Coautore : Matteo Paganini. Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza, Università di Padova. Twitter: pagustein. E-mail: [email protected]
Epidemiologia
Secondo i dati del Rapporto Epidemiologico Settimanale del Sistema di Sorveglianza Influnet [1], nella quarta settimana dell’anno 2015 (19-25 Gennaio 2015) la curva epidemica delle sindromi influenzali ha raggiunto il picco di incidenza totale (pari a 10,55 casi per mille assistiti), per poi riscendere a 9,57 casi per mille assistiti nella sesta settimana (2-8 febbraio).
Durante la stagione 2013-2014 l’incidenza cumulativa osservata è stata pari a 78 casi per 1.000 assistiti, con una prevalenza di virus di tipo A (97%) rispetto ai virus di tipo B (3%). Nell’ambito del tipo A, sono stati isolati e/o identificati nell’85% dei casi virus appartenenti al sottotipo H3N2, mentre nel 35% H1N1.
Tornando alla stagione 2014-2015, dall’inizio della sorveglianza al 25 gennaio (dati provenienti da 12 Regioni e Province Autonome) sono stati registrati 239 casi gravi (definiti come pazienti ricoverati in Unità di Terapia Intensiva), dei quali 40 sono deceduti. Tali dati risultano in linea con quelli registrati negli anni passati. L’età mediana dei casi è di 59 anni (range 0-89). Il 72% dei casi gravi ed il 77% dei decessi presentava almeno una patologia cronica preesistente. In ordine di frequenza patologie cardiovascolari (46,6%), patologie respiratorie (36,3%) e diabete (20%). Sono stati inoltre riscontrati 6 casi gravi in donne in gravidanza.
Il virus A/H1N1 è stato isolato nell’84% dei casi gravi (seguito dal virus A/H3N2 al 7,3%).
Virus A/H1N1
Nella maggior parte dei casi l’infezione da H1N1 causa una sintomatologia lieve e autolimitante. Tuttavia la gravità delle manifestazioni cliniche è molto variabile, oscillando da una infezione delle vie aeree superiori a un quadro di ARDS. Nei casi fatali i reperti anatomo-patologici hanno mostrato un quadro di danno alveolare diffuso, con membrane ialine e edema dei setti, tracheiti e aspetti di bronchiolite necrotizzane. Una sovrainfezione batterica è stata riscontrata dal 26 al 38% dei casi fatali [2].
La diagnosi di infezione da virus H1N1 viene generalmente posta tramite l’esecuzione della RT-PCR (real-time reverse-transcriptase–polymerase-chain-reaction) su aspirato o su tampone nasofaringeo. Questa metodica è oggigiorno considerata il gold standard, avendo oramai sostituito la coltura virale grazie alla maggiore rapidità (in media 48 ore) e accuratezza [3]. Nei pazienti con un coinvolgimento delle basse vie aeree l’aspirato tracheale o broncoscopico presenta tuttavia una maggiore sensibilità, di conseguenza un risultato negativo di un tampone faringeo non può escludere del tutto l’infezione, e qualora sussista un forte sospetto clinico l’esame va ripetuto [2]. Tali test sono generalmente non eseguibili in pronto soccorso, sebbene in alcune realtà siano utilizzati dei “test rapidi”, i cui risultati sono disponibili entro 30 minuti.
Gli studi effettuati sui cosiddetti test rapidi hanno evidenziato una estremità variabilità in termini di sensibilità (in particolare nei pazienti adulti) e una specificità relativamente buona. Tuttavia si sono rivelati utili in particolare in corso di epidemia, quando la probabilità pre-test si innalza. Una recente review canadese conclude che i test rapidi possono essere utilizzati per porre diagnosi di influenza ma non per escluderla [3].
