La gestione del paziente con emorragia cerebrale è sempre piuttosto delicata. Uno degli assiomi che ci sono stati insegnati e sono enfatizzati nelle linee guida dice che è sempre necessaria estrema cautela nel ridurre i valori pressori in questi pazienti, ma è proprio così?
E’ veramente pericoloso abbassare rapidamente la pressione arteriosa nei pazienti colpiti da emorragia cerebrale?
E’ stato recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio su questo tema: Rapid Blood-Pressure Lowering in Patients with Acute Intracerebral Hemorrhage nel quale è stato messo a confronto un protocollo di riduzione rapida della pressione con il trattamento convenzionale consigliato dalle linee guida.
Dai dati della letteratura emerge che valori di pressione arteriosa sistolica sopra 140-150 mm Hg misurati entro 12 ore da un evento emorragico cerebrale sono associati a un rischio più che doppio di morte e dipendenza
- High blood pressure in acute stroke and subsequent outcome: a systematic review
- Blood pressure and clinical outcome among patients with acute stroke in Inner Mongolia, China.
Nonostante i dati incoraggianti dello studio pilota INTERACT pubblicato nel 2008, le attuali indicazioni fornite dalle linee guida AHA/ASA sul trattamento dell’ipertensione in corso di emorragia cerebrale spontanea del 2010 sono improntate ad una certa cautela.
Gli stesori di queste linee guida infatti, hanno giustamente ritenuto che fossero necessari ulteriori studi che confermassero i risultati dello studio pilota secondo il quale il trattamento precoce e aggressivo dell’ipertensione sarebbe non solo sicuro, ma anche di ridurre la crescita dell’ematoma
Nuovi studi che sono arrivati con la recente pubblicazione sul New England dell’ INTERACT-2, diamoci uno sguardo
Lo studio
Nel periodo compreso tra ottobre 2008 e agosto 2012 in 144 ospedali di 21 paesi sono stati randomizzati 2839 pazienti di età media 63,5 anni, di cui 62,9% di sesso maschile, che avevano avuto un ictus cerebrale emorragico spontaneo nelle 6 ore precedenti e nei quali era stata riscontrata una pressione arteriosa elevata, in due gruppi:
- trattamento intensivo il cui obietttivo era raggiungere una pressione arteriosa sistolica < 140 mmHg entro 1 ora dall’inizio della terapia
- trattamento standard seguendo le linee guida AHA/ASA, il cui target era rappresentato dall’ottenimento di valori pressori inferiori a 180 mmHg
e nei quali non fossero presenti controindicazioni rappresentate da:
- presenza di una patologia cerebrale strutturale causa di emorragia
- coma profondo, definito come una Glasgow Coma Scale [GCS] tra 3 e 5
- presenza di un ematoma massivo gravato da prognosi severa
- chirurgia precoce per evacuazione dell’ematoma pianificata a breve termine
La scelta dei farmaci era lasciata ai medici partecipanti allo studio. Tutti i pazienti arruolati ricevettero terapia antipertensiva per via orale entro 7 giorni dall’evento emorragico con l’obiettivo di ottenere una pressione arteriosa inferiore a 140 mmHg durante il follow up.
In assenza di controindicazioni veniva consigliata la somministrazione di un ace-inibitore e di un diuretico
Obiettivo
Obiettivo dello studio è stato valutare a 90 giorni l’incidenza di morte e grave disabilità considerata come quella obiettivabile con una scala di Rankin che andasse da 3 a 6 , dove 0 indica l’assenza di sintomi, 5 la grave disabilità e 6 la morte.
