Che cosa è l’encefalopatia epatica? E in che modo interessa i medici e gli infermieri dell’emergenza-urgenza?
Ma soprattutto, di cosa parliamo, quando usiamo il termine “encefalopatia epatica”?
Parliamo di ammonio, ovvero un catione NH4+, derivato dal catabolismo dell’ammoniaca (NH3) con aggiunta di uno ione di idrogeno.
Il rapporto tra ammonio e questa sindrome è stato dimostrato più di 100 anni fa: nel 1893 il buon Pavlov, che non si limitava agli studi sulla salivazione nei cani e sul riflesso condizionato, dimostrava che lo shunt chirurgico tra cava e porta nei cani riproduceva l’encefalopatia epatica: alterazioni dello stato di coscienza, dei riflessi, la comparsa di asterixis fino al coma.
A che punto siamo oggi?
Indubbiamente, la comprensione della fisiopatologia di questa sindrome è andata ben oltre gli studi di Pavlov, e si è appurato che l’ammonio è forse il principale attore di un meccanismo patologico complesso che coinvolge altri fattori.
Soprattutto, si è compreso che esistono tre differenti quadri clinici, ciascuno con scenari (e rischi) differenti.
Infatti, riconosciamo l’encefalopatia epatica
- di tipo A: tipica dell’insufficienza epatica acuta
- di tipo B: tipica degli shunt portocavali (chiurgici, come nelle TIPS, e spontanei), e di cui non parleremo oggi perché la sua correzione richiede una revisione chirurgica
- di tipo C: tipica della cirrosi epatica e quindi un quadro cronico.
Da un punto di vista clinico, gli effetti dell’encefalopatia epatica vengono divisi in 5 stadi:
- grado minimo: nessuna manifestazione clinica, compromissione neurologica comunque presente ed evidenziabile con test specifici
- grado 1: alterazioni aspecifiche, come irritabilità, insonnia
- grado 2: maggior grado di compromissione neurologica, comparsa di asterixis (flapping tremors, tremori irregolari e aritmici a battito di farfalla)
- grado 3: disorientamento e confusione
- grado 4: coma.
Questi quadri, però, variano enormemente a seconda dell’eziologia.
Parliamo del tipo C, per esempio, ovvero l’encefalopatia epatica che si osserva nella cirrosi epatica.
Siamo in un contesto cronico, intanto, e questo è un punto davvero fondamentale, sia per quanto riguarda la fisiopatologia e sia per le implicazioni del malato con cirrosi che accede in pronto soccorso per una alterazione dello stato di coscienza.
Nella cirrosi epatica si ha una perdita della capacità degli epatociti ad eliminare l’ammonio che viene prodotto per catabolismo proteico nell’intestino: in condizioni normali l’ammonio entra nel ciclo dell’urea negli epatociti e viene eliminato a livello renale; nella cirrosi, l’ammonio non eliminato entra in circolo e causa varia quadri di disfunzioni neuronale, responsabile dei quadri descritti in precedenza.
Più in dettaglio, si osserva nelle fasi iniziali una ipereccitabilità neuronale, tramite neuroni NMDA (NMDA? non ne abbiamo già parlato qualche volta? teniamolo a mente, ci torneremo dopo).
Cosa ci serve sapere?
L’encefalopatia epatica di tipo C è in genere un quadro cronico, più o meno compensato, e se il paziente raggiunge il pronto soccorso per una alterazione dello stato di coscienza, può essere:
- espressione di un qualsiasi peggioramento clinico, con cause che hanno determinato un aumento dell’ammonio (come l’emorragia digestiva, per catabolismo di una quantità abnorme di proteine), che devono essere ricercate ed identificate;
- un peggioramento dell’insufficienza epatica;
- espressione di un’altra condizione, correlata o indipendente dalla cirrosi.
Ricordiamoci, infatti, che il paziente con cirrosi è un paziente a rischio per altre patologie che causano alterazioni dello stato di coscienza, come l’emorragia cerebrale (coagulopatia, piastrinopenia), lo stroke ischemico (riduzione dell’antitrombina III), l’iponatriemia, l’ipoglicemia; ed è a rischio per effetti iatrogeni da sedativi o oppiacei.
Beh, la diagnosi è facile: dosiamo l’ammonio.
No, perché i livelli di ammoniemia non correlano con la severità dei sintomi nell’encefalopatia epatica nel tipo C (nel paziente con cirrosi).
Si parla di un accumulo cronico, per cui possiamo avere pazienti con elevati livelli di ammonio senza una compromissione neuronale significativa, e pazienti con livelli di ammonio lievemente elevati e una importante compromissione centrale.
Quindi, in presenza di un paziente cirrotico ed alterazioni dello stato di coscienza, livelli lievemente elevati di ammonio non escludono una encefalopatia epatica, e al contrario, livelli molto elevati non permettono di confermare che l’alterazione dello stato di coscienza sia legato all’ammonio.
Quindi, l’ammoniemia nel tipo C ha bassa sensibilità e bassa specificità diagnostica.
Pertanto, non dobbiamo dimenticare la diagnostica di laboratorio (sodiemia, glicemia) e strumentale (TC cerebrale ed EEG se disponibile) per inquadrare il paziente ed evitare errori diagnostici.