Clinicamente i casi gravi si manifestano con un quadro di ARDS (“acute respiratory distress syndrome“). Nelle forme gravi la progressione è generalmente rapida e il paziente inizia ad aggravarsi in quarta-quinta giornata di malattia. Caratteristicamente i pazienti presentano una età media inferiore rispetto ai pazienti ricoverati per altre patologie respiratorie (31 vs 41 anni p<0.001) [4]. Alcuni autori hanno cercato di spiegare tale dato ipotizzando che i pazienti nati prima del 1950 potrebbero essersi immunizzati in passato con varianti del virus antigenicamente analoghi all’H1N1. [5]. Inoltre, secondo le diverse casistiche, dal 25 al 50% dei dei pazienti ospedalizzati presenta una anamnesi patologica remota muta [2].
La radiografia del torace è inizialmente normale in più della metà casi. Nei casi più gravi può mostrare infiltrati interstiziali e alveolari, con una possibile distribuzione lobare e multilobare, in particolare nei pazienti con sovrainfezione batterica [6]. La TC del torace è considerata il gold standard, più comunemente mostra aree con aspetto a vetro smerigliato multifocali e bilaterali, con o senza addensamenti associati, a distribuzione prevalentemente peribroncovascolare e subpleurica [7,8]. Tuttavia non è ovviamente possibile ricorrere a tale metodica per tutti i pazienti, in particolare in pronto soccorso.
Nel contesto del dipartimento di emergenza l’ecografia toracica può rappresentare uno strumento che, in modo rapido, sicuro ed economico, può contribuire a identificare la patologia polmonare interstiziale H1N1 relata, supporre la diagnosi di polmonite virale e riconoscere i pazienti a rischio di evoluzione che potrebbero giovarsi di una gestione in ambiente intensivo.
Sulla diagnosi ecografica di polmonite si è già discusso nel post “Diagnosi di polmonite: basta l’eco?“.
Ecografia polmonare e influenza H1N1?
Uno studio multicentrico capostipite (Early recognition of the 2009 pandemic influenza A (H1N1) pneumonia by chest ultrasound) è stato pubblicato su Critical Care dagli italiani A. Testa e colleghi [9].
Obiettivo dello studio quantificare l’accuratezza diagnostica dell’ecografia polmonare nel valutare la patologia interstiziale e nell’identificare i segni precoci di polmonite interstiziale da virus dell’influenza A H1N1. Obiettivo prezioso, considerando come la patologia interstiziale diffusa può presentarsi con una obiettività polmonare e una radiografia nella norma, seppur con il rischio di causare una insufficienza respiratoria.
L’ecografia mirava a riscontrare quattro aspetti patologici: 1- presenza, distribuzione e estensione della sindrome interstiziale (> 3 linee B per area) 2- Anomalie della linea pleurica (ispessimento della linea pleurica > 2 mm o aspetto granuloso, eventualmente associato a uno sliding pleurico abolito per le aderenze causate dall’essudato) 3- consolidamento alveolare (piccole aree ipoecogene superficiali di forma variabile e bordi irregolari o aree ipoecogene più estese con possibile presenza di broncogramma aereo) 4- versamento pleurico.
L’ecografia polmonare nella diagnosi di polmonite acquisita in cominutà (sia virale che batterica) ha mostrato complessivamente una sensibilità del 94.1% (32 su 34 pz) e una specificità dell’84,8%, con un valore predittivo positivo dell’86,5% e un valore predittivo negativo del 93,3%.
Nella tabella seguente (cliccare per ingrandire) sono riportate le caratteristiche clinico-ecografiche di 16 pazienti con radiografia del torace normale e con diagnosi finale di polmonite.
Tuttavia il reperto ecografico di sindrome interstiziale non è specifico, essendo riscontrabile nell’edema polmonare cardiogeno, nella polmonite, nella ARDS, nella contusione polmonare e nella fibrosi polmonare. Di conseguenza l’ecografia polmonare non è di per sé sufficiente per porre diagnosi di polmonite virale. Importante è valutare la distribuzione delle linee B e la presenza di altri reperti patologici polmonari, interpretando le informazioni fornite dall’ecografo alla luce dei dati clinico-anamnestici.
