Agostinello
Agostinello ha 86 anni e pesa la metà delle sue primavere. Un corpo segnato da una vita difficile, di ristrette economiche e personali.
Io e Federica lo vediamo li. Nel suo letto. O meglio vediamo la barella, un lenzuolo bianco che appare enorme nel coprire la sagoma di un corpo che fu che solo la fantasia o l’ingenuità di un bambino potrebbe assegnarne fattezze umane.
Agostinello non cammina più, non parla più. Non si lamenta. Decadimento psioroganico ma in realtà “Assenza di Energia e di Vita” è la sua diagnosi. Trascorre il tempo fissando l’infinito, anche se a me sembra solo un punto di un muro bianco sporco. Tubicini verde trasparente infilati nel naso aiutano il polmone a trasportare ossigeno ad un corpo che non ha apparentemente più nulla da chiedere a questa vita. O forse non ha solo più energia per chiedere qualcosa, sempre che esista una differenza.
Agostinello sopravvive, senza vivere, con una dama di compagnia (o badante?) che convive (ma non lo assiste) con lui 24 ore al giorno. Non penso che questa volta sia così utile sapere la sua storia clinica, il suo traguardo si legge già nel suo corpo; chiamiamolo mieloma multiplo, senilità o qualche altra forma di malattia cronica end stage non specifica, Agostinello merita unicamente la compagnia e la assistenza amorevole di mani delicate ed un posto dove attendere la morte.
Al colloquio esplorativo, il figlio mi racconta una consapevolezza di morte annunciata del papà ormai da circa quattro anni, il tempo in cui il corpo ha iniziato a consumarsi.
E’ un sabato pomeriggio quando torna a casa lasciando un pronto soccorso in cui era arrivato dopo due settimane di ricovero ospedaliero e dieci giorni di rientro al domicilio. E’ un martedì’ mattina quando torna perchè Agostinello sembra non produca più urina.
Ed io mi chiedo dove sta l’errore. Una persona aspetta l’esito inesorabile ma anche certo della vita da quattro anni. Sta in ospedale due settimane ed una seconda volta in pronto soccorso due giorni. Torna a casa. Eppure.
Eppure è più semplice chiamare il martedì mattina una ambulanza, caricare Agostonello su una scomoda lettiga, scendere cinque piani senza ascensore in equilibrio precario, farlo uscire di casa in un afoso giorno di metà estate, sistemarlo su un inospitale mezzo di soccorso avanzato, entrare in un pronto soccorso, superare un pretriage, registrarlo all’accettazione, scaricarlo dalla lettiga e sdraiarlo su un barella altrettanto fastidiosa per metterlo vicino agli “ascensori”, unico posto disponibile in un mattinata qualunque di un pronto soccorso qualunque. Ad aspettare la visita di un medico qualunque, che non conoscendo Agostinello reinizierà di nuovo dall’inizio. Quando l’inizio dovrebbe essere la fine.
Il ciclo vitale della futilità.
Tutto apparentemente più semplice piuttosto che cambiare prospettiva: chiamare il suo curante o un suo curante che prenda la macchina, parcheggi vicino a casa di Agostinello e salga i cinque piani per entrare in casa sua chiedendo permesso per aiutarlo a smettere di sopravvivere e provare a morire con dignità e senza futilità. Perchè Agostinello continui a guardare l’inifinito non in un muro ma da una finestra da cui vede il cielo e possa farlo con decoro, rispetto ed intimità. Senza nessuno che si intrometta nei suoi sogni che sono sopravvissuti.
Ma di cosa stiamo parlando? Ma che problemi abbiamo? Ma davvero noi vogliamo contribuire e perseguire questa medicina dell’assurdo?
Ileana
Ileana ha 79 anni e tre grossi affanni che le stringono il cuore. Una figlia disabile, una povertà sconfinata ed una fragilità nel corpo e nell’anima che le rendono ormai difficile camminare senza cadere nel mondo.
La trovo così un giorno nella degenza del pronto soccorso. Con un bernoccolo in testa ed un TAC del capo negativa. Le ferite materiali sono poche, maggiori quelle spirituali. L’ospedalizzazione evidenzia una iniziale demenza che una convivenza stretta e solitaria con la sola figlia non aveva permesso di essere evidenziata. O meglio aveva nascosto, celando dietro alle abitudini di una vita senza richieste e senza deroghe eccezionali. Ileana potrebbe tornare a casa, ma non ha i soldi per permettersi una ambulanza di rientro ed un aiuto più robusta della figlia malata. Figlia solerte che viene in ospedale per portarla a casa ma sembra più malata o forse meno sana della madre. Lo noterà anche il tassista nel momento in cui arrivati a casa Ileana non riesce a scendere dal mezzo e la figlia non ha le forze per aiutarla.
