lunedì 11 Dicembre 2023

Eclissi – The Dark Side of the MEU (finale)

Ecco, siamo giunti alla conclusione del viaggio nei lati oscuri della medicina d’emergenza: abbiamo affrontato già otto tappe, in otto post differenti, e adesso siamo arrivati a quella conclusiva. L’ultima canzone di The Dark Side of the Moon è Eclipse, ed è una sorta di sintesi delle canzoni precedenti, ma anche un passo ulteriore, perché dopo la sua conclusione, nel battito cardiaco che richiama l’apertura dell’album, si ode una voce lontana lontana che pronuncia una frase ormai famosa:
“Non esiste il lato oscuro della luna. In realtà, è tutta oscura.” (“There is no dark side in the moon, really. Matter of fact, it’s all dark”)
L’eclissi, il momento in cui realizzi che non esiste un lato oscuro della medicina d’emergenza, ma è tutta oscura.
L’eclissi, il momento in cui tante persone capaci decidono di abbandonare questo lavoro perché vinte dai vari elementi affrontati e osservati nei post precedenti: la mancanza perenne di riconoscimento e gratitudine, il burn out, l’ossessione per il tempo, la violenza, il contesto perennemente caotico e sovraffollato.
Ma in realtà, a ben vedere, questo è un problema ancora trascurabile, seppure importante, e sicuramente si dovrà lavorare molto per cambiare le cose: migliorare la sicurezza dei professionisti dell’emergenza, contemplare un sistema retributivo differente, tutelare il sistema dell’emergenza grazie a norme e leggi pensate da chi conosce il sistema stesso, e garantire un adeguato turnover, anche interno al reparto, per permettere ai colleghi senior un alleggerimento del carico di lavoro.
Ma ripeto, tutti questi problemi appaiono piccoli di fronte al problema maggiore, quello che rischia realmente di eclissare la nostra figura, il problema dei problemi che minaccia la nostra figura.
No, non “figura”. Devo utilizzare un termine migliore, più forte, più importante.
“Identità”.
Cosa è un medico d’emergenza-urgenza? Di cosa si occupa? Qual è la sua Identità?
Attenzione, non mi riferisco solo ai neospecialisti o ai futuri specialisti, ma anche a chi ha conquistato questa identità lavorando sul campo, coltivando un orto con passione, recuperando quello che veniva lasciato dalle altre specializzazioni, mettendolo in ordine, curandolo con passione e dedizione, per farlo brillare e – a questo punto – renderlo nuovamente appetibile dalle altre specialità.
Che ora vorrebbero recuperarlo.
Vorrei sottolineare che non parliamo di “etichette” e di “titoli”, ma di competenze: e allora, quali sono le competenze proprie di un medico d’emergenza? Parliamo forse di una delle ultime discipline olistiche nell’ambito delle specializzazioni mediche, in cui viene richiesta una grande trasversalità di competenze ed esperienze, da mettere in pratica in breve tempo su ogni tipo di paziente, in un contesto caotico e imprevedibile.
Competenze cliniche, diagnostiche, strumentali: il medico d’emergenza utilizza l’ecografia clinica, somministra farmaci per la sedazione procedurale, gestisce ventilatori per la ventilazione non invasiva e talvolta invasiva, esegue procedure di riduzione di fratture e lussazioni, gestisce le vie aeree dei pazienti, effettua rianimazioni cardiopolmonari, valuta elettrocardiogrammi prendendo decisioni  a volte salvavita sui pazienti. Nessuno si sognerebbe di svolgere il nostro lavoro, eppure da alcune parti vengono sollevate barricate per dirci che cosa non dovremmo fare: per leggere l’ECG ci vuole il cardiologo? o l’ecografia è appannaggio del radiologo? e la sedazione procedurale è competenza anestesiologica?

Ripeto: non parliamo di etichette, e l’interesse primario è sempre il paziente: è evidente, il medico d’emergenza-urgenza non è né si deve sentire superman, come accennato nel primo post della serie, e sarà inevitabile talvolta consultare uno specialista per situazioni particolari o per fugare un dubbio, ma questo non deve essere la regola. Se il medico d’emergenza non può valutare un ECG, non potrà prendere decisioni rapide in un paziente critico; se non potrà utilizzare sedativi o analgesici come il fentanyl (perché è questo che viene richiesto da alcune parti del mondo anestesiologico) ci rimetterà il paziente, magari un politraumatizzato sul territorio (e conosciamo bene gli impatti emodinamici dell’oligoanalgesia ed i rischi sull’outcome stesso del paziente); e gli esempi possono essere numerosi.
Quindi l’identità del medico d’emergenza deve essere forte, e tutelata, per tutelare i pazienti stessi. Parliamo di dolore: chi è il massimo esperto di dolore? Il terapista del dolore, ovvio. Eppure, quale figura professionale osserva, valuta, gestisce il maggior numero di pazienti con dolore in tutto l’ospedale? Il medico d’emergenza-urgenza: se consideriamo che fino al 70% dei motivi di accesso in pronto soccorso è per una qualche forma di dolore, significa che ogni medico di pronto soccorso visita e (si spera) cura, ogni anno, più di 1000-1500 pazienti con un dolore acuto (o cronico riacutizzato).