In conclusione gli autori considerano l’ecografia polmonare uno strumento utile a riconoscere reperti polmonari patologici in pazienti nei quali la radiografia del torace risulta normale. Una sindrome interstiziale a distribuzione disomogenea, con aree di risparmio, risulta essere fortemente predittiva di polmonite virale.
I ricercatori di un pronto soccorso pediatrico di New York hanno proposto un algoritmo diagnostico basato sull’ecografia polmonare, valutandone l’utilità nel corso della pandemia di Influenza A H1N1, verificatasi dall’Aprile al Giugno 2009 [10]. Durante tale periodo il pronto soccorso dovette ricevere un numero quadruplicato di pazienti, lavorando in un contesto di sovraffollamento, ove il ricorso all’ecografia al letto del paziente si rileva particolarmente utile.
Per l’esecuzione dell’ecografia polmonare è stato utilizzato il Protocollo BLUE di Lichtenstein [11] modificato, con l’aggiunta delle scansioni posteriori.
Lo studio ha arruolato i pazienti con età inferiore a 21 anni che si sono presentati presso il pronto soccorso con una sospetta infezione delle vie respiratorie. In aggiunta alla normale gestione del paziente veniva eseguita una ecografia polmonare, valutata da due esperti ecografisti all’oscuro dei restanti dati clinici.
I reperti ecografici di piccoli consolidamenti subpleurici (generalmente <0.5 cm) e/o linee B focali o confluenti sono stati considerati compatibili con una polmonite virale, mentre il riscontro di un consolidamento del parenchima polmonare con broncogramma aereo veniva considerato positivo per polmonite batterica.
Il reperto ecografico veniva quindi confrontato con la radiografia del torace (polmonite batterica definita come “addensamento”, “infiltrato” e polmonite virale definita come “‘ispessimento dell’interstizio peribronchiale” o ‘accentuamento della trama interstiziale”).
La concordanza inter-osservatore per i reperti ecografici è stata dello 0.82 (Cohen’s Kappa, 95% confidence interval (CI), 0.63 to 0.99).
In otto pazienti il riscontro di consolidamento polmonare con broncogramma aereo correlava con il riscontro radiografico di polmonite (definita come “infiltrato” o “addensamento”). Nella totalità dei casi si è poi confermata, nel corso della degenza, l’eziologia batterica della polmonite.
Reperti radiografici compatibili con polmonite virale erano presenti in 8 pazienti su 15 (53%) con reperto ecografico suggestivo di polmonite virale. Sette di questi quindici pazienti con polmonite virale presentavano inoltre una sovrainfezione batterica, identificata sin dall’esame ecografico.
Secondo gli autori l’ecografia polmonare permetterebbe di iniziare immediatamente l’antibiotico in caso di riscontro di consolidamento polmonare con broncogramma aereo, Di fronte al riscontro di reperti compatibili con polmonite virale permetterebbe invece di isolare il paziente e eventualmente iniziare l’antivirale, senza dover attendere l’esecuzione della radiografia e la sua refertazione. Questo vantaggio diventerebbe particolarmente prezioso in corso di epidemia.
Limitazioni dello studio, dichiarate dagli autori stessi, sono la ristrettezza del campione, l’aver arruolato pazienti la cui gravità imponeva l’esecuzione di una radiografia del torace (con una conseguente carenza di informazioni su casi meno gravi). Inoltre l’aver eseguito lo studio in corso di sovraffollamento del pronto soccorso potrebbe aver causato bias di selezione.
Questo studio coinvolge pazienti in età pediatrica. Bisogna peraltro considerare tale caratteristica non un limite, quanto piuttosto una peculiarità di questo studio, che lo rende tuttavia poco generalizzabile. Nella popolazione pediatrica si riscontrano polmoni relativamente più sani e “giovani” rispetto a quelli di adulti e anziani. In questi ultimi è infatti più probabile ritrovare irregolarità pleuriche o interstiziopatie non note, con il rischio di porre diagnosi errate.
