mercoledì 15 Gennaio 2025

Fibrillazione atriale e Flutter in DEA: Diltiazem O Metoprololo?

Real life in the ED

Dopo numerosi mesi trascorsi in giro nelle diverse unità operative dell’ospedale alla ricerca delle più oscure conoscenze e segrete procedure delle altre specializzazioni (mmh! Profumo di task shifting!), ci ritroviamo casualmente tutti e quattro insieme – Specializzandi MEU al III anno – nel nostro Dipartimento d’Emergenza. Il turno è ben assortito e così, fra amici, colleghi, chiacchiere e caffè, raggiungiamo le nostre postazioni: inizia la rumba.

Il Giovane manager

Ore 14:45, codice arancione: un giovane manager di 49 anni, sano, con tachicardia sopraventricolare emodinamicamente stabile.

Vigile, orientato ed eupnoico in aria ambiente: totalmente asintomatico.

In anamnesi c’è un recente riscontro di valori pressori elevati, per cui il paziente avrebbe iniziato a controllare la pressione arteriosa a domicilio con un apparecchio elettronico.

Da circa una settimana sul piccolo monitor dell’apparecchio sarebbe comparso un alert di pulsazioni irregolari; e così, durante la mattinata, mentre il paziente eseguiva una visita di controllo con ECG per il circolo del tennis, i medici del circolo avrebbero riscontrato una bella Fibrillazione Atriale ad elevata risposta ventricolare e avrebbero contattato il 118.

In Pronto Soccorso abbiamo confermato una FA asintomatica (databile a più di 48 ore) con FC 150 bpm e PA 130/75 mmHg.

La nonnina con fiato corto

Ore 16:37, codice rosso: una nonnina di 85 anni con dispnea associata a tachicardia.

La paziente, apiretica e senza storia cardiologica, avrebbe iniziato ad accusare una progressiva ed importante difficoltà respiratoria durante la mattinata, per cui i parenti avrebbero allertato il 118.

All’arrivo dell’ambulanza sarebbe stata riscontrata una Fibrillazione atriale ad elevata risposta ventricolare (170-180 bpm), non precedentemente nota, associata a desaturazione (spO2 88% in AA, FR 30-40 atti/minuto, PA 120/75 mmHg).

Al nostro box paziente vigile, tachi-disponica con rantoli a grandi bolle, moderatamente marezzata in assenza di edemi declivi.

All’ECG persiste una FA a 170 bpm circa, con un asse ventricolare nei limiti e QRS stretto, in assenza di segni di sovraccarico o ischemia; SpO2 97% con Venti Mask al 50% con PA 130/75 mmHg.

Mettiamo su una CPAP con FiO2 al 40% con 7 mmHg di PEEP. All’EGA: pH 7.40, pCO2 25 mmHg, pO2 106 mmHg, P/F 265, HCO3- 17 mmol/L, Lac 9.8 mmol/L. K 3.1 mmol/L. Na 143 mmol/L. Hb 12 g/dL.

Più dubbi che certezze

Il rate-control nella Fibrillazione Atriale e nel Flutter ad elevata risposta ventricolare è un problema che ogni emergentista si trova frequentemente ad affrontare.

Tra approcci basati sull’esperienza e linee guida non sempre dirimenti, si tenta spesso di raggiungere il più rapidamente possibile una frequenza cardiaca accettabile senza incorrere nei temuti effetti avversi (ipotensione e bradicardia su tutti).

Tormentati da questo problema, abbiamo cercato di analizzare due delle armi farmacologiche a nostra disposizione nel trattamento di queste tachi-aritmie – il Diltiazem e il Metoprololo – e, soprattutto, abbiamo tentato di analizzarle con un approccio che fosse il più evidence based possibile.

Siamo dunque partiti da un articolo pubblicato nel 2015 su The Journal of Emergency Medicine – uno dei pochi studi che effettivamente ha confrontato i due farmaci in modo randomizzato e controllato – per poi dedicarci ad una lettura critica delle linee guida attuali.