La nostra identità nasce dall’esperienza, non dall’autoreferenzialità: e le nostre competenze sono in qualche modo provate dalla letteratura internazionale. La sicurezza della sedazione procedurale, per fare un esempio, è provato da diversi chili di lavori presenti su pubmed: eppure dobbiamo ancora difenderla. Lo stesso vale per l’ecografia clinica, la ventilazione, la gestione avanzata delle vie aeree. E se questo non viene garantito e tutelato, correranno rischi anche gli specialisti MEU, che di fatto possiedono i titoli e le competenze (stabiliti dall’Università, al pari delle altre specializzazioni) per quanta riguarda il riconoscimento della loro identità di medico d’emergenza-urgenza.
Medico di medicina d’emergenza, medico di pronto soccorso, medico del territorio, medico dell’OBI: l’identità deve prevedere un terreno comune, ed uno scambio continuo di competenze, per essere davvero uniti e forti. Ho ormai appurato che gli organici più forti e coesi sono quelli in cui si svolgono diverse mansioni: così si apprende un linguaggio comune, e così si fanno proprie le diverse problematiche organizzative e di lavoro, evitando contenziosi, e prendendo decisioni condivise e comuni. Non dovremmo tollerare organici separati.
Quindi, per evitare l’eclissi dobbiamo difendere la nostra identità professionale, le nostre competenze e saper però anche riconoscere i nostri inevitabili limiti: nessun MEU è superman, anche se talvolta gli verrà richiesto; e come scriveva John Donne, “nessun uomo è un’isola”, e nessun medico d’emergenza-urgenza, o di pronto soccorso, o del territorio, dovrebbe sentirsi isolato da una rete che arriva fino ai reparti dell’ospedale.
Ma allora, la medicina d’emergenza ha solo lati oscuri? Vorrei far parlare due immagini.
La prima è un falso, ma è un’immagine così bella e verosimile da rappresentare in qualche modo un’idea: l’immagine del militante del Ku Klux Clan ferito da un’arma da fuoco e circondato da medici ed infermieri di colore che si affannano per salvarlo è stata scattata in studio per una rivista negli anni 70, però rappresenta alla perfezione quello che sarebbe potuto accadere (e che forse è accaduto in situazioni differenti) se si fosse presentata l’occasione: la passione dei professionisti dell’emergenza, la concitazione del momento, il lavoro di un team che prevede diversi attori con ruoli differenti ma con importanze simili: il medico, l’infermiere, il personale ausiliario. Caos organizzato, tempi rapidi di azione e decisione, interesse assoluto per il paziente (non importa se è un razzista come nella foto).
L’altra foto è più recente, ed è drammaticamente vera: è la prima immagine diffusa di un pronto soccorso di Parigi alle prese con i feriti del recente attacco terroristico: la calma apparente delle figure sanitarie, la loro grande professionalità e dignità nel gestire una situazione estrema e imprevedibile come quella, sempre nell’interesse dei pazienti, il silenzio che sovrasta i lamenti dei feriti, i rumori ritmici dei monitor, gli squilli dei telefoni, la concentrazione e l’impegno, e la stanchezza, che è presente ma che in certi momenti è bene non sentirla con sé.
Ecco, il medico d’emergenza è questo: è la figura che traspare dalle due fotografie, il professionista che lavora in contesti che – per fortuna – non sono mai così estremi ma che sono davvero unici.
E quindi, forse, non è vero che la medicina d’emergenza è tutta oscura: anzi, probabilmente non esiste  un lato oscuro della medicina d’emergenza, proprio come la luna, perché come conclude la voce citata in precedenza, “l’unica cosa che la fa sembrare luminosa è il sole”.
Siamo così giunti alla conclusione di questo viaggio, tra lati oscuri e lati chiari, e ciascuno di noi continuerà a viverli nel proprio modo, e a superarli secondo le proprie esperienze e capacità: e davvero non sono sicuro se con queste parole posso aver contribuito in qualche modo a rischiarare la vostra visione di un lavoro difficile e dalle mille facce, ma davvero mi auguro che ognuno di voi prosegua ad essere un faro nella notte per i pazienti che incontra, ed un faro per illuminare i lati oscuri di un lavoro complesso, faticoso, ma che per noi è il più bello che possa esistere.