Caso clinico
“Un ecografo, un ecografo, il mio regno per un ecografo”? Ovvio che no… Cerchiamo sempre di ragionare con ordine, partendo dalla clinica e sfruttando le likelihood degli strumenti a nostra disposizione per arrivare alla diagnosi più probabile.
Una paziente di 40 anni giunge ricoverata per sintomi influenzali e concomitante anemizzazione (8,2 g/dL).
Anamnesticamente: da circa un anno febbricola; linfoadenopatia inguinale bilaterale da 6 mesi e lieve calo ponderale. Una settimana fa tutti i membri della famiglia hanno presentato iperpiressia fino a 40°C, tosse non produttiva, cefalea e odinofagia. In tutti i membri della famiglia la sintomatologia è regredita, ad esclusione della paziente. I parametri vitali non sono allarmanti: si segnala soltanto una tachicardia (110 bpm, ritmica), il resto tutto entro la norma.
All’esame obiettivo si segnala un pacchetto linfonodale palpabile a livello inguinale bilateralmente, all’auscultazione del torace soltanto dei fini crepitii isolati, maggiori a sinistra, in assenza di gradiente apico-basale.
Leucociti nella norma, PCR lievemente aumentata, l’anemia è ipocromica microcitica. Sono disponibili alcune recenti sierologie virali e parassitarie, tutte negative.
La paziente viene indagata con un’ecografia del torace, che mostra i seguenti reperti:
Sono evidenti delle piccole irregolarità pleuriche e concomitanti linee B in zona medio-basale del polmone di sn. La base destra e gli altri campi polmonari, per quanto possibile esaminare, risultano normali, senza alcun consolidamento e con presenza di linee B in numero non significativo per sindrome interstiziale.
Si soprassiede alla radiografia del torace, dovendo la paziente eseguire una TC con mdc per indagare eventuali linfoadenopatie profonde. Nel segmento toracico alla tc viene riscontrato: “Sottile film liquido colma i seni costofrenici posteriori, fatto piu’ evidente a destra; concomita atelettasia del parenchima polmonare contiguo. Strie dense agli apici polmonari; nel restante ambito polmonare si apprezzano tenui addensamenti a vetro smerigliato, piu’ evidenti al segmento apicale del lobo superiore del polmone destro ed al segmento mediale del lobo segmento apicale del lobo superiore del polmone destro ed al segmento mediale del lobo medio, in paracardiaca, e tenui chiazzette dense in sede centrolobulare su fondo enfisematoso, anche con aspetti bollosi. Due focali ispessimenti della piccola scissura, il maggiore di 8 mm, compatibili anche con linfonodi intrapolmonari. Linfonodo tondeggiante con diametro di circa 15 mm a ridosso dell’origine dell’arteria anonima; altri linfonodi, piu’ piccoli, in ambito ilare e mediastinico, il maggiore in sottocarenale di circa 1 cm”.
Un reperto quindi non molto specifico; anche se le irregolarità a vetro smerigliato inducono a deporre per un interessamento interstiziale discontinuo.
Nel frattempo varie sierologie risultano negative; e due giorni dopo giunge il risultato positivo per influenza A/H1N1: viene cominciata terapia antivirale, con successivo miglioramento del quadro generale.
E così torniamo al punto principale, alla domanda che ci poniamo in Pronto Soccorso, in Medicina d’Urgenza o in Medicina Interna. “Antivirale: si o no??”
Per rispondere ci si basa per ora sull’insieme di clinica, laboratorio (spesso solo emocromo, PCR o poco altro) e se fortunati sulla radiografia del torace. Il tutto, ovviamente, condito con un pizzico di gestalt, che male non fa!
Organizzazioni come la WHO e diverse società nazionali affermano che, nel lecito sospetto clinico e fino a prova contraria, andrebbe somministrata la terapia antivirale nei pazienti con comorbidità tali da rischiare un aggravamento della condizione di base in seguito all’infezione influenzale [2].