Lo studio

“DILTIAZEM VS. METOPROLOL IN THE MANAGEMENT OF ATRIAL FIBRILLATION OR FLUTTER WITH RAPID VENTRICULAR RATE IN THE EMERGENCY DEPARTMENT” link

L’obiettivo degli autori era stabilire l’efficacia di Diltiazem e Metoprololo, somministrati per via endovenosa, nella gestione del rate-control in caso di Fibrillazione atriale (FA) o Flutter (FFA) ad elevata risposta ventricolare in Pronto Soccorso (PS) in una popolazione di pazienti adulti.

Lo studio era di tipo randomizzato monocentrico prospettico in doppio cieco. I pazienti sono stati divisi in due gruppi e ad ogni gruppo è stato somministrato uno dei due farmaci per via parenterale.

Sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti maggiorenni che si presentavano in Pronto Soccorso con Fibrillazione Atriale (FA) o Flutter Atriale (FLA), mostrati attraverso un ECG a 12 derivazioni, con Frequenza ventricolare (FC) ≧120 bpm e pressione arteriosa sistolica (PAS) >90 mmHg.

I criteri di esclusione erano: pressione arteriosa sistolica <90 mmHg, FC >220 bpm, QRS >100 msec, Blocco AV di II o III grado, temperatura corporea >38°C, STEMI, storia di scompenso cardiaco con classe funzionale NYHA IV o reperto clinico di broncospasmo in storia di asma bronchiale o BPCO, somministrazione di Diltiazem o altri farmaci bloccanti il nodo AV nel pre-ospedaliero, storia di utilizzo di cocaina o metamfetamine nelle 24 ore precedenti all’ingresso in PS, allergia a Diltiazem o Metoprololo, storia di malattia del nodo del seno o pre-eccitazione ventricolare, storia di anemia con Hb <11g/dL, gravidanza o allattamento.

I pazienti, sottoposti a monitoraggio multiparametrico, sono stati inizialmente valutati secondo i criteri ACLS. A discrezione del medico, è stata somministrata adenosina per facilitare il riconoscimento della sottostante tachiaritmia sopraventricolare.

I pazienti sono stati arruolati in modo casuale, in rapporto 1:1, assegnati a due gruppi distinti tramite randomizzazione, eseguita tramite software dedicato.

La farmacia ospedaliera ha prodotto confezioni identiche dei farmaci oggetto di studio, ciascuna confezione abbinata in maniera univoca al paziente destinatario, tramite codice numerico prodotto dal software e indicato sulla confezione. Un gruppo ha ricevuto Diltiazem somministrato per via parenterale a dose di 0,25 mg/kg (dose massima 30 mg), mentre l’altro Metoprololo a dose 0,15 mg/kg (dose massima 10 mg). Ogni siringa è stata preparata dai farmacisti con un volume totale di 10 ml per mantenere il cieco del personale sanitario.

Il Medico, gli infermieri e i pazienti non erano dunque a conoscenza se il farmaco somministrato era Diltiazem o Metoprololo.

Il tempo 0 corrispondeva al momento di somministrazione della prima dose del farmaco assegnato casualmente. Se l’endpoint primario non veniva raggiunto entro 15 minuti, allora veniva somministrata una seconda dose aggiuntiva al dosaggio di 0,35 mg/kg per il Diltiazem e 0,25 mg/kg per il Metoprololo. Le dosi aggiuntive sono state preparate nel medesimo modo delle precedenti.

L’outcome primario era il raggiungimento di una FC <100 bpm entro 30 min dalla somministrazione del farmaco. Sono stati considerati effetti avversi raggiungimento di FC <60 bpm e PAS < 90 mmHg.

Risultati

Sono stati arruolati 54 pazienti dal Giugno 2009 al Novembre 2010. 25 pazienti sono stati randomizzati nel gruppo Diltiazem, 29 pazienti nel gruppo Metoprololo. 2 pazienti sono stati esclusi dallo studio: un paziente, appartenente al gruppo Diltiazem, a causa di un episodio di agitazione psico-motoria con rimozione dell’accesso venoso; il secondo dal gruppo Metoprololo per riduzione della PAS da 101 mmHg a 89 mmHg a 5 minuti dalla somministrazione del farmaco, con necessità di svelare il cieco sull’assegnazione del trattamento.