(the end)

Post Scriptum: qualcuno conosce il mio “strano” interesse per i titoli di coda. Rendono onore a tutte le persone che in qualche rendono possibile la riuscita di un film. In questa serie di post ho quasi sempre parlato di medico dell’emergenza-urgenza perché parlavo di me; qualche volta ho parlato anche di infermieri, e raramente ho citato gli OSS. In realtà, il nostro è un lavoro in team, e solo il team (in cui tutti gli attori hanno un ruolo e pari importanza) può ottenere un risultato, e solo un team può crescere e migliorarsi: è forse uno degli aspetti più belli del lavoro dell’emergenza.

Ringraziamenti: volevo ringraziare Carlo D’Apuzzo, per aver creato questo blog e per aver creduto in questa serie di post; i miei colleghi ed amici del gruppo SAU, dai quali ho preso molti spunti per queste righe: Fabio De Iaco (anche per la metafora del faro nella notte), Mario Guarino (che condivide con me la passione per i Pink Floyd), Enrico Gandolfo, Maria Paola Saggese, Gaetano Diricatti; tutto lo staff del pronto soccorso di Savona, che ha vissuto i miei primi dieci anni di medico MEU sopportando (tra l’altro) anche la genesi di questi post, e  Roberto Lerza, per il suo continuo aiuto e per avermi “salvato” da una carriera da internista e avermi permesso di diventare un medico d’emergenza-urgenza.

Mi farebbe davvero piacere leggere nei vostri commenti cosa rappresenta per voi la medicina d’emergenza-urgenza, quali lati oscuri trovate insostenibili, e cosa invece trovate stimolante e positivo…

Alessandro Riccardi
Alessandro Riccardi
Specialista in Medicina Interna, lavora presso la Medicina d’Emergenza – Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Savona. Appassionato di ecografia clinica, è istruttore per la SIMEU in questa disciplina, ed è responsabile della Struttura di Ecografia Clinica d’Urgenza . Fa parte della faculty SIMEU del corso Sedazione-Analgesia in Urgenza. @dott_riccardi

6 Commenti

  1. bellissimo il tono calmo e rassicurante dell’articolo. nel caos del lavoro quotidiano, le Sue riflessioni sono faro di luce. grazie.

  2. Grazie per l’arricchimento che i vostri articoli elargiscono permettendo anche di confrontarsi . Anna Maria Costa medico PS ASTIa

  3. complimenti ,parlavo proprio oggi con una collega finlandese della grande considerazione e autonomia del medici d’urgenza emergenza che agiscono nel suo paese ,lei ne fa parte.ti chiedo scusa se ti rubo dello spazio.indirizzami dove acquistare evidence based physical diagnosis di STEVEN MC GEE GRAZIE

  4. Alessandro con questa serie di post hai fatto centro, hai fatto breccia nel cuore di tutti… la Medicina d’Urgenza è una brutta bestia, è un lavoro bello e dannato. Una grande stronza. Certi giorni sono innamorato del mio lavoro e penso che mi romperebbe davvero le scatole andare a lavorare in un reparto, certi altri darei fuoco alle polveri. Credo che il mio livello di stress e di burn-out sia direttamente proporzionale alla quantità di pazienti PS, alla discrepanza tra quello che vorrei/saprei fare e quello che riesco a fare, ai consulenti che rimpallano sempre con estrema classe. E’ incredibile la quantità di vita che vedi passare per il PS, la quantità di esperienze, di aneddoti, di dolore e di gioia che incontri… qualcosa di sconvolgente che mi fa sempre paura. L’unico lavoro in cui vedi così tanta gente è il cassiere del supermercato… ma in quel caso hai meno responsabilità.
    Leggerti fa bene al cuore, Alessandro. Grazie mille
    … and if I show you my dark side… will you still hold me tonight?

    • Come una cassiera! Mauro, sei unico! Grazie del tuo commento! Comunque, ti svelo una cosa: l’idea di un post sulla medicina d’emergenza (che poi è diventata una serie, complice The Dark Side of the Moon) mi è nata leggendo il tuo magnifico post “Vento a Tindari”, che a mio avviso rimane il più bello mai pubblicato su Empills…

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