Perciò potremmo sbilanciarci verso il si? Della serie: “do l’antivirale, che male non fa?”
Tuttavia potrebbe apparire come un atteggiamento superficiale, al quale è quasi preferibile l’ignavia di attendere ulteriori accertamenti e il risultato della RT-PCR. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il tempo stringe: l’efficacia dell’oseltamivir è massima entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi influenzali.
E qui si aprono decine di altre domande, alcune delle quali stimoleremo noi per primi. Quando sospetto l’influenza inizio l’antivirale prima del risultato della RT-PCR?.
Quali sono le implicazioni? In termini di costi? In termini di possibili reazioni avverse? Possibile beneficio al paziente?
… a voi la parola!
Bibliografia
[1] Rapporto Epidemiologico Settimanale. Influnet Rapporto N. 16 del 11 Febbraio 2015. FluNews : aggiornamento alla 4° settimana del 2015.
[2] Writing Committee of the WHO Consultation on Clinical Aspects of Pandemic (H1N1) 2009 Influenza Clinical Aspects of Pandemic 2009 Influenza A (H1N1) Virus Infection; N Engl J Med 2010;362:1708-19.
[3] Chartrand C et al. Accuracy of rapid influenza diagnostic tests: a meta-analysis. Ann Inter Med 2012 Apr 3;156(7):500-11. doi: 10.7326/0003-4819-156-7-201204030-00403. Epub 2012 Feb 27.
[4] Keijzers GB et al.; Predicting influenza A and 2009 H1N1 influenza in patients admitted to hospital with acute respiratory illness; Emerg Med J 2011 Jun;28(6):500-6. doi: 10.1136/emj.2010.096016. Epub 2011 Mar 25.
[5] Itoh Y, Shinya K, Kiso M, et al. In vitro and in vivo characterization of new swineorigi H1N1 influenza viruses. Nature 2009;460:1021-5.
[6] Agarwal PP et al. Chest radiographic and ct findings in novel swine-origin influenza A (H1N1) virus (S-OIV) infection. Am J Roentennol 2009 Dec;193(6):1488-93. doi: 10.2214/AJR.09.3599
[7] Li M et al. Influenza A (H1N1) pneumonia: an analysis of 63 cases by chest CT. Chin Med J (engl) . 2011 Sep;124(17):2669-73.
[8] Valente T et al. H1N1 pnuemonia: our experience in 50 patients with a severe clinical course of novel swine-origin influenza A (H1N1) virus (S-OIV) Radiol Med. 2012 Mar;117(2):165-84. doi: 10.1007/s11547-011-0734-1. Epub 2011 Oct 21.
[9] Testa A. et. al. Early recognition of the 2009 pandemic influenza A (H1N1) pneumonia by chest ultrasound; Critical Care 2012, 16:R30
[10] Tsung et al.; Prospective application of clinician-performed lung ultrasonography during the 2009 H1N1 influenza A pandemic: distinguishing viral from bacterial pneumonia. Critical Ultrasound Journal 2012, 4:16
[11] Lichtenstein DA, Meziere GA (2008) Relevance of lung ultrasound in the diagnosis of acute respiratory failure: the BLUE protocol. Chest 134(1):117–125
Grazie Tommaso della ricca sintesi!
Non mi è ancora chiarissima l’utilità dell’antivirale, soprattutto dopo il secondo giorno di malattia, ma
personalmente, in periodo epidemico come questo, mi regolo così:
1. Polmonite ipossiemica: tampone nasofaringeo e antivirale empirico, ricovero
2. Polmonite non ipossiemica (anche solo ecografica con rx T negativo): tampone nasofaringeo e antivirale empirico, controllo clinico in PS a due giorni
3. Febbre e tosse: tampone nasofaringeo e controllo clinico in PS a due giorni
Curioso di conoscere i vostri protocolli
Grazie
Roberto
io vi linko cosa pensano alla cochrane :
http://community.cochrane.org/features/tamiflu-and-relenza-getting-full-evidence-picture
e che dice un recente studio del BMJ:
Conclusions In prophylactic studies oseltamivir reduces the proportion of symptomatic influenza. In treatment studies it also modestly reduces the time to first alleviation of symptoms, but it causes nausea and vomiting and increases the risk of headaches and renal and psychiatric syndromes. The evidence of clinically significant effects on complications and viral transmission is limited because of rarity of such events and problems with study design. The trade-off between benefits and harms should be borne in mind when making decisions to use oseltamivir for treatment, prophylaxis, or stockpiling.
