domenica 1 Ottobre 2023

Emorragia digestiva superiore acuta: quando trasfondere

Perdere sangue a noi umani non piace. Lo vediamo tutti i giorni quando ci prendiamo cura di pazienti così preoccupati per una lieve epistassi o un modesto sanguinamento di una ferita.Questo vale anche di più per noi operatori sanitari, soprattutto quanto dobbiamo prendere decisioni riguardo alla terapia trasfusionale, che come sappiamo non è scevra da rischi. Quando trasfondere ad esempio un paziente con sanguinamento acuto del tratto digestivo superiore? E’ bene essere liberali oppure è preferibile adottare una strategia più conservativa? . Esiste un numero magico a cui fare riferimento?

E’ stato appena pubblicato sul New England uno studio che cerca di dare risposta queste domande Transfusion Strategies for Acute Upper Gastrointestinal Bleeding . Nel corso degli anni il nostro atteggiamento “trasfusionale” è cambiato. All’inizio del secolo scorso dominava una strategia di tipo conservativo, convinti che infondere sangue potesse essere causa di un ulteriore sanguinamento, successivamente invece una strategia più liberale è andata diffondendosi considerando un cut off di 9g/dl accettabile per iniziare un trattamento.

Lo studio
Nel periodo compreso tra giugno 2003 e dicembre 2009 sono stati randomizzati presso un ospedale di Bercellona 921 pazienti  di età superiore a 18 anni, ricoverati a causa di un episodio di sanguinamento digestivo superiore, se essere sottoposti a un trattamento trasfusionale conservativo in cui la soglia pre-trasfusionale era di 7 g/dl con un target post trasfusionale di 9 g/dl,  o a uno più liberale, in cui i pazienti venivano sottoposti ad emotrasfusione se la concentrazione di emoglobina era inferiore a 9g/dl e con un target post trasfusionale di 11g/dl. In entrambi i gruppi una prima trasfusione venne eseguita inizialmente e successivamente solo se il livello di emoglobina misurato dopo la trasfusione era sotto i valori soglia. Il protocollo trasfusionale venne applicato sino alla dimissione o al decesso del paziente. La randomizzazione eseguita tenendo conto della presenza o l’assenza della cirrosi diagnosticata clinicamente.

Criteri di esclusione
– non consenso ad una eventuale trasfusione
. sanguinamento gastroenterico massivo
– presenza di sindrome coronarica acuta, ictus o TIA o vasculopatia periferica sintomatica
– pregressa trasfusione nei precedenti 90 giorni
– un’anamnesi recente di trauma o intervento chirurgico
– uno score di Rockall di 0 con un livello di emoglobina superiore a 12 g/dl

I livelli di emoglobina furono  misurati ogni 8 ore nei primi 2 giorni quindi ogni giorno successivamente e ogni qualvolta un nuovo episodio di sanguinamento venne sospettato.
Tutti i pazienti vennero sottoposti ad esame endoscopico entro 6 ore dal ricovero.
Nei pazienti in cui venne dimostrata un ulcera peptica venne infuso omeprazolo mentre in quelli con ipertensione portale, antibiotici e somastotatina. Furono inoltre praticati trattamenti emostatici di tipo meccanico (adrenalina, termocoagulazione, posizionamento di clip metalliche, scleroterapia  o legatura di varici). laddove richiesto.
Nei pazienti con varici esofagee venne misurata la pressione portale in modo da verificare quale influenza potessero avere su quest’ultima i due tipi di strategia trasfusionale adottati
Episodi di ulteriore sanguinamento vennero considerati un fallimento terapeutico. Nel caso di un ulcera peptica i pazienti vennero sottoposti ad un nuovo esame endoscopico ed eventualmente a trattamento chirurgico. Nei pazienti che avevano sanguinato a causa della presenza di varici esofagee, venne presa in considerazione la TIPS (transjugular intrahepatic portosystemic shunting)

Obiettivi
Obiettivo primario dello studio fu valutare la mortalità per qualsiasi causa entro 45 giorni dalla randomizzazione.
Obiettivi secondari sono stati il numero dei sanguinamenti e le complicanze intraospedaliere

Risultati
Di 921 pazienti arruolati, 461 vennero inclusi nel braccio a terapia conservativa e 460 nell’altro.
225 pazienti facenti parte del primo gruppo e 65 del secondo non ricevettero trasfusioni.. La probabilità di sopravvivenza a 6 settimane fu maggiore nel gruppo terapia conservativa che in quella liberale (95% vs. 91%; hazard ratio for death  con il trattamento restrittivo, 0.55; 95% intervallo di confidenza [CI], 0.33 to 0.92; P = 0.02). Le probabilità di sopravvivenza furono lievemente maggiori nei pazienti trattati con strategia conservativa in cui venne diagnosticata un’ulcera peptica mentre furono decisamente maggiori in quelli affetti da cirrosi epatica in classe Ae B di Child-Pugh ma non in quelli in classe C. Nei pazienti sottoposti ad un regime trasfusionale liberale la pressione portale aumentò significativamente di più che in quelli gestiti con strategia conservativa. Anche tutti gli end point secondari ebbero migliori risultati con un minor numero di risanguinamenti, di interventi di salvataggio e di complicazioni durante il ricovero.

Conclusioni
Le conclusioni degli autori sono che nei pazienti affetti da emorragia digestiva acuta la strategia conservativa presenta un outcome migliore rispetto ad un approccio trasfusionale più liberale.

Commento personale
Questo studio va nella giusta direzione di un uso oculato del sangue e sembra dimostrare che, soprattutto nei pazienti con sanguinamento da varici esofagee, un atteggiamento più conservativo sia premiante. Come peraltro sottolineato nell’editoriale di accompagnamento Blood Transfusion for Gastrointestinal Bleeding da questo studio sono stati esclusi i casi di sanguinamento massivo per cui è ragionevole, nei pazienti marcatamente ipotesi non attendere la soglia dei 7 g/dl prima di iniziare la terapia trasfusionale, anche perché in questi casi i livelli di emoglobina non rispecchiano, come sappiamo, i valori reali. . E’ bene poi sempre tenere a mente che la terapia trasfusionale non è mai la terapia risolutiva. Usando un facile paradosso direi che  è inutile riempire d’acqua una vasca da bagno che perde se non individuiamo e ripariamo la perdita, inoltre riempirla troppo può avere l’effetto opposto di aumentarne la perdita.

Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

4 Commenti

  1. Ciao,
    ottimo (come sempre) il post.
    Volevo spostare l’attenzione su un aspetto contiguo a questo (soprattutto perché dove lavoro attualmente ho una “diatriba” aperta con il mio primario): emorragia digestiva e primo trattamento. Fino a un anno fa lavoravo in Emilia e lì la prima cosa da fare era “allertare l’endoscopista” (ovviamente in base alla gravità della cosa); il mio compito (medico di PS) era quello di portare il paziente il più stabile possibile (o se volete, ancora vivo) al momento di effettuare l’endoscopia. Questo comportava l’uso di sangue, plasma (per i disturbi della coagulazione) e quant’altro. L’idea mi sembra sensata: ho un rubinetto che perde, cerco di tappare il buco (parlando in maniera spiccia).
    Attualmente (in Liguria) mi trovo di fronte ad un procedimento opposto: attendiamo, non è necessario fare il prima possibile l’endoscopia. Se siamo di fronte al sospetto di varici esofagee dobbiamo solo fare la terlipressina e ricoverare il paziente. In ogni caso, se il Rockall score è > di 0 il nostro compito sarà quello di stabilizzare il paziente e ricoverarlo. Solo in seguito, dal medico di reparto (ma non è mai successo che venga chiamato in acuto) verrà interpellato l’endoscopista.
    Mi chiedo: che senso ha far stazionare in PS il paziente che tanto deve essere ricoverato? Cosa vuol dire stabilizzare il paziente che sanguina se poi non applico (subito) la terapia più adeguata (secondo me)?
    Domando a voi (che sicuramente ne sapete più di me) cosa ne pensate.
    Saluti e buon anno
    GD

  2. Gaetano,
    grazie degli spunti di riflessione. Come sai le linee guida non prevedono che l’endoscopia sia eseguita immediatamente ma nell’arco di 6-24 ore. Sappiamo bene però che essa rappresenta, se non l’unica, una terapia fondamentale in casi come questo. Dilazionare questo tipo di intervento, talora, può risultare fatale per il paziente. I dati di questo studio poi ci dicono che essere troppo aggressivi nel trattamento trasfusionale può essere addirittura dannoso. Nella mia realtà l’endoscopia viene in genere eseguita nell’arco di poco tempo e mai dilazionata al giorno dopo. Mi rendo conto però che ogni ospedale ha le sue risorse i suoi percorsi e che vanno concordati tra le diverse figure professionali, mai però a danno del paziente ( se il paziente è instabile, secondo me, va trasferito in una struttura che ha questo servizio attivo 24 ore su 24). La terlipressina effettivamente risulta efficace nel sanguinamento da varici esofagee, solo che noi non sappiamo se quel determinato paziente affetto da cirrosi epatica stia sanguinando per quello o per un’ulcera o una gastrite erosiva, anzi queste ultime evenienze sembrano più frequenti della prima se guardiamo i dati della letteratura quindi… sarebbe meglio andare a “vedere”. Sul dove tenere il paziente credo che dipenda dall’organizzazione dell’ospedale se il pronto soccorso possiede un area di monitoraggio più intensivo rispetto al reparto credo che il paziente debba rimanere lì, almeno sino all’esecuzione dell’endoscopia che ci consente di valutare anche il rischio di un ulteriore sanguinamento.
    Buon anno anche a te

  3. Ciao,
    non posso che essere d’accordo con te.
    Il fatto che non mi torna (nella mia realtà) è il giustificare (o almeno cercare di farlo) il fatto che l’endoscopia può essere rimandata perchè non importante in acuto e per acuto intendo nell’arco delle 24 ore. Altra domanda che mi pongo: perchè deve (così prevede il “mio” protocollo) essere l’internista (o il chirurgo) a dover (eventualmente) allertare l’endoscopista. Non sono in grado di valutarlo io (lasciamo perdere l’ignoranza che mi pervade)? Questo fatto (l’eventuale attivazione dell’endoscopista dal parte dello specialista) rende superfluo qualsiasi trattamento in PS: il paziente dovrebbe essere immediatamente spedito in reparto…..
    Ciao e ancora grazie per le continue riflessioni che mi “costringi” a fare.
    GD

  4. Gaetano,
    il problema e culturale. La medicina d’emergenza è una specialità relativamente nuova nel nostro paese, almeno intesa in senso moderno , e il lavoro del medico di pronto soccorso spesso considerato un ripiego e talora anche non molto dignitoso.Un inizio in attesa di tempi e condizioni professionali migliori. Sabbiamo bene che non è così e tutti dobbiamo lavorare perché la mentalità di colleghi,amministratori e gente comune cambi.

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