giovedì 10 Ottobre 2024

L’elettrocardiogramma nel paziente con attività elettrica senza polso

L’attività elettrica senza polso (“pulseless electrical activity” o PEA) è una condizione clinica che si basa su tre pilastri fondamentali: 1) paziente non cosciente, 2) polso non rilevabile, 3) presenza all’ECG di un’attività elettrica organizzata diversa da una tachiaritmia ventricolare (1), dalla quale ci si potrebbe aspettare normalmente un polso palpabile (1,2). La PEA costituisce il primo ritmo rilevato nel 19-30% dei pazienti in arresto, a seconda della casistica (Cobb 2002, Peberdy 2003, Mader 2012).

Al di là della corretta applicazione dell’algoritmo ALS/ACLS, l’individuazione della causa sottostante alla PEA e il suo trattamento mirato migliorano la prognosi del paziente (Saarinen 2012, Bergum 2015). Le linee guida ILCOR propongono uno schema mnemonico ben noto:

The-H's-and-T's

Tabella 1. Cause di PEA, come riportato nelle linee guida AHA (3) ed ERC (2). Le linee guida ALS ERC 2015 citano anche l’ipocalcemia.

Questo approccio è stato talvolta criticato: in parte perché difficile da applicare, soprattutto in situazioni di emergenza, in parte perché non coprirebbe tutte le possibili cause (Beun 2015).

Nel 2014 un articolo comparso su “Medical Principles and Practice” aveva fatto sperare in una svolta: gli Autori proponevano di sostituire la classificazione delle cause di PEA basato sullo schema “H e T” con l’adozione di un algoritmo più semplice, che attraverso la lettura dell’ECG distinguesse tra “PEA a complessi larghi”, dovuta a una causa metabolica, e “PEA a complessi stretti”, conseguenza di un problema meccanico (4). Lo schema proposto dal Littman e colleghi è riportato nella tabella 2.

Tabella 2_adattata

Tabella 2. Schema classificativo proposto da Littmann e colleghi. Il QRS viene definito largo se ≥ 120 msec, altrimenti stretto.

Questo lavoro è puramente teorico e per questo ci chiediamo: ha un riscontro nei fatti? Si sono posti la stessa domanda anche Bergum e colleghi nel lavoro (5) di cui di cui andiamo a parlare.

Lo studio

In questo studio retrospettivo, a partire da una popolazione di 302 arresti cardiaci intra-ospedalieri sono stati selezionati 51 pazienti nei quali il primo ritmo ECG registrato era una PEA e nei quali era stata identificata in modo affidabile la causa dell’evento. Il 57% dei soggetti arruolati era di sesso maschile (con età mediana di 75 anni); il 12% era vivo alla dimissione ospedaliera. Le cause finali dell’arresto cardiaco erano così distribuite: infarto miocardico (25%), tamponamento cardiaco (16%), scompenso cardiaco (10%), ipossia (27%), embolia polmonare (10%), ipovolemia (12%).

I pazienti sono stati suddivisi in sottogruppi sulla base della frequenza cardiaca e della durata del QRS. La frequenza cardiaca era indicata come normale tra 60 e 99 bpm, bassa se inferiore a 60 bpm e alta se maggiore o uguale a 100 bpm. Il complesso era indicato come stretto (normale) se di durata inferiore a 120 msec e largo in tutti gli altri casi. Sono stati identificati così 6 gruppi, così come riassunto nella tabella 4 che riporta anche la prevalenza di ognuno di essi.

Tabella 3. Distribuzione della prevalenza dei singoli profili elettrocardiografici nella PEA. Bpm = battiti per minuto. Rielaborazione personale.

Come possiamo vedere, quasi 2 pazienti su 3 si presentano con un pattern “lento-largo”; al contrario in nessun soggetto della casistica si registrava un profilo “stretto-veloce”. Gli Autori non hanno trovato alcuna associazione specifica tra pattern ECG e cause della PEA. Anche riclassificando i pazienti secondo lo schema di Littmann (cause meccaniche vs. cause non meccaniche), non è emerso alcuna correlazione rilevante, a parte un’apparente maggiore prevalenza di cause non meccaniche nei pazienti con ECG ritmo largo-lento.

Tabella 4. Distribuzione delle cause in rapporto al profilo ECG. La distinzione tra cause meccaniche e non meccaniche segue lo schema di Littmann. Rielaborazione personale.

Infine, Bergum e colleghi non hanno potuto stabilire alcuna correlazione tra i profili ECG e la prognosi, confermando in questo caso recenti dati di letteratura (si veda Hauck 2015).

