Era veramente tanto tempo che non assistevo ad un’autopsia. Una volta il numero delle necroscopie rappresentava un indice di qualità di una struttura sanitaria, la sua necessità di andare sino in fondo e di apprendere dalla morte quello che non si era riusciti a capire prima. Ora, sappiamo tutti, le cose vanno molto diversamente. La tecnologia a disposizione, ma forse più ancora il timore che errori commessi divengano manifesti, oltre al desiderio di assecondare la volontà dei familiari, ha reso questa pratica, al di fuori dell’ambito medico legale, un evento decisamente raro.
E’ evidente che nel caso clinico di oggi ho inziato dalla fine.
Maria è una donna di 86 anni. E’ in trattamento anticoagulante per una fibrillazione atriale permanente. E’ ipertesa e soffre di artrosi, ma a parte questo null’altro di importante.
Da alcuni giorni non sta bene, un malessere generale con dolori diffusi e un po’ di febbre che però nelle prime ore del mattino era diventata superiore a 39 così che i famigliari avevano chiamato il 118.
-Alla radiografia del torace niente focolai solo un po’ di sovraccarico. Penso abbia un’infezione delle vie urinarie- Mi dice il collega dandomi la consegna. -Ho chiesto comunque un esame delle urine.-Quella mattina i pazienti sono come sempre molti ma, sollecitato dagli infermieri, comincio proprio da lei -Ha molto dolore all’addome…-
Effettivamente l’addome è dolente, soprattuto in fossa iliaca destra, meteorico e piuttosto disteso, la peristalsi torpida. Avrà l’appendicite? Intanto l’esame delle urine è arrivato : esterasi leucocitaria 75, nitriti assenti, sedimento indifferente. Chiedo un RX addome diretto e un’ ecografia addominale. Confermo la terapia antibiotica iniziata poche ore prima. Al ceftriaxone che la paziente aveva iniziato al domicilio, era stata aggiunta della levofloxacina.
Arrivano gli esami
E’ presente qualcosa di anomalo?
Niente altro, a parte un’aorta addominale lievemente dilatata di circa 2,5 cm di diametro.
Gli esami di laboratorio dimostrano una lieve leucocitosi e una PCR mossa.
Decido di sentire il parere del chirurgo. -Non è di nostra competenza – mi dice alla fine della sua valutazione. L’addome è trattabile , la colelitiasi non giustifica il quadro clinico e poi la paziente più che mal di pancia lamenta dolore dorsale- La rivisitiamo insieme. In effetti adesso l’addome sembra più trattabile e Maria si lamenta quando viene messa sul fianco, ma la palpazione epispinosa del rachide non evoca alcun dolore. Qui non ne usciamo, penso tra me e me. Telefono in radiologia e discuto il caso con il radiologo:- Il chirurgo non è convint, ma potrebbe avere comunque una colecistite e poi siccome si lamenta del dolore dorsale dovremmo escludere una dissezione dell’aorta, una spondilodiscite o un’ematoma retroperitoneale visto che è in trattamento anticoagulante.
La paziente viene trasportata in TAC.
Il referto non è di grande aiuto
– L’aorta non è dissecata
– Non vi sono raccolte endoperitoneali né retroperitoneali
– Nessun segno eclatante di spondilodiscite
– La colecisti è distesa ma senza evidenza di colecistite
– E’ presente un’ importante lomboartrosi.
Si è fatta sera, il mio turno è finito e la paziente sembra stare un po’ meglio. Non ha più la febbre ed il dolore sembra aver risposto alla terapia antidolorifica.
La rivedo il mattino dopo – Ha avuto dolore tutta la notte- mi dice la collega che ha fatto la notte- E’ la prima che visito. Purtroppo la situazione è peggiorata. Nel giro di poco la paziente va in shock e nonostante i nostri sforzi, muore nell’arco di due ore.