E ricordare sempre che l’encefalopatia epatica causa una sofferenza cerebrale DIFFUSA, e pertanto la ricerca di deficit neurologici FOCALI non deve essere mai trascurata per identificare cause indipendenti per l’alterazioni dello stato di coscienza.
Parlando invece dell’encefalopatia epatica di tipo A, cambiamo radicalmente scenario, e dobbiamo trattare una emergenza.
In caso di una insufficienza epatica acuta da farmaci (intossicazione da paracetamolo), da alimenti (per esempio funghi) o postvirale, si ha una iperammoniemia acuta, che causa vari quadri di edema cerebrale fino al decesso del paziente.
Perchè accade?
L’incremento acuto di ammonio a livello cerebrale attiva le glutammino sintetasi: l’ammonio viene coniugato con il glutammato in glutammina, che entra nei neuroni dove esercita un effetto osmotico, con conseguente edema neuronale.
A livello neurale, la glutammina viene nuovamente ridotta a glutammato e ammonio, con blocco della produzione energetica a livello mitocondriale, produzione di acquaporine e distruzione neuronale.
In questa particolare forma di encefalopatia epatica, i livelli di ammonio correlano in modo diretto con il danno neurale e pertanto ogni sforzo deve essere fatto per ridurre i livelli di ammoniemia con il lattulosio.
Allo stesso tempo, però, deve essere ridotto l’edema cerebrale, con diverse strategie di neuroprotezione:
- il capo deve essere mantenuto a 30°
- si deve mantenere una saturazione superiore a 95% ma al contempo
- si deve evitare l’ipercapnia
- si deve correggere l’acidosi metabolica e l’eventuale iponatriemia
- si deve mantenere una pressione arteriosa in limiti molto stretti, con una pressione arteriosa media (MAP) superiore a 70mmHg
perché nell’encefalopatia epatica acuta si perde l’autoregolazione del flusso cerebrale, ossia l’adattamento del tono vascolare che mantiene costante il flusso in risposta a variazioni ampie della pressione arteriosa. Quando si perde l’autoregolazione, il flusso diventa pressione dipendente, riducendosi quando si riduce la pressione (con rischio ischemico cerebrale) e aumentando quando aumenta la pressione (con conseguente rischio emorragico).
Il monitoraggio della pressione intracranica è fondamentale, e può appoggiarsi su metodi non invasivi, tutti più o meno imprecisi: tuttavia, la PoCUS oculare è riconosciuta come la più affidabile e precisa, soprattutto per incrementi significativi della pressione intracranica.
L’ammonio, come abbiamo visto parlando dell’encefalopatia epatica di tipo A, interagisce con i recettori eccitatori NMDA: è stato dimostrato, infatti, che l’iniezione di ammonio in modelli animali incrementa i livelli di glutammato a livello centrale, mentre i livelli di glutammato rimangono bassi se all’ammonio si associa l’MK801, un antagonista del recettori NMDA.
Abbiamo un antagonista NMDA nel nostro prontuario farmaceutico?
Ebbene si, ed è un farmaco che noi MEU conosciamo ormai bene.
La ketamina.
Esiste un ruolo della ketamina nel trattamento dell’encefalopatia epatica acuta?
Non lo sappiamo ancora, ma senza dubbio i dati sperimentali su modelli animali e di laboratorio sono incoraggianti. La ketamina riduce l’edema neuronale astrocitario in caso di esposizione a glutammato, e riduce l’entità del danno dell’encefalopatia epatica nei modelli murini.
Si potrà obiettare che un modello murino è un conto, e la complessità umana è un’altra; e ancora, che la ketamina può aumentare la pressione intracranica.
Vero, ma è pressione dipendente, e il ruolo potenziale di neuroprotezione della ketamina potrebbe essere un vantaggio: e la cosa non ci stupisce, perché abbiamo già visto il ruolo neuroprotettivo della ketamina nello stato epilettico super refrattario.
Studi dedicati sono necessari, ma gli spunti sembrano interessanti. La terapia d’urgenza deve prevedere uno stretto controllo pressorio, il mannitolo per ridurre l’edema cerebrale, la soluzione ipertonica per correggere l’iponatriemia (se presente) e, perché no, anche la ketamina come neuroprotettivo.
Insomma, la ketamina merita perlomeno una opzione di studio, perché le premesse sono senza dubbio interessanti; ormai, un compagno di viaggio e di avventura per chi si occupa di emergenza, in grado di togliere un buon numero di castagne dal fuoco in diverse condizioni davvero difficili e spinose: l’analgesia refrattaria, la sedazione del delirio eccitato, la sedazione procedurale in contesti complessi, il trattamento della sindrome astinenziale alcolica, lo stato epilettico super refrattario.
E, chissà, magari anche nel paziente con encefalopatia epatica acuta.
Non sarà semplice, ma come scriveva Elias Canetti:
“La cosa più dura: tornar sempre a scoprire ciò che già si sa.”
BIBLIOGRAFIA GENERALE
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Molto interessante! La ketamina a quale dosaggio dovrebbe essere somministrata? Analgesico o dissociativo?
Grazie!
Grazie per il commento! in questo ambito, non possiamo consigliare un dosaggio. È un campo sperimentale animale, e il post vuole suggerire degli spunti. Il dosaggio neuroprotettivo dello stato epilettico super refrattario è molto alto, superiore a 5 mg/kg ev, per fare un esempio prossimo