Questo lavoro presenta alcuni limiti. In primo luogo è di tipo retrospettivo, con le relative implicazioni in termini di completezza dei dati raccolti. Infatti, numerosi casi di arresto sono stati esclusi, o perché non si era riusciti ad ottenere il tracciato ECG iniziale o perché non era stato possibile effettuare una diagnosi affidabile. Sebbene i dati di questi pazienti siano stati riportati e sembrino per lo più simili a quelli utilizzati nello studio, non si può escludere che sussistano differenze significative tra i due gruppi. Sempre a questo proposito, non è chiaro cosa si intenda per “diagnosi affidabile” in quanto non sono stati specificati i sistemi diagnostici (autopsia? Dati della cartella clinica prima dell’arresto? Ulteriori accertamenti dopo la ripresa del circolo spontaneo?)

L’esclusione di una porzione consistente di pazienti ha contribuito a far sì che complessivamente che lo studio si basi su un piccolo campione; non è detto per tanto che la mancata individuazioni significative non sia semplicemente legata alla scarsa numerosità campionaria. Infine la natura monocentrica del lavoro pone dei problemi di applicazione a popolazioni di pazienti diverse.

Conclusioni

Nonostante suoi limiti, in parte inevitabili, questo lavoro non supporta l’ipotesi della possibilità di “costruire” attorno all’ECG un algoritmo diagnostico per la PEA. Per questo, è probabilmente più corretto ritornare al punto di partenza e valutare potenziali indizi diagnostici dell’ECG unitamente ad altri strumenti a nostra disposizioni quali l’anamnesi, l’esame obiettivo e l’ecografia. Per quanto riguarda quest’ultima, il suo impiego è stata citato dalle ultime linee guida ALS e ACLS qualora venga eseguita da esperti, sfruttando le pause programmate per il controllo del ritmo (2), senza quindi interferire con l’esecuzione dell’algoritmo di rianimazione (3). Le possibili applicazioni riguardano l’identificazione delle cause potenzialmente reversibili dell’arresto (a questo proposito vi rimando ad alcuni post precedenti in cui si è parlato dell’ecografia nello shock) e la stratificazione prognostica: in questo ambito una meta-analisi del 2012 riporta che la percentuale di ripresa di circolo nei pazienti in PEA senza attività contrattile cardiaca evidenziabile all’ecografia è pari circa al 2% contro il 48% dei soggetti nei quali, al contrario, è presente (il quadro cosiddetto di pseudo-PEA) (6).

Bibliografia

  1. Myerburg RJ, et al. Pulseless Electric Activity. Definition, Causes, Mechanisms, Management, and Research Priorities for the Next Decade: Report From a National Heart, Lung, and Blood Institute Workshop. Circulation 2013; 128: 2532-2541. Link
  2. Soar J, et al. European Resuscitation Council Guidelines for Resuscitation 2015. Section 3. Adult advanced life support. Resuscitation 2015; 95: 100-147. Link
  3. Link MS, et al. Part 7: Adult Advanced Cardiovascular Life Support. 2015 American Heart Association Guidelines Update for Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care. Circulation 2015; 132(Suppl2): S444-S464. Link
  4. Littman L, et al. A Simplified and Structured Teaching Tool for the Evaluation and Management of Pulseless Electrical Activity. Med Princ Pract 2014; 23: 1-6. Link
  5. Bergum D, et al. ECG patterns in early pulseless electrical activity-Associations with aetiology and survival of in-hospital cardiac arrest. Resuscitation 2016; 104: 34-39. Link
  6. Blyth L, et al. Bedside Focused Echocardiography as Predictor of Survival in Cardiac Arrest Patients: A Systematic Review. Acad emerg Med 2012; 19:1119-1126. Link
Paolo Balzaretti
Paolo Balzaretti
Dirigente Medico presso il Dipartimento di Emergenza A.O. “Ordine Mauriziano” di Torino Specialista in Medicina Interna I miei interessi scientifici riguardano la ricerca bibliografica, la valutazione critica della letteratura e le possibilità di applicazione dell’evidenza nella pratica clinica Sono su Twitter:@P_Balzaretti

4 Commenti

  1. L’argomento è attualissimo. Nel nostro registro ACr preospedaliero la PEA ha oramai sopravanzato i ritmi defibrillabili come ritmo di ACR al momento dell’arrivo dell’equipe ALS. Sono completamente d’accordo che la traccia ECG non sia sensibile e specifica e che l’ecografia sia uno strumento indispensabile per la determinazione delle cause reversibili e per la distinzione tra PEA e pseudo-PEA. Mi fa piacere sottolineare in questo senso il ruolo della EtCO2 come indice di perfusione in caso di ACR e ritmi organizzati e come la pseudo-PEA non sia un ACR ma uno stato di profondo shock e come tale merita una gestione differente.
    Grazie per lo spunto di riflessione.

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