in sintesi io lo userei solo per le ards
Una meta-analisi recentemente pubblicata su The Lancet giunge a risultati pressoché analoghi: il trattamento con oseltamivir (75 mg bid per cinque giorni) nei pazienti con influenza confermata laboratoristicamente risulta essere associato a una ridotta durata della sintomatologia (98h vs 123h). Tra gli outcome secondari gli autori evidenziano un ridotto ricorso alla terapia antibiotica e alla ospedalizzazione, sebbene non sia specificato in base a quali criteri il medico curante abbia preso tali decisioni. Effetti collaterali accertati la nausea (risk difference 3.7%, 95% CI 1.8–6.1) e il vomito (3.3% vs 8.0% [4.7%, 2.7–7.3]), dato da non sottovalutare visto che il principale risultato che ne dimostra l’efficacia è legato alla durata della sintomatologia.
Oseltamivir treatment for influenza in adults: a meta-analysis of randomised controlled trials
Siamo probabilmente lontani da un uso condiviso e razionale dell’oseltamivir. Una ragionevole opzione potrebbe essere il ricorso all’antivirale nei casi con insufficienza respiratoria e nei pazienti ad alto rischio di evoluzione (immunodeficienza, patologie croniche polmonari, sovrainfezioni batteriche, gravi cardiopatie).
Senza trascurare che preoccupazioni stanno nascendo relativamente allo sviluppo di sottotipi virali resistenti all’Oseltamivir. Infine dubbi sono sorti circa la buonafede della Roche, accusata di aver cavalcato l’onda dell’epidemia del 2009 (BMJ 2014; Tamiflu: “a nice little earner”).
http://www.emlitofnote.com/2015/02/which-review-of-tamiflu-data-do-you.html
Questo è un link ad un post interessante sul tema antivirale…
La domanda e’:
oseltamivir migliora l’outcome nei malati con polmonite da H1N1?
Concordo su tu tutti i caveat sulla `brand` research … (altra letteratura: http://fampra.oxfordjournals.org/content/30/2/125.full)
A Milano le farmacie dicono che oseltamivir e’ esaurito e che ci vorrà un mese per riaverlo, per cui la domanda e’:
oseltamivir migliora l’outcome nei malati con polmonite da H1N1 e insufficienza respiratoria acuta?
Buonasera a tutti!
Dire se l’oseltamivir migliori l’outcome dei pazienti che giungono con distress respiratorio è proprio il nodo gordiano della nostra discussione. Se proviamo a scioglierlo ci accorgeremo di alcuni problemi.
In primis, un grosso limite della letteratura: lo scarsissimo numero di pazienti che hanno partecipato agli studi, e la mancanza di lavori mirati su questo campione di pazienti gravi.
Uno studio multicentrico francese http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23829965 (l’unico che ho reperito da una rapida ricerca su pubmed sull’argomento H1N1, distress respiratorio e trattamento con antivirale) nel suo piccolo ha concluso ben poco. Non ha nemmeno centrato i suoi obiettivi primari, però gli autori affermano che l’applicazione precoce della terapia può limitare l’aggravamento dei pazienti ospedalizzati. Se andiamo a leggere il full-text, ci accorgiamo che stiamo parlando di 5/6 pazienti con ARDS, quindi una potenza statistica direi poco rilevante…
Piccolo inciso: carina la figura dove si mostra come le tempistiche burocratiche di approvazione del protocollo abbiano fatto perdere agli investigators praticamente metà dell’epidemia. Purtroppo ne so qualcosa!