Decidiamo di chiedere il riscontro autoptico
A livello della mitrale sono evidenti delle vegetazioni. La paziente è deceduta a causa di un’endocardite con secondario shock settico. Lo stesso giorno arriva l’esito delle emocolture: positive per stafilococco aureo meticillino resistente. E il dolore? Forse dovuto a emboli settici o solo all’artrosi dice Daniela , la nostra esperta infettivologa, quando abbiamo discusso insieme il caso.
Il dolore, per l’appunto, ma saremmo riusciti a giungere alla diagnosi se il sintomo dolore non ci avesse così distratti? Forse. Questo però non avrebbe cambiato il destino della paziente, almeno mi piace pensarlo.
be non a caso si parla molto poco del dolore distraente, sopratutto nell’ emergenza urgenza
Sull’esecuzione Riscontro Diagnostico esistono molte resistenze (culturali, religiose, legali, ora anche economiche e strutturali…), ma nel dubbio sulla “morte inspiegabile” credo che sia un una “procedura” spesso (non sempre, ovviamente) necessaria (quante procedure “dolorose, ma necessarie” mettiamo in atto “in vivo” ?).
Ho sempre richiesto l’autopsia nelle circostanze fatali dove la clinica o il laboratorio o le immagini o la storia non hanno dato risposte e, in alcuni casi, questo mi ha consentito di mettere nelle condizioni i “vivi” di avere alcune consapevolezze non solo sui “perché” di una dolorosa perdita di una persona cara.
Ricordo una giovane donna di c.a. 40 aa, anamnesi muta, nessun fattore di rischio noto, portatami in ps in “pre-arresto” dopo un malore sopraggiunto mentre giocava a carte con alcune sue amiche e deceduta nonostante una rianimazione intensa protratta e condotta secondo criteri eb dell’ACLS (allora in uso, 2005 a.D.) e supportata da un team di elevata esperienza.
Ricordo uno dei figli che tentò di aggredirmi quando gli detti la notizia e sfogò rabbia e dolore rompendo vetri e suppellettili del ps…
Ovviamente non sporsi denuncia e parlai col padre (e marito della giovane donna) spiegandogli… l’inspiegabile. Gli dissi che in quelle circostanze sarebbe stata utile l’autopsia e che altro male o dolore non avrebbe aggiunto alla sua compagna, anzi avrebbe dato probabilmente sollievo ad un inspiegabile “perché?”… L’uomo capì e dette il suo (non necessario) consenso.
In sede di riscontro diagnostico (dove il clinico “deve” essere presente) toccai con mano file e file di “corone di rosario” ovvero calcificazioni di dimensioni e forma disparate che impregnavano e deformavano le pareti di tutte le arterie, aorta e tutte le sue diramazioni, coronarie comprese ovviamente… Il patologo nel corso dell’esame mi disse: “nel corpo di una quarantenne ci sono le arterie di una centenaria, ma non chiedermi perché…”.
Finita la procedura chiamai i familiari (marito e figli), li feci accomodare nello studio e gli spiegai che S. era morta perché, probabilmente, a causa di un processo degenerativo raro (e forse congenito), era invecchiata “dentro” precocemente, nonostante la giovinezza (e la bellezza) esteriore.
Dissi al marito che sarebbero stati utili alcuni accertamenti sui figli in considerazione del fatto che quella “malattia” avrebbe potuto anche “esprimersi” nella prole e che (non potevo certo dire quando e fino a che punto) sarebbero stati possibili alcuni provvedimenti preventivi.
L’uomo e i figli mi strinsero la mano e mi ringraziarono… io risposi semplicemente (come faccio spesso)…
ho fatto solo ciò per il quale sono pagato…
M.C.
ps: ringrazio per l’ospitalità e porgo all’Autore di queste pagine i più sinceri complimenti per le “impagabili” informazioni e le piacevoli letture che mi (ci) offre!
Nico e Docmac,
grazie del commento e delle parole di apprezzamento. Quello che dice Nico è vero, siamo poco abituati, a parte nel trauma, a pensare al dolore come evento distraente. Non so se ci siano dati in letteratura e mi riprometto di cercarli.
Docmac, il problema della richiesta via via inferiore di autopsie man mano che passano gli anni è un problema generale e non so quanto risolvibile.Essere curiosi e non sopraffatti dalla routine credo sia l’unica strada percorribile, anche se non è facile.
Tema interessante: la sempre minore richiesta di autopsie riduce l’esperienza anche dei nostri anatomopatologi riducendo la loro capacità di fornirci diagnosi nei casi in cui non riusciamo ad arrivarci noi. Ho avuto modo di parlarne quanche tempo fa con qualche collega anatomopatologo.
Credo che sia necessario continuare a chiederle e discutere successivamente i risultati, anche con i familiari…
Sono medico legale. Cincisciando su PubMed alla ricerca di qualche articolo sulle Rickettsiosi per una relazione che dovrò fare per conto di una Procura, in attesa di scaricare l’articolo smanetto con il mouse su Google e scopro questo piacevole sito.
Ho letto con interesso il triste caso della giovane donna e del successivo riscontro diagnostico che ha consentito di scoprire la causa della morte improvvisa.
Condivido pienamente il comportamento di Docmac con riferimento alla necessità di far eseguire il riscontro diagnostico; merita, ovviamente, apprezzamento anche il modo con cui è risuscito ad ottenere il consenso (“non necessario”) da parte del marito: è vero, non era necessario per la Legge ma era sicuramente giusto coinvolgere i parenti. Ricordo a proposito questa prefazione a un bel libro: <> (prof. Carlo Torre)
Concordo poi con D’APUZZO quando rimarca l’importanza dell’autopsia quale atto utile per andare “sino in fondo e ” per ” apprendere dalla morte quello che non si era riusciti a capire prima”. E’ per tale ragione che la sala settoria deve essere intesa e, soprattutto, percepita dalla persone come il posto “ubi mors gaudet succurrere vitae”. Noi medici abbiano il compito di aiutare le persone a “percepire” bene l’importanza di cotanto atto, così come ha fatto Docmac.
Infine quell’arroganza sopra stigmatizzata non deve coinvolgere nemmeno il medico settore che giudica il caso approfittando della favorevole posizione di chi ha potuto “vedere” fin dentro i segni della malattia e nemmeno il medico legale quando è chiamato a valutare la condotta dei colleghi, spesso con riferimento alla correttezza della diagnosi. Ricordo un aneddoto riportato in un manuale di tecniche autoptiche: si trattava di un patologo che ad ogni riscontro diagnostico in cui era incerta la causa della morte, dopo aver fatto l’autopsia si recava dal suo amico, eminente clinico, che aveva seguito il caso e a mò di sfottò gli diceva: “ma come mai non hai azzeccato la diagnosi? era così semplice”. Un giorno, dopo l’ennesimo sfottò, il clinico prese un pacco di “cerini” lo svuotò e al posto dei fiammiferi mise dentro piccoli chiodi. Quindi si recò dal patologo che stava eseguendo un’autopsia e agitando il pacchetto gli disse di indovinare cosa ci fosse dentro al “quel” pacco di fiammiferi; il patologo rispose: “cosa vuoi che sia? ci sono dei fiammiferi”; grande fu, però, la sua sorpresa quando il clinico aprì il pacchetto e gli mostrò che dentro c’erano solo chiodi.
Grande! 🙂
Riporto la prefazione che sopra manca ” Il morto è indifeso; ed ancor di più lo sono i familiari o, comunque, coloro che ebbero con lui consuetudine di affetti. Noi li incontriamo in circostanze difficili; travolti dagli eventi e dalla burocrazia. Sarà un semplicissimo e gratificante dovere dedicar loro un pò di tempo, una rassicurante parola. Qui l’arroganza che contrassegna il medico sciocco diviene imperdonabile colpa…”
Testimonianza molto formativa che fa pensare molto non solo a problemi clinici ma anche e soprattutto umani. Complimenti.
bel caso che fa pensare quanto sia difficile capire la natura di una febbre di ndd