarda la percentuale di successo e, cosa da non sottovalutare, che permette l’eventuale dimissione del paziente dopo un 2-3 ore di osservazione (cosa che viene difficile con farmaci come quelli della classe IC – per non parlare dell’Amiodarone – ad emivita abbastanza lunga).
    Il caso citato da Luca, invece, mi lascia piuttosto perplesso….non conosco le circostanze specifiche ma, onestamente, beccarsi un ricovero di 5-7 giorni ad ogni episodio di recidiva di FA parossistica (che rientri o meno) mi sembra uno spreco di risorse come pochi….e poi ci lamentiamo della crisi…..

    • Giuseppe,
      grazie per il tuo contributo, mi conforta sapere che in realtà diverse dalla mia sempre più spesso si incontra questo tipo di gestione.
      Anche qui, credo che la cosa giusta sia quella che ognuno di noi sa fare meglio; ma lo scambio di opinioni serve a migliorarsi e prendere coraggio.
      Infine, condivido quanto detto sul ricovero per FA non complicata. Dovrebbe essere solo un’eccezione, mentre la gestione in DEA la regola.
      A presto

    • Vi ringrazio intanto delle vostre considerazioni. Seguo con grande interessa la discussione pur non essendo un professionista medico.

      Si, mio padre viene ricoverato sistematicamente per 5/7 giorni ad ogni episodio di FA. Generalmente gli episodi sono sempre rientrati farmacologicamente dopo un paio di giorni (forse una volta anche 3 giorni) di trattamento dapprima con amiodarone (inefficace quasi sempre) e poi cordarone (molto più efficace su di lui).
      Dopo aver riconquistato il ritmo sinusale mio padre non viene quasi mai dimesso ma tenuto in ospedale almeno altri 3 o 4 giorni per controlli di routine e, dal punto di vista psicologico, questa cosa è pesante soprattutto se le recidive sono frequenti.

      Mio padre non ha mai avuto cardioversione elettrica e io ho una curiosità della quale chiedo a voi esperti, faccio un esempio.

      C’è un paziente con FA Parossistica NON sottocura con anticoagulanti per rischio sanguinamento in altre sedi per patologie diverse. Mi sembra di intuire che questo paziente è a rischio di sviluppare coaguli pericolosi.
      Mi sembra anche di capire (avendo un po letto di FA) che più passano le ore più il sangue che ristagna nel cuore a causa della frequenza aritmica può aumentare la possibilità di sviluppare coaguli in particolare nel momento in cui la FA rientra in ritmo sinusale.

      Allora vi chiedo: in questo tipo di pazienti “complessi” che non possono essere scoagulati perchè non i medici non fanno subito la CVE piuttosto che quella farmacologica che dura dai 2 ai 3 giorni col rischio di far ristagnare sangue col tempo e quindi di formare coaguli?

      Ovviamente mi scuso in forte anticipo circa la banalità della mia domanda da ignorante…però è una cosa che mi sono sempre chiesto e che mi piacerebbe conoscere meglio in generale.
      Spero che la domanda non sia troppo “indegna” di ricevere una risposta scientificatamente ponerata. 🙂
      Vi ringrazio ancora e complimenti per questo blog.
      Luca

      • Salve luca,
        innanzitutto una precisazione, amiodarone e cordarone sono la stessa cosa.
        Non posso sapere le motivazioni della gestione del tuo esempio clinico.
        Ti posso dire cosa si fa nel mio ospedale (cosa che hai già letto nel post). E come hai letto dai vari commenti, le gestioni possono essere variabili da ospedale a ospedale.
        Sicuramente è stabilito che il tentativo di cardioversione (sia con farmaci sia con cardioversione elettrica) debba essere eseguito entro e non oltre 48 ore dall’insorgenza della fibrillazione.
        Magari parlandone con i medici la prossima volta si potrà trovare un compromesso che tenga conto degli aspetti psicologici del paziente.