Il campione finale contava 52 pazienti: 24 pazienti (Diltiazem) vs 28 pazienti (Metoprololo). Tra i due gruppi non sono state riscontrate differenze significative riguardo sesso, età, somministrazione di adenosina, PA al tempo 0 e FC al tempo 0, anamnesi e storia di abuso alcolico. Il 65% dei pazienti ha presentato FA/FFA di nuova insorgenza (70,8% nel gruppo Diltiazem e 60,7% nel gruppo Metoprololo).

Outcome primario

Nei primi 5 minuti, il 50% del gruppo Diltiazem e il 10,7% del gruppo Metoprololo hanno raggiunto la frequenza target <100 bpm. In 30 minuti, il 95,8% del gruppo Diltiazem e il 46,4% del gruppo Metoprololo hanno raggiunto la medesima frequenza target.

A 30 minuti dalla somministrazione del farmaco, il 4,2% del gruppo Diltiazem e il 53,6% del gruppo Metoprololo non aveva raggiunto la frequenza target di 100 bpm. Nessun paziente ha necessitato l’utilizzo di cardioversione elettrica ed in nessun paziente si è assistito al ripristino del ritmo sinusale dopo l’intervento farmacologico.

La riduzione in media della frequenza cardiaca nel gruppo Diltiazem è stata più rapida e significativa rispetto al gruppo Metoprololo, in cui, in media, la frequenza cardiaca non ha raggiunto valori inferiori a 100 bpm a 30 minuti.

Eventi avversi

Per quanto riguarda il profilo di sicurezza, non ci sono state differenze significative fra i due gruppi relativamente all’insorgenza di ipotensione (PAS <90 mmHg) o bradicardia (< 60 bpm).

Limiti e punti di forza

Il dosaggio dei farmaci utilizzati è stato definito dalle schede tecniche del Metoprololo e del Diltiazem disponibili al periodo di arruolamento dei pazienti.

Nel presente studio è stato deciso di adottare come dosaggio massimo di Metoprololo 10 mg, basandosi sulle linee guida ACLS e sullo studio Demircan (Demircan J et al. – Comparison of the effectiveness of intravenous diltiazem and metoprolol in the management of rapid ventricular rate in atrial fibrillation – Emerg Med J. 2005 Jun;22(6):411-4). link

Studi di sicurezza farmacologica mostrano che il Metoprololo potrebbe essere utilizzato a dosi maggiori, tuttavia, dosi maggiori di 10 mg sono state considerate troppo elevate sia dal Comitato Etico dello Studio che dal personale medico partecipante.

E’ possibile, quindi, che dosi maggiori di Metoprololo avrebbero potuto produrre risultati differenti sia in termini di efficacia che di sicurezza. Per il gruppo Diltiazem, è stata utilizzata una dose massima di 30 mg, coerentemente con le indicazioni riportate in scheda tecnica.

Nello studio Demircan, invece, la dose massima di Diltiazem è stata fissata a 20 mg. Sempre nello stesso studio, inoltre, 4 pazienti hanno ricevuto uno schema teraputico combinato (Metoprololo + Diltiazem), condizione che si è deciso di non includere in questo studio.

Ulteriore limite di questo studio deriva dalla mancanza di personale di ricerca dedicato nelle ore notturne, che ha inficiato sulla possibilità di arruolamento di ulteriori pazienti.
Infine, alcuni pazienti sono stati esclusi dall’arruolamento poiché avevano ricevuto Diltiazem prima di accedere in PS, come da protocolli territoriali d’intervento in emergenza.

A nostro parere inoltre, ci sarebbero altri limiti: innanzitutto il numero limitato di pazienti arruolati riduce il potere statistico dello studio. In secondo luogo abbiamo notato la mancanza di dati precisi sulla risposta della pressione arteriosa all’intervento farmacologico. Il dato relativo alla risposta della pressione arteriosa infatti è riportato solo come evento avverso (riscontro di PAS < 90 mmHg) e non come misurazioni rilevate assieme alle misurazioni della frequenza cardiaca.

Altro limite dello studio è la mancanza di riferimento a classi di scompenso inferiori a NYHA IV o comunque il non aver identificato se pazienti con storia di frazione di eiezione ventricolare ridotta, scompenso cardiaco cronico, congestione polmonare o altre patologie cardiache strutturali rispondano in maniera differente ai due interventi farmacologici.

Il punto di forza principale dello studio è quello di essere uno studio prospettico, con una efficace randomizzazione e attenta creazione e mantenimento del doppio cieco. Così facendo è stato possibile ottenere dati solidi e una corretta omogeneizzazione delle caratteristiche dei pazienti nei due diversi gruppi. Inoltre è uno studio interamente realizzato in Pronto Soccorso.

Conclusioni degli autori dello studio:

Il Diltiazem è più efficace del Metoprololo nell’ottenere il rate-control nei pazienti che accedono in Pronto Soccorso con diagnosi di Fibrillazione atriale ad elevata risposta ventricolare nei primi 30 minuti – e ad ogni misurazione della FC (5’-10’-15’-20’-25’-30’) – dalla somministrazione del farmaco, in assenza di un significativo aumento dell’incidenza di eventi avversi, come bradicardia o ipotensione.

Cosa dicono le linee guida attuali?

Le Linee Guida ESC per la Fibrillazione Atriale (2020) (9) nella gestione in acuto del rate-control consigliano di escludere innanzitutto fattori concomitanti, come infezione o anemia. 

I Beta-Bloccanti o i Calcio Antagonisti non diidropiridinici (Diltiazem o Verapamil) vengono preferiti alla Digossina come farmaci di prima scelta per il rate-control dell’FA in caso di FE ≥ 40% (Classe I, Livello B), per il loro effetto sul tono simpatico. In caso di FE ridotta < 40%, le Linee Guida consigliano l’utilizzo di Beta-Bloccanti, Digossina o un’associazione dei due (Classe I, Livello B).

I Beta-Bloccanti, tuttavia, vengono controindicati in caso di Scompenso Cardiaco Acuto e concomitante storia di severo broncospasmo.

Gli autori sottolineano che il target ideale di FC nei pazienti con FA non sia chiaro, ma che, come emerso agli ultimi studi randomizzati controllati disponibili, un rate-control più cauto (FC <110 bpm) rispetto ad un rate-control “stringente” (FC < 80 bpm) sembrerebbe accettabile (Classe IIa, Livello B).

In caso di pazienti critici o con severa disfunzione sistolica sinistra viene consigliato Amiodarone i.v. (Classe IIB, Livello B) mentre in caso di instabilità emodinamica bisogna passare alla CVE.

Le Linee Guida ESC sullo Scompenso Cardiaco (2021) (10), nella sezione dedicata alla Fibrillazione Atriale, indicano come farmaco di scelta i Beta-Bloccanti per la gestione del rate-control in caso di Scompenso Cardiaco a FE ridotta (HFrEF < 40%) o parzialmente ridotta (HFmER <50%) (Classe IIa, Livello B).

La Digossina compare come farmaco alternativo, da solo o in terapia combinata, in caso di fallimento della terapia o in casi selezionati (Classe IIa, Livello C). Restano le medesime indicazioni in caso di instabilità emodinamica, in cui viene preferito l’Amiodarone o la CVE (Classe I, Livello C). Non si pronunciano, invece, sulla terapia più adeguata in caso di Scompenso Cardiaco a FE conservata ( HFpEF ≧ 50%).

Come nelle LG sulla FA, gli autori pongono l’accento sull’identificazione e il trattamento di fattori precipitanti la FA, prima della gestione del rate-control. I

l peggioramento del fluid over-load in corso di FA deve essere inizialmente gestito con terapia diuretica, poiché la riduzione della congestione riduce il drive simpatico, la frequenza ventricolare e aumenta le chances di ritorno al ritmo sinusale.

Dopo aver gestito questi aspetti, secondo le linee guida, bisogna soffermarsi sul rate-control, prediligendo un approccio “cauto” (vedi sopra) con target FC < 110 bpm, ad eccezione di casi specifici in cui propendere per target inferiori, come ad esempio in corso di tachicardiomiopatia.

Dalle LG si evince che i Calcio Antagonisti non diidropiridinici sono controindicati nella gestione dello Scompenso Cardiaco con FE ridotta e delle sue comorbidità (ipertensione, cardiopatia ischemica cronica, FA), più esplicitamente nella terapia di mantenimento in quanto aumentano il rischio di peggioramento dello scompenso e di ospedalizzazione (Classe III, Livello C), non così chiaramente in acuto.

Cosa dicono gli altri studi?

La letteratura in generale (oltre all’articolo qui esaminato) sembrerebbe mostrare una superiorità nell’ottenimento di una frequenza cardiaca target (FC <100 bpm) nel minor tempo possibile (in genere da 30 min a 1h) con il Diltiazem (1, 2, 3, 6).

In particolare, nell’ultima meta-analisi disponibile (6), – la quale analizza 17 studi (9 RCT e 8 studi di coorte), per un totale di 1214 pazienti (643 pazienti trattati con Diltiazem ev e 571 pazienti trattati con Metoprololo ev) – gli autori concludono che il Diltiazem ha maggiore efficacia e minor tempo medio di onset, con un raggiungimento di frequenze cardiache minori senza differenze significative in merito agli eventi avversi e all’impatto sulla pressione arteriosa diastolica.

Anche in questa meta-analisi viene posto l’accento sulla scarsa numerosità dei campioni di ciascuno studio, che inficia la potenza statistica e l’accuratezza dei risultati. Elemento interessante di questo lavoro risulta essere la sostanziale equipollenza dei due farmaci a 2 h dall’inizio del trattamento, senza differenze significative in termini di efficacia dei due farmaci e di riduzione della FC.

Anche lo studio retrospettivo “Evaluation of metoprolol versus diltiazem for rate control of atrial fibrillation in the emergency department (4)” link, condotto nel 2021, non ha mostrato alcuna differenza statisticamente significativa fra Diltiazem e Metoprololo nel raggiungimento di un adeguato rate-control nei pazienti con tachicardia sopraventricolare a 2 h dalla somministrazione del farmaco.

Tuttavia, sebbene il Diltiazem abbia mostrato una significativa riduzione della FC a già 30 min dalla somministrazione rispetto al Metoprololo, ha anche mostrato una più elevata insorgenza di ipotensione, intesa come diminuzione della PAD < 60 mmHg, senza differenze significative in merito alla riduzione della PAS nei due gruppi; gli autori concludono pertanto che sarebbe meglio preferire il Metoprololo in quei pazienti nei quali si possa temere una ipotensione.

Cosa dicono le fonti da cui sono tratte le linee guida?

Andando alla ricerca delle fonti relative alla scarsa sicurezza del Diltiazem in pazienti con Scompenso Cardiaco con FE ridotta, si scova un articolo pubblicato su Circulation nel 1991, dal titolo “Diltiazem Increases Late-Onset Congestive Heart Failure in Postinfarction Patients With Early Reduction in Ejection Fraction” (5) link, in cui gli autori hanno analizzato un gruppo di pazienti con Cardiopatia Ischemica Post-Infartuale che facevano uso quotidiano di Diltiazem (al dosaggio di 240 mg/die per os).

I risultati di questo studio non hanno mostrato dati rassicuranti sull’effetto del Diltiazem nello Scompenso Cardiaco Post-Infartuale. Si è osservato, infatti, che i pazienti con Disfunzione Ventricolare Sinistra (LVD) trattati con Diltiazem presentavano più eventi avversi (aumento della mortalità per causa cardiovascolare), rispetto alla stessa tipologia di pazienti trattati con placebo.

Durante l’analisi dei dati, gli autori hanno rilevato un aumento della frequenza di Scompenso Cardiaco Congestizio tardivo nei pazienti con LVD randomizzati con Diltiazem: tra quelli con FE <40% lo scompenso è apparso infatti nel 12% (39/326) di coloro che hanno ricevuto il placebo e nel 21% (61/297) di coloro che hanno ricevuto il Diltiazem. Inoltre, lo scompenso era tanto più presente quanto minore era l’FE.

Al contrario, questa correlazione con l’utilizzo del Diltiazem non è stata rilevata nei pazienti con congestione polmonare e FE ≧ 40%, dimostrando così un’associazione unica tra l’insorgenza di Scompenso Cardiaco Congestizio tardivo e utilizzo di Diltiazem nei pazienti con FE ridotta (HFrEF);

Gli autori concludono pertanto che i pazienti post-infartuali con FE ridotta, trattati con Diltiazem, sono a maggior rischio di scompenso cardiaco congestizio tardivo e di ulteriori eventi cardiovascolari avversi.

Nel passato è stato dunque dimostrato un aumento della mortalità in quei pazienti affetti da HFrEF Post-Infartuale che facevano uso quotidiano di Diltiazem e per questo oggi – ipotizziamo noi – questo farmaco viene controindicato dalle Linee Guida dello Scompenso Cardiaco associato ad FA (Classe III, Livello C).

Tuttavia, a questo proposito, ci domandiamo come un utilizzo quotidiano per os di Diltiazem nei pazienti con Cardiopatia Ischemica ad FE ridotta si possa poi effettivamente comparare all’utilizzo di questo calcio-antagonista nel setting dell’Emergenza-Urgenza come farmaco per il rate-control nelle tachiaritmie sopraventricolari in fase acuta.

Alla ricerca di queste risposte abbiamo scovato un altro (piccolo) studio del 1991, pubblicato questa volta su The American Journal of Cardiology, dal titolo “Effects of intravenous diltiazem on rapid atrial fibrillation accompanied by congestive heart failure” (7) link, nel quale si descrive un ruolo controverso dei farmaci calcio-antagonisti.

Per quanto riguarda il Diltiazem infatti, non vengono descritti effetti avversi nel suo utilizzo sui pazienti con LVD in assenza di recente infarto miocardico e, anzi, gli autori sottolineano i benefici di questo farmaco come terapia rapida di rate-control nei pazienti con FA e LVD: una somministrazione a breve termine non sembra apportare particolari complicanze e risulta essere ben tollerata a causa della riduzione del precarico in compensazione dell’effetto inotropo negativo.

E quindi che si fa?

Le nostre conclusioni riguardo l’utilizzo di Diltiazem vs Metoprololo nel rate-control dei pazienti con FA in Pronto Soccorso sono controverse e ci lasciano con un po’ di amaro in bocca.

In particolare ci domandiamo: di quanti dei pazienti che giungono presso i nostri Pronto Soccorso conosciamo l’FE e l’anamnesi cardiologica nel dettaglio? Come queste informazioni influenzerebbero il nostro trattamento farmacologico?

Destiniamo al trattamento con Metoprololo (o Digossina) tutti quei pazienti con FA e Scompenso Cardiaco Acuto nei quali sospettiamo una FE <40%, supponendo così di trovarci davanti ad una disfunzione sistolica di base, oppure decidiamo di somministrare il farmaco che riteniamo più maneggevole fra Metoprololo e Diltiazem, supponendo di trovarci di fronte ad uno scompenso cardiaco senza o con LVD secondaria alla tachiaritmia in corso?

Dagli studi che abbiamo selezionato, sembrerebbe che il Diltiazem sia un farmaco sicuro e più efficace del Metoprololo, in termini di rapidità ed entità di riduzione della FC nei pazienti che accedono in PS per FA ad elevata risposta ventricolare; stando alle linee guida, il Diltiazem sarebbe da evitare in pazienti in cui sospettiamo una cardiopatia strutturale con FE ridotta<40% (precedenti rivascolarizzazioni, storia di HFrEF, cardiopatia dilatativa), dove dovremmo preferire i Beta-Bloccanti o la Digossina.

Occorre inoltre sottolineare che viene introdotto il concetto di “lenient rate-control nel management della FA in acuto.

In sostanza, viene affermato che un rate-control più cauto è ragionevole, con un target FC<110 bpm in acuto, senza tener conto di un’eventuale condizione di Scompenso Cardiaco Acuto in corso.

Con un target meno stringente pertanto, l’effetto del metoprololo – ritenuto dal nostro articolo farmaco con un onset più lento e di minor efficacia nella riduzione della FC – potrebbe risultare accettabile.

Nelle linee guida viene richiesto tuttavia un rate-control più “rigoroso” qualora i sintomi non vengano controllati con questo approccio più “cauto” o in caso di concomitante tachicardiomiopatia, senza tuttavia ulteriori dettagli su questi scenari.

E quest’ultimo sarebbe proprio lo scenario in cui ci troviamo più spesso: uno scompenso cardiaco acuto in corso di FA, ove un controllo più efficace della frequenza verrebbe consigliato dalle Linee Guida e che, stando agli studi, si potrebbe raggiungere in acuto con il Diltiazem in relativa sicurezza.

A tal proposito, in base alle esperienze dei centri ospedalieri della nostra rete formativa, molto frequentemente la presentazione di una FA ad elevata risposta ventricolare si associa con un quadro di congestione polmonare; in questi casi infrequentemente si ha a disposizione una anamnesi ecocardiografica e viene utilizzato empiricamente il Diltiazem ev, senza particolari conseguenze sul quadro emodinamico e sulla PA, confermando essenzialmente quello che viene riportato in questi studi, ovvero la sua sicurezza ed efficacia.

Quindi per concludere, potremmo dire che dovremmo propendere per l’utilizzo del Metoprololo in caso di storia nota di Scompenso Cardiaco con FE <40%, dopo aver valutato l’emodinamica del paziente, trattato gli eventuali quadri congestizi con terapia diuretica, e dopo aver escluso trigger modificabili come anemia, infezione o deplezione di volume. 

Al contrario, in caso di anamnesi cardiologica negativa per cardiopatie strutturali, il Diltiazem sembrerebbe il farmaco più efficace. In ultima battuta, sarebbe opportuno decidere quale approccio preferiamo utilizzare sul paziente che stiamo trattando, ovvero decidere se propendere per un “lenient rate control” o “strict rate-control” in base alle condizioni cliniche del paziente e alla sua storia cardiologica.

Ma che fine hanno fatto i nostri pazienti?

Il giovane manager:

Constatata l’indatabilità della Fibrillazione atriale ed eseguita una FoCUS, abbiamo optato per una strategia di rate-control con Diltiazem 20 mg (0,25 mg/kg) in bolo ev con efficace normalizzazione della frequenza cardiaca fino a 85 bpm nel giro di 15 minuti, in assenza di complicanze.

Il paziente è stato successivamente dimesso con Edoxaban e metoprololo per os come terapia domiciliare, ed agganciato all’ambulatorio cardiologico dedicato per prosecuzione dell’iter terapeutico e tentativo di rhythm control vista la giovane età.

La nonnina con il fiato corto:

Alla POCUS cardiopolmonare si sono evidenziati segni di imbibizione delle basi polmonari con due piccoli addensamenti subpleurici (una a destra e uno a sinistra) alla valutazione anteriore, in assenza di versamento pleurico.

Il cuore, esplorato con fatica e con approcci parasternali ed apicali non standardizzati, sembrava presentare un ventricolo sinistro piccolo ed ipercinetico, in assenza di grossolani deficit di contrattilità. Il ventricolo destro non appariva dilatato, anche se risultava moderatamente discinetico, con una PAPs (rilevata con le dovute difficoltà del caso) di 35 mmHg + 5 mmHg di IVC. Lieve versamento pericardico posteriore, non emodinamicamente significativo.

Alla luce delle condizioni cliniche generali della paziente, dei reperti emogas-analitici e della POCUS siamo rimasti un po’ indecisi sul da farsi. Non eravamo affatto sicuri di cosa avesse la nonnina, poiché all’ingresso ci aspettavamo un edema/pre-edema polmonare secondario alla tachiaritmia, ma dopo i primi accertamenti eravamo orientati più su qualcosa di settico o di altra natura, che avesse innescato dei meccanismi di bassa portata e condotto ad una FA compensatoria non prima conosciuta.

In ogni caso, abbiamo deciso di rallentare un po’ la FC (circa 170 bpm al monitor), visto che la PEEP non aveva apportato grandi miglioramenti al quadro cardio-respiratorio, nonostante PA e spO2 reggessero.

Benché la paziente non avesse precedenti cardiologici (e l’FE ci sembrava conservata), abbiamo optato per un metoprololo 7,5 mg ev in bolo lento e intrapreso 500 ml di Ringer, vista la marezzatura e la IVC normocollassabile.

Inoltre, abbiamo deciso di proseguire alla ricerca di cause scatenanti: alla POCUS addominale abbiamo individuato una neoformazione tondeggiante (tipo cisti complessa, ripiena di materiale disomogeneo e denso) di 13 cm circa, a partenza epatica. Una colecisti idropica e ripiena di materiale denso, a pareti sottili, con una lieve dilatazione delle vie biliari all’ilo epatico. Dunque, spinti da questo nuovo reperto ecografico, e avendo stampata in mente anche la severa alcalosi respiratoria, abbiamo eseguito una CUS, rilevando una trombosi poplitea sinistra, asintomatica per tumor, rubor o calor.

Fra CPAP, liquidi e metoprololo abbiamo ottenuto una FC di 120-125 bpm e una risoluzione della marezzatura; abbiamo quindi potuto andare in TC, ove è stata confermata una TEP coinvolgente i rami polmonari principali di destra e una lesione epatica sospetta per neoformazione eteroplastica misconosciuta. Inoltre, agli esami ematici è emerso anche un rialzo significativo dei neutrofili e degli indici di flogosi.

Intrapresa una terapia anticoagulante e antibiotica ad ampio spettro, abbiamo dunque deciso di tentare un downgrading dell’ossigenoterapia, riportandola in Venti Mask al 40%. Dopo un po’ di tempo in osservazione nella nostra shock room e dopo aver assistito ad un grande miglioramento della dinamica respiratoria e della perfusione sistemica (con output urinario > 0.5 ml/kg/h), la paziente, in accordo con i famigliari (che ci hanno poi riferito che era ormai da qualche mese che la signora aveva intrapreso un progressivo declino delle condizioni psico-fisiche), è stata trasferita in geriatria per la prosecuzione del proprio iter terapeutico-palliativo.

In Conclusione?

Vorremmo concludere questo nostro lunghissimo brainstorming con una riflessione; una riflessione sulla complessità della medicina contemporanea e sulle oggettive difficoltà che si affrontano nel tentare di eseguire una serie di scelte diagnostico- terapeutiche (possibilmente non completamente sbagliate) in poco tempo e su pazienti più o meno critici, quasi totalmente indifferenziati (in poche parole, nell’Emergency Medicine).

Questa riflessione l’abbiamo lasciata alle parole del Dr Bob Kelso, di Scrubs:

Nothing in this world that’s worth Having comes easy

Federica Liegi, Andrea Lorusso, Jacopo Oliva, Andrea Palestini

Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza dell’Università di Bologna

Bibliografia:

  1. Demircan, Celaleddin, et al. “Comparison of the effectiveness of intravenous diltiazem and metoprolol in the management of rapid ventricular rate in atrial fibrillation.” Emergency medicine journal 22.6 (2005): 411-414.
  2. Hines, Michelle C., et al. “Diltiazem versus metoprolol for rate control in atrial fibrillation with rapid ventricular response in the emergency department.” American Journal of Health-System Pharmacy 73.24 (2016): 2068-2076.
  3. Martindale, Jennifer L., et al. “β-Blockers versus calcium channel blockers for acute rate control of atrial fibrillation with rapid ventricular response: a systematic review.” European Journal of Emergency Medicine 22.3 (2015): 150-154.
  4. McGrath, Patrick, et al. “Evaluation of metoprolol versus diltiazem for rate control of atrial fibrillation in the emergency department.” The American Journal of Emergency Medicine 46 (2021): 585-590.
  5. Goldstein, Robert E., et al. “Diltiazem increases late-onset congestive heart failure in postinfarction patients with early reduction in ejection fraction. The Adverse Experience Committee; and the Multicenter Diltiazem Postinfarction Research Group.” Circulation 83.1 (1991): 52-60.
  6. Lan, Qingsu, et al. “Intravenous diltiazem versus metoprolol for atrial fibrillation with rapid ventricular rate: A meta-analysis.” The American journal of emergency medicine 51 (2022): 248-256
  7. Heywood, J. Thomas, et al. “Effects of intravenous diltiazem on rapid atrial fibrillation accompanied by congestive heart failure.” The American journal of cardiology 67.13 (1991): 1150-1152.
  8. Elkayam, Uri. “Calcium channel blockers in heart failure.” Cardiology 89.Suