La richiesta del curante è esplicita: valutazione in PS per sospetta appendicite. Per un motivo che mi è ancora oscuro i pazienti che accedono su richiesta del medico con questo sospetto, giungono pressoché invariabilmente a sera tarda e, finché la lista viene progressivamente scalata, è già iniziato il turno notturno. Nulla di sconcertante, ho smesso di affannarmi da quando uso sistematicamente l’ecografia.
Alice è una ragazza di appena 20 anni che dal giorno precedente ha una dolenzia in fossa iliaca destra e nausea. Null’altro in verità. Ha in mano addirittura gli esami del sangue eseguiti la mattina: emocromo e PCR sono nella norma. L’addome è trattabile. La palpazione della fossa iliaca evoca dolore e uno sfumato risentimento al rilascio che tuttavia faccio fatica ad interpretare come un franco peritonismo. Potrebbe essere appendicite, ma non lo è: all’ecografia non emerge nulla di rilevante a carico degli annessi, né dei reni e, soprattutto, l’appendice è normale. Alice è dimessa dopo una quindicina di minuti di valutazione con istruzioni per casa e una terapia per il dolore. Magari fosse sempre così.
Precedenti post sono stati incentrati sull’utilità degli score, dell’esame fisico e dei dati di laboratorio nella diagnosi di appendicite. Ed uno, in particolare, ha già toccato l’argomento della diagnostica per immagini. Oggi, tuttavia, vorrei rimettere a fuoco l’utilizzo dell’ecografia, per quanto debba ammettere che la mia è una visione inguaribilmente partigiana a favore degli ultrasuoni.
Quanto possiamo contare sull’ecografia per escludere un’appendicite? Probabilmente più di quanto non si creda. Personalmente penso che l’utilizzo dell’ecografia da parte del medico di pronto soccorso possa essere estesa anche a questo quesito, purché se ne abbiano bene in mente i limiti e si sappia come fare l’esame.
Cercherò di rifare il punto su entrambi gli argomenti.
Evidenze
Quello che vogliamo sapere innanzitutto è quante volte un’appendice normale è visualizzabile. Sfatiamo il mito che non lo sia pressoché mai. Di per sé è una struttura del diametro piuttosto piccolo, nella maggior parte delle persone attorno ai 4mm, ciononostante localizzarla non è impossibile.
I dati che abbiamo su quest’argomento derivano da studi su popolazioni sia in età pediatrica che adulta.
Possiamo dire che la percentuale è generalmente superiore al 50% sebbene, stando ad una revisione della letteratura, il tasso sia alquanto variabile (dal 22% al 98%). Non è poco. Se questo tasso di visualizzazione fosse replicabile nella pratica clinica quotidiana, un tentativo sarebbe giustificabile dal punto di vista strettamente diagnostico (lasciando da parte il difficile quesito dei costi).
Gli studi eseguiti sull’impiego dell’ecografia nella diagnosi di sospetta appendicite sono innumerevoli. Molti datano agli anni 80-90. Non da tutti è possibile estrapolare l’informazione che stiamo cercando, ossia quante volte si riesce a visualizzare un’appendice normale. Spesso, infatti, sono riportati esplicitamente i criteri di definizione di una appendice patologica ma, per esame negativo, si intende frequentemente sia il riconoscimento di una appendice normale, sia la sua mancata visualizzazione in assenza di altri segni di infiammazione. Di seguito riporto i dati di quegli studi nei quali è dichiarata esplicitamente la percentuale di pazienti in cui un’appendice normale è stata identificata o, almeno, quelli dai quali il dato è ricostruibile. Sfortunatamente non includono alcuni degli studi prospettici più consistenti poiché l’informazione non è ricavabile.
Non sono probabilmente tutte le pubblicazioni, ma sono la maggior parte. Possiamo dire che in mani esperte la percentuale di visualizzazione è elevata e si attesta frequentemente sopra il 50%, più spesso attorno all’80%.
L’unico studio qui incluso, in cui l’esecutore dell’esame ecografico è l’emergentista in prima persona, riporta un dato piuttosto deludente poco sopra il 17%.
Certamente la capacità di visualizzare un’appendice normale dipende molto dall’esperienza (e dalla pazienza) dell’operatore. È ripetuto mai a sproposito che l’ecografia è operatore dipendente e il tempo è sicuramente un fattore limitante per la realtà del DEA.
L’altro dato che è importante considerare è se un’ecografia in cui non è visualizzata l’appendice, ma che non ha altri riscontri indiretti (come ad esempio il riscontro di liquido libero endoperitoneale) permette di ridurre sufficientemente la probabilità di appendicite.
Uno studio ha esplicitamente valutato questo quesito, per quanto si tratti di uno studio su una popolazione pediatrica piuttosto piccola e solo parzialmente proveniente dal DEA. Da esso è emersa una NPV del 95% che non è male. Similmente nello studio di Stewart un’ecografia negativa, ma con appendice non visualizzata, indentificava una popolazione a basso rischio per appendicite (incidenza del 5.4%).
Se prendiamo invece in esame un lavoro eseguito in un DEA americano in cui l’ecografia era fatta dagli emergentisi, i risultati sono meno incoraggianti. Fox et al. riportano una specificità del 90% contro una sensibilità del 65% (LR- 0.39). In base a questi risultati l’ecografia eseguita dall’emergentista non sarebbe sufficientemente sensibile per potere escludere la diagnosi di appendicite.
Tra il 2004 ed il 2005 sono state pubblicate le ultime due metanalisi sull’argomento che facilitano di gran lunga il mio lavoro.
La metanalisi più recente, pubblicata nel 2005 sul Korean Journal of Radiology, prende in considerazione molti studi pubblicati in Corea tra gli anni 80 e 90 e riporta una sensibilità complessiva dell’86,7% ed una specificità del 90%. Nelle analisi dei sottogruppi la performance dei non radiologi (chirurghi ed emergentisti), contrariamente a quanto ipotizzabile, mostra una sensibilità del 98.4% ed una specificità del 73%. Significa una LR- dello 0.021, che permetterebbe di escludere con discreta sicurezza il sospetto di appendicite. L’affidabilità di questa revisione sistematica mi risulta un po’ oscura nel merito dei dati, perché fa riferimento a pubblicazioni da me non consultabili.
Quella pubblicata nel 2004 su Annals Archive of Internal Medicine riporta, più realisticamente, una sensibilità per l’ecografia del 79% ed una specificità dell’82% tenendo conto anche degli esami non diagnostici (appendice non visualizzata). Questo comporta una LR- del 0.26, che è insufficiente. Escludendo gli esami non diagnostici la sensibilità aumenta considerevolmente all’86% e la specificità rimane sostanzialmente invariata 81%. LR- 0.17.
Al momento penso non vi siano sufficienti evidenze per fondare un percorso diagnostico di esclusione dell’appendicite sul solo utilizzo dell’ecografia, particolarmente se eseguita dai soli emergentisti, vista la discordanza dei dati.
Nella realtà del mio DEA i radiologi, che sono notevolmente più esperti e hanno ecografi migliori, in genere si dimostano riluttanti ad evadere il quesito clinico dell’appendicite. Per questo motivo io generalmente faccio sempre un tentativo e talora come nel caso di Alice ne sono ripagato.
Come per tutti gli altri test anche l’ecografia cambia la sua resa in base alla probabilità clinica del paziente. Pertanto il mio comportamento di massima è di escludere l’appendicite nei pazienti, anche con probabilità intermedia, qualora sia in grado di visualizzare completamente e adeguatamente l’appendice. Per i pazienti ad elevata probabilità utilizzo l’ecografia solo ed esclusivamente al fine di confermare la diagnosi (rule in).
Già ma come fare?
Ad affrontare il problema dell’accuratezza dei test diagnostici si finisce, invariabilmente, a parlare di numeri e percentuali perdendo il fuoco sulla parte pratica dell’esame. L’ecografia è ormai entrata in modo preponderante nel mondo della Medicina d’urgenza e vi sono molte solide evidenze che dimostrano come i medici d’emergenza possono fare proprie talune valutazioni ecografiche in modo affidabile ed efficiente (vedi CUS ed ecografia della colecisti). Sono convinto che anche questo tipo di ecografia possa entrare nel patrimonio culturale della medicina d’urgenza, ma come tutte le cose richiede un processo di apprendimento e di presa di coscienza. Affinchè il patrimonio culturale di una comunità medica si arricchisca, è necessaria la divulgazione. Quale migliore modo oggi se non la FOAM? Sull’argomento si sono spesi pezzi da novanta, niente meno che Dawson e Mallin dell’inimitabile Ultrasound Podcast. Il loro sito è una pietra miliare per l’ecografia d’urgenza e meglio di altri esemplifica lo spirito di libera condivisione delle conoscenze. Nonostante questo illustre precedente ho pensato di fare un piccolo video incentrato su come eseguire l’esame ecografico per ritracciare l’appendice e riconoscere le caratteristiche di una appendice normale. Ho cercato di entrare un po’ più specificamente nei particolari della modalità di esecuzione.
Nel prossimo post invece affronteremo quali caratteristiche ecografiche contraddistinguono una appendicite infiammata e ci permettono di distinguere una appendicite non complicata da una complicata.
the greatest value of WBC, neutrophil count and CPR probably is in excluding appendicitis. Dueholm ed al showed that this triple test had a predictive value of 100% in excluding appendicitis if all three parameters were within normal limits. From ADMISSION AND DISCHARGE DECISION IN EMERGENCY MEDICINE, 2002 Hanley e Belfus Edition
PS: grande articolo, come sempre!
Grazie Nicola per il commento.
