Nello studio ATHENA infatti, i risultati erano stati molto promettenti. In questo studio controllato ed in doppio cieco, il dronedarone somministrato 400 mg due volte al dì nei pazienti con fibrillazione o flutter atriale, si era dimostrato utile nel ridurre le ospedalizzazioni e le morti di natura cardiovascolare. Una post-hoc analysis aveva poi dimostrato addirittura una riduzione degli ictus nella popolazione studiata.

Come è possibile che due studi così importanti e ben condotti diano risultati così contrastanti è la domanda che si pone l’editorialista del NEJM e devo dire non solo lui. In precedenza era uscito un lavoro che metteva in guardia circa la sicurezza del dronedarone nei pazienti con scompenso cardiaco: il trial ANDROMEDA. In questo studio il farmaco, in pazienti con funzione ventricolare compromessa, determinava un aumento delle morti di natura cardiovascolare conseguente ad un peggioramento dell’insufficienza cardiaca.
Nello studio PALLAS vi erano un maggior numero di pazienti più anziani e con insufficenza cardiaca che nel trial ATHENA. Inoltre un maggior numero di essi era in trattamento anticoagulante e con digossina.
Il dronedarone come l’amiodarone determina un aumento della concentrazione plasmatica di digossina la quale, si sa , ha un effetto proaritmico, ma nello studio PALLAS solo il 30% dei pazienti assumeva la digitale. E’ questo sufficiente a causare un così diverso risultato?
Nella sostanza Nattel conclude che al momento attuale non è possibile stabilire quali siano le ragioni che abbiano portato a così diversi outcome nei due trials e che è prudente limitare il suo uso ai pazienti con fibrillazione atriale permanente a basso rischio là dove altri antiaritmici hanno fallito. Un invito alla prudenza era già stato sottolineato da una nota informativa dell’AIFA del luglio 2011.
I detrattori della medicina basata sull’evidenza ci andranno a nozze!!
Aspetto come sempre i vostri commenti…