Unica possibilità è ripercorrere indietro lo spazio appena percorso: una vittoria per il tassista che raddoppia la tariffa, una sconfitta per ciò che questa retromarcia rappresenta. Per Ileana, Per la figlia. Per il sistema sanitario sociale nazionale.
Assurdità e povertà.
Il covid ha lasciato una eredità terribile. Non la resilienza. Non solo il burn out o la moral injury fra il personale sanitario. Ma l’estrema povertà che affiora fra le rughe di una società sempre più sfilacciata.
Dovrebbe averci fatto capire una cosa: solo una medicina territoriale può davvero rispondere al bisogno di salute di una popolazione sempre più povera di risorse, ma sempre più ricca di necessità socioassistenziali e sanitarie.
E di fronte ad una società che invecchia, cambia, l’unica risposta è sempre la stessa: cambiare anche noi.
Non possiamo di poter curare le persone come eravamo abituati quindici anni. Forse dobbiamo ritornare a 80 anni fa. Ad una qualcosa di sostenibile, sociale, umano, personale e personalizzato. In qualche modo a qualcosa più Autentico.
Potremmo salvare quanti sindromi coronariche acute o arresti cardiaci vogliamo. Ma Agostinello ed Ileana sono anche loro due vittime che non abbiamo deciso di curare in modo giusto. Che necessita di cure Diverse, ma Giuste.
Essere il medico che salva Agostinello da quell’invio in pronto soccorso o che accoglie Ileana al suo domicilio e la fa scendere dalla macchina: mi sembra il vero ruolo scoperto del nostro servizio sanitario attuale. Un ruolo che merita di essere ricoperto. Forse il vero significato di cura sta là. Fra Agostinello ed Ileana, nel ruolo cruciale di un medico che attualmente non ha né un viso né un volto ma solo una maschera.
Bellissima riflessione, molto condivisibile.
“Il ciclo vitale della futilità” è una definizione amara ma molto appropriata
un commento di marco è sempre una note di merito. grazie mille
Bellissimo post, come sempre.
Avrò un bias, ma credo che oltre a quanto detto nel testo centri come in ormai ogni aspetto della nostra professione la questione della “medicina difensiva” o più correttamente della “medicina basata sulla paura dell’avviso di garanzia”. Quante volte abbiamo lavorato spinti dall’angoscia di ritorsioni legali di parenti in denial ?
Umanizzare, umanizzare, umanizzare…. Umanizzare la vita, umanizzare la morte e umanizzare la cura.
http://www.postintensiva.it
..complimenti..nn importa quanto uno possa essere stanco al rientro dal lavoro…leggere un tuo articolo è come bere 10 redbull…un piacere…una ricarica…ti fa ricordare quando hai fatto il giuramento di Ippocrate e la contentezza che avevi nel cuore…ti fa sentire che puoi fare qualcosa di grande…grazie…xché quando togli la polvere che incrosta le nostre anime di medici, fai la differenza e ci ricordi quanto è bello fare quello che facciamo, grazie xché fai passare luce attraverso i nostri lucernari
Hai illustrato come al solito benissimo la nostra realtà. Io lavoro in medicina e lungodegenza, tanti anziani o comunque persone non autosufficienti che hanno bisogno di questo di supporto sociale, calore umano più che di farmaci e ospedali.
risanna, valentina, sergio, ale: grazie dei commenti e dei complimenti. Supporto, calore, umanizzare: forse possiamo ancora fare la differenza e pensare che sia davvero bello ciò che potremo fare
Grazie. Noi ci siamo per Agostinello, per Ileana e in verità anche per sua figlia. Forse hai ragione tu, siamo i medici di 80 anni fa. Giro il post ai miei colleghi dell’assistenza domiciliare UCP e ADI. Dobbiamo fare in modo che chiamare noi e non arrivare in PS sia una cosa reale.
Il post è davvero centratissimo, dobbiamo proprio cambiare l’idea che abbiamo di ‘cura in determinati setting, e possiamo farlo solo cambiando noi in prima persona. Altrimenti la nostra sanità, oltre che disumanizzante, sarà anche non più sostenibile. Bravo