        • Si, mi scuso per amiodarone e cordarone…da ignorante credevo fossero farmaci diversi.
          Ma lei trova che una cardioversione elettrica pochi minuti dopo l’insorgenza della FA in un paziente che non può essere trattato con anticoagulanti è più vantaggiosa rispetto a quella farmacologica per contenere il rischio coagulo?
          Cioè, sbaglio o questo rischio aumenta con il passare delle ore in fibrillazione?
          Allora si potrebbe preferire (in assoluto) la cve per pazienti complessi come il caso di mio padre non tanto per le tempistiche di degenza quando per scongiurare il rischio di sviluppare coaguli???
          Grazie

  5. da noi scossa sempre (ma è un policlinico, pochi posti, necessità di tempi rapidi) e per come la vedo io forse è meglio così (si sa che è più efficace). Nel caso specifico abbandonerei il sotalolo che evidentemente non regge e tenterei col cordarone. Non dobbiamo comunque dimenticare che c’è anche l’opzione del controllo della frequenza che ad oggi non si è dimostrata inferiore.

  6. Non c’è che dire la fibrillazione atriale appassiona., non solo per il numero dei commenti a questo post.,;)
    Da qualche tempo adotto una strategia a metà tra le linee guida ESC e il wait and see, che per me rappresenta la prima scelta e opzione offerta al paziente con fibrillazione atriale insorta da meno di 24 ore. Alcuni esempi:
    – FA a frequenza normale lenta, rivalutazione il mattino dopo se persiste la fibrillazione atriale cardioversione elettrica.
    – FA a frequenza elevata, rallentamento della frequenza con diltiazem o digitale in base al compenso emodinamico o la cardiopatia sottostante quindi wait and see e rivalutazione il giorno successivo.
    Se il paziente preferisce risolvere subito il problema o di poco entro le 48 ore di insorgenza cardioversione elettrica subito o farmacologica con propafenone o flecainide a seconda delle preferenze del paziente o eventuali precedenti episodi trattati con successo ad esempio con antiaritmici 1 C. Quasi mai utilizzo l’amiodarone che richiede una maggiore permanenza in DEA ed è meno efficace.
    Sono fortemente convinto che la strategia del “torni domani” sia vincente in una quota consistente di casi e, se correttamente spiegata, soddisfa sia medico che paziente.

    Solo un appunto Non me ne voglia Luca, come chiaramente esplicitato http://empills.com/about/ in questo blog non si danno consigli medici per questo è sempre bene rivolgersi e discutere con i medici curanti. Cosi é.

    • Lungi da me l’idea di richiedere “consulti” online.
      La mia domanda era più che altro una mia curiosità generale sull’approccio che i medici di urgenza adottano in pazienti con FA quando questi non possono essere trattati con anticoagulanti.

      Mi chiedevo semplicemente se in questo tipo di pazienti la cardioversione elettrica non fosse più indicata (visti i tempi di attuazione brevi) rispetto a cardioversione farmacologica che, da quanto ho capito e letto, potrebbe aumentare il rischio di formazione di coaguli in quanto richiede tempo per agire.

      Non c’era nessuna richiesta di consulto online ma una domanda generale alla quale non ho mai trovato risposte in articoli o pubblicazioni di questo tipo.

      Mi scuso in ogni caso se ho violato il regolamento.

  7. Grazie a Fabio e Carlo per i contributi.
    Concordo che la strategia del torni domani sia valida , anche se da noi è stata attuata solo dopo il fallimento del bolo di antiaritmico evitando l’infusione. Un tentativo di soprattutto con gli IC lo faccio sempre, anche perché mal che vada riducono la frequenza. Val poi la regola nella scelta del farmaco che ” farmaco che ha vinto in passato non si cambia”.

  8. Volevo chiedere un consiglio, mi congratulo intanto con Carlo ed Emanuele per il post..ma in un pz con FA permanente che giunge all osservazione con frequenza elevata parlo si 140 150 con dispnea lieve visto che avrei paura ad utilizzare il verapamile e i farmaci di classe 1c , nel caso volessi utilizzare amiodarone che potrebbe comunque cardiovertire il pz , che dosaggio e che velocità mi consigliate per una più rapida azione…oppure nonostante la lieve dispnea posso comunque utilizzare farmaci di classe 1c con tranquillità …vi ringrazio cordialmente!!

    • Ciao massimo,
      Grazie per la partecipazione.
      effettivamente la dispnea e’ uno di quei sintomi che mi fanno mettere in dubbio i farmaci 1C. In questi casi se la situazione e’ instabile opto per la cardioversione elettrica. Altrimenti il cordarone e’ una scelta assolutamente valida. Io faccio un bolo di 5 mg/kg in 20 minuti ( diluisco in 100cc di glucosata al 5%) ed infondo in pompa a 300 ml/h. In passato ho avuto brutte esperienze se utilizzo gocce/ min…. Con la pompa si evitano rischi. Aseguire ci sarebbe l’ infusione per circa 24 ore…. Lunga e noisa!! Per cui spesso dopo il bolo propongo comunque la cve.

  9. Ps posso sapere se ci sono accorgimenti per capire se una FA e ‘ permanente visto che da noi difficilmente si presentano con documentazioni cliniche e il livello culturale non è eccellente ? Grazie per l aiuto ma per me il fatto di poter capire se una FA e’ permanente e ‘ di estrema importanza per il rate control vs cardioversione farmacologica…grazie di tutto !

    • A accorgimenti particolari non so…. Una buona anamnesi, sicuramente. Di solito il passaggio da un ritmo sinusale regolare a fa a 140 bpm e’ avvertito dal paziente e quindi databile. Sicuramente spiegare con pazienza il motivo per cui è’ importante una corretta datazione, facendo comprendere i rischi del tromboembolismo cardiogeno aiuta e rappresenta anche una parte del consenso informato. Nei casi dubbi comunque la considero non databile e quindi solo controllo frequenza.
      grazie ancora

  10. Ciao …vi scrivo perché non riesco a spiegarmi una cosa successa alcuni giorni fa . Allora giunge alla nostra osservazione un pz lamentando cardiopalmo aritmico insorto circa 4ore prima quindi di recente insorgenza , si esegue un ECG che mostra una FA di prima insorgenza in pz con anamnesi muta per patologie importanti non patologia strutturale cardiologica, eufonico ritmico non stasi polmonare ne edemi declivi. Somministro almarytm 150 mg in 100 cc in mezz’ora senza risultato..frequenza sempre intorno a 140b/min , chiamo il cardiologo il quale dispone per la somministrazione di una seconda fiala di almarytm in 10 min eV dicendo che tale farmaco o si fa così o non serve a niente. Terminato il bolo dopo neanche 2 min il pz dice di sentirsi male comincia ad avere fame d aria a sudare freddo a presentare cianosi labiale , al che il cardiologo ordina al personale infermieristico di mettere il pz in posizione di trandeleburg e di somministrare una fiala di atropina in bolo rapido..così fu fatto dopo un po’ il pz si sente meglio diventa ritmico m a tachicardico per effetto dell atropina dice il cardiologo e va via senza dirimere il mio dubbio! Ora chiedo a voi dalla vostra esperienza …quale è secondo voi il motivo che h a spinto il cardiologo a somministrare atropina nonostante la frequenza fosse elevata ? È corretto adottare questo comportamento ..cioè somministrare atropina ad un pz che dopo flecainide presenta detta sintomatologia nonostante la frequenza sia elevata 140 -150 b/min?? Quale potrebbe essere l a spiegazione di questo comportamento che comunque ha risolto il problema? Vi saluto in attesa di un vostro gradito riscontro GRAZIE!

  11. Mi dispiace ma non so rispondere circa l’utilizzo dell’atropina…
    personalmente utilizzo la flecainide in bolo lento ( non meno di 10 min) a 2 mg/kg max 150 mg, se inefficace faccio un infusione di 1 ora con 1,5 mg/kg, poi CVE.
    saluti

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