Per ripartire con le riflessioni proviamo perciò ad agganciarci a quel che dice il CDC in USA: http://emergency.cdc.gov/han/han00375.asp
” Clinical judgment, on the basis of the patient’s disease severity and progression, age, underlying medical conditions, likelihood of influenza, and time since onset of symptoms, is important when making antiviral treatment decisions for outpatients.
Because of the importance of early treatment, decisions about starting antiviral treatment SHOULD NOT WAIT for laboratory confirmation of influenza. Therefore, treatment should generally be initiated EMPIRICALLY. ”
Passiamo quindi a:
http://www.cdc.gov/flu/professionals/antivirals/summary-clinicians.htm
Abbastanza prolissa, ma nell’insieme con punti chiave che possono tornare utili all’astute clinician:
– l’oseltamivir può ridurre la mortalità intraospedaliera…
– dare oseltamivir a tutti coloro che sono ospedalizzati, hanno malattie gravi/progressive, o hanno condizioni che li mettono a rischio di complicanze (lì elencate)…
Poco dopo ecco che si chiarisce “The effect of specific antiviral strategies in serious or life-threatening influenza is NOT ESTABLISHED FROM CLINICAL TRIALS conducted to support licensure of oral oseltamivir, inhaled zanamivir, or intravenous peramivir, as those studies were conducted primarily among previously healthy outpatients with uncomplicated illness”. Quindi non c’è un’approvazione vera e propria da parte della FDA per i critical patients: gli studi disponibili sono solo osservazionali; quindi ci si basa sui pareri di esperti, che possono cambiare nel tempo in base all’avanzamento delle ricerche. Non molto confortante vero? Ma è l’unica cosa disponibile al momento.
La letteratura inoltre concorda sul fatto che i pazienti complicati tendono a presentarsi con qualche giorno di ritardo rispetto ai non complicati. E gli studi elencati in calce al paragrafo sembrano dimostrare che anche dando l’antivirale 4-5 giorni dopo l’onset dei sintomi a questi pazienti gravi si può migliorarne l’outcome. Quest’affermazione è confortante: ovviamente le 48 ore rimangono la fascia migliore entro cui somministrare la terapia, ma almeno riusciamo a dipingere con sfumature di grigio (tanto per restare in tema) una situazione altrimenti in bianco e nero.
Un’ultima considerazione: la CDC consiglierebbe di iniziare trattamento profilattico negli operatori sanitari in caso di 2 in-patients a rischio di complicanze che si ammalano in 72h e almeno uno con influenza confermata dai test di laboratorio.
Quanti di noi hanno effettivamente iniziato una profilassi per evitare la diffusione della malattia?
….
Quanti di noi invece hanno preferito la mascherina?
Take home message: purtroppo non riusciremo a tagliare il nodo come Alessandro, e dovremo accontentarci di opinioni non molto evidence-based, seppur di studi osservazionali.
La mia opinione è che dovremmo applicare una razionale somministrazione di antivirale solo al paziente veramente a rischio di complicanze nel caso dell’outpatient, istruirlo, rivalutarlo. Naturalmente il paziente ricoverato, avendo un quadro clinico grave che non permette la dimissione dal DEA, dovrebbe ricevere l’antivirale fin dal Pronto Soccorso (in caso di forte sospetto, fino all’arrivo dei risultati di laboratorio) ma SOPRATTUTTO essere mantenuto in isolamento per evitare una diffusione in reparto (aspetto purtroppo sottovalutato).
In questo modo potremmo evitare il saccheggio delle farmacie, l’assenza di farmaco per chi effettivamente ne ha bisogno, e l’insorgenza di resistenze ed effetti avversi.
Spero di essere stato esaustivo.
PS: sto cercando di recuperare i protocolli in uso da noi, seguirà commento congiunto con Tommaso.