Io direi che è sicuramente vero che con i tre test negativi è improbabile che il paziente abbia una appendicite…. su cui intervenire. Nella mia esperienza aneddotica qualche appendicite ecograficamente provata (non complicata) può avere tutte e tre le cose nella norma e regredire senza trattamento chirurgico. Il problema è che spesso uno dei tre test è alterato e in quel caso avere visualizzato l’appendice può rendere tutto estremamente più semplice.
Mattia, grazie di questo bellissimo post. Quando leggo articoli come questo mi convinco ancora di più che la FOAM, non abbia nulla da invidiare ai canali classici di educazione e informazione scientifica per chi lavora in emergenza. Entrando nello specifico il tema cruciale è forse il più banale: al di la delle nostre competenze ecografiche, che come hai sottolineato sono importanti e possono fare la differenza, quanto è il tempo che possiamo dedicare per approfondire la diagnosi attraverso l”uso dell’ecografia in pronto soccorso? Trovo questo, oltre all’ambiente caotico in cui per forza di cose, siamo costretti a lavorare un elemento fortemente condizionante le nostre capacità di fare diagnosi ecografica. Forse più che altri, che spesso ci fanno pressione facendoci notare che la coda in sala di attesa si allunga, siamo noi che dovremmo convincerci che il tempo dedicato nel cercare ad esempio un’appendice normale, è tempo ben speso.
Carlo grazie per l’apprezzamento.
Non posso darti torto. Io stesso sono costretto a chiedere ad altri quello che farei da me. Quando la lista è interminabile non ci sono molte possibilità: bisogna fare i muli da soma. È decisamente un fattore limitante per me anche psicologicamente perché non tollero che la lista si allunghi e la funzionalità del PS vada a rotoli. Ma non credo di dovermi spendere troppo su una realtà che tutti noi viviamo quotidianamente.
È altresì vero che sono convinto ci sia bisogno di un nuovo paradigma che veda l’integrazione sistematica della clinica con l’ecografia.
Innanzitutto perché è vantaggioso. Escludere rapidamente alcune patologie e vieppiù porre una diagnosi precocemente va a vantaggio del funzionamento del DEA.
Certo è che affinché ciò possa diventare una pratica consolidata e affidabile si deve acquisire un ulteriore patrimonio culturale perché si va al di là dei semplici quesiti affidati all’ecografia d’urgenza. Se la cosa sia fattibile è da dimostrare, ma personalmente sono convinto sia possibile sopratutto inserendo un solido percorso formativo nell’iter educativo universitario degli studenti e dei futuri specialisti.
Grazie Mattia, attendo il prossimo post per completare l’opera…
Non prendo appunti da anni, se non in pochissimi casi, tra questi, in occasione dei tuoi video eccellenti!
Grazie FOAM di esistere…
Troppo buona Concetta, grazie di cuore. Anche se, ad onor del vero , il bello della FOAM è che gli appunti sono già pronti ed in formato tascabile! 😉
post molto bello e articolato.
la ricerca ecografica dell’appendicite, spesso, potremmo delegarla ai radiologi (sia per il livello di competenza richiesto, sia perchè si presta ad una ecografia non “clinica”). Nella mia esperienza però i radiologi sono riluttanti ( e a volte incompetenti) e questo vale per tutte le patologie del digerente.Per cui siamo a volte obbligati a occuparcene, spesso con grandi soddisfazioni.
Gigi grazie per il tuo commento che trovo centri un problema reale. Non possiamo sostituirci ad altre figure professionali le cui competenze e abilità nessuno ha intenzione o reale possibilità di acquisire, eppure abbiamo la necessità di avere risposte che spesso non ci sono date.
Come tu hai osservato l’interesse dei radiologi è comprensibilmente diverso dal nostro. Proverei a dare una diversa chiave di lettura al problema che hai indicato. Prendi l’esempio dell’ecografia toracica. Nella mia realtà non ci sono radiologi che se ne occupano. Eppure per un ecografista di professione basterebbe poco per acquisire una più che adeguata competenza tecnica. Ma è difficilmente acquisibile una reale padronanza della metodica al di fuori del DEA perché manca l’esposizione agli innumerevoli quadri di problemi respiratori e cardiocircolatori. L’ecografia toracica è pane quotidiano per molti emergentisti perché ogni giorno sono al letto del malato critico e sono in grado di correlare i quadri ecografico e clinico nella loro dinamica evolutività.
La medicina d’urgenza possiede un connaturato sguardo non convenzionale alla clinica. La nostra esposizione a una popolazione eterogenea è indifferenziata ci porta a vedere le cose, non meglio o peggio di altri, ma con un’ottica differente. Altro esempio è la lettura degli ECG.
L’ecografia intestinale per certi versi rientra in questa prospettiva. Il quesito dell’appendicite è estremamente comune nella pratica quotidiana, anche solo per ragioni statistiche di incidenza del problema, perché l’attenzione dei medici d’urgenza non venga calamitata dal ruolo dell’ecografia per questo quesito, e non nasca la voglia di trovare un percorso autonomo e una competenza specifica.