L’incidenza di eventi avversi gravi venne inoltre paragonata nei due gruppi
Risultati
- Gli obiettivi primari sono stati valutati per 1382 dei partecipanti del gruppo trattamento intensivo (98.5%) e per 1412 (98.3%) di quello standard
- Il tempo di inizio del trattamento antipertensivo per via endovenosa dall’insorgere dell’evento emorragico è stato più breve per quello intensivo (4.0 ore [interquartile range, tra 2.9 e 5.1] vs. 4.5 ore [interquartile range, tra 3.0 e 7.0], P<0.001); così come l’inizio del trattamento dalla randomizzazione (6 minutes [inter- quartile range,tra 0 e 39] vs. 19 minutes [interquartile
range, tra 0 e 167] - Più pazienti del gruppo intensivo hanno avuto la necessità di essere trattati con due o piu agenti antipertensivi per via endovenosa (26.6% vs. 8.1%, P<0.001)
- La pressione sistolica media è stata differente nei due gruppi dai 15 minuti e i 7 giorni dalla randomizzazione:
- nel gruppo del trattamento intensivo a 1 ora la pressione sistolica media era di 150 mm Hg con 462 pazienti (33,4%) che avevano ottenuto l’obiettivo di una pressione sistolica inferiore a 140 mmHg contro i 164 mm Hg del gruppo del trattamento standard
- L’analisi ordinale ha evidenziato uno score di Rankin inferiore nei pazienti trattati in modo intensivo (odds ratio per le forme di disabilità più grave 0.87; 95% CI, 0.77 to 1.00; P=0.04)
- La mortalità è stata del 11,9% nel gruppo trattamento intensivo e del 12.0% in quello standard
- Gli eventi avversi sgravi ma non fatali sono stati rispettivamente del 23,3%( gruppo intensivo) e 23,6% ( gruppo standard)
- L’anamnesi di ipertenione non ha avuto un influenza significativa sugli obiettivi considerati, cosi come il tempo di randomizzazione dopo l’evento emorragico ( prima o dopo le 4 ore)
- La crescita dell’ematoma a 24 ore dall’evento è stata valutata in 491 pazienti su 1399 del gruppo trattamento intensivo e in 473 su 1430 di quello standard; la differenza nel volume dell’ematoma, dopo un aggiustamento per le variabili prognostiche, non è stata statisticamente significativa tra i 2 gruppi: differenza relativa, 4.5% [95% CI,−3.1 to 12.7; P = 0.27] e differenza assoluta 1.4 ml [95% CI, −0.6 to 3.4; P = 0.18]
Conclusioni
Gli autori concludono che un trattamento intensivo della pressione arteriosa nei pazienti con emorragia cerebrale non si traduce in un significativa riduzione dell’evento morte o della grave disabilità, anche se l’analisi ordinale della scala di Rankin sembra dimostrare un miglioramento funzionale della disabilità e i pazienti trattati col protocollo antipertensivo più intensivo hanno riferito un migliore benesseresia fisico che e psicologico
Punti di forza e limitazioni dello studio
Gli stessi autori hanno sottolineato che lo studio oltre ad avere diversi elementi di forza ha anche alcune limitazioni
- Punti di forza
- grandezza del campione
- la quota considerevole di pazienti seguiti nel follow up
- l’aderenza la trattamento
- una rigorosa analisi degli eventi avversi
- Limitazioni
- L’uso di più farmaci antipertensivi ha introdotto un elemento di complessità che può avere influenzato i risultati
- Nonostante siano stati usati scale e criteri obiettivi, qualche bias può essere intervenuto nella valutazione degli obiettivi
- Alcuni farmaci utilizzati nel trattamento dell’emorragia cerebrale come mannitolo e fattore VII potrebbero avere avuto un’influenza sul controllo dei valori pressori
Commento personale
Come in tante occasioni nella vita possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.Per i pessimisti questo studio non conferma le “promesse” dello studio pilota INTERACT, in particolare sulla capacità di ridurre e dimensioni dell’ematoma, ma, d’altro canto, pur non avendo un effetto significativo su mortalità e grave disabilità sarebbe in grado comunque di migliorare le forme meno severe di quest’ultima.
Questo lavoro però ci dice anche un’altra cosa: abbassare rapidamente la pressione arteriosa in un paziente con emorragia cerebrale è una procedura sicura, insomma non fa danni. I risultati di questo studio saranno in grado di incidere e modificare l’atteggiamento prudente che ci ha guidato in questi anni? Non saprei rispondere, probabilmente no. Altri studi sono in corso, come Antihypertensive Treatment of Acute Cerebral Hemorrhage (ATACH) II trial, vedremo se ci aiuteranno a definire meglio il problema.
Come sempre in attesa dei vostri commenti.
Ho letto che tra i criteri di esclusione vi era la presenza di un valore Glascow 3 – 5. La mia ignorantissima domanda è: in un cervello danneggiato diminuire drasticamente la pressione e rischiare in minima parte un’ipoperfusione non sarebbe molto più sicuro proprio con valori Glascow elevati, in quanto la perdita di coscienza profonda si tradurebbe in minore richiesta metabolica?
Grazie mille in anticipo per la risposta
Francis,
grazie della domanda. non sono certo un esperto, ma il fenomeno della “penombra” causata dalla ipoperfusione è stato recentemente messo in discussione, almeno in questi pazienti, come si legge anche nel commento finale di questo lavoro.
Sono stati esclusi dallo studio sostanzialmente pazienti in cui la prognosi quoad vitam et valetudinem fosse già in partenza molto severa, credo al fine di evitare un possibile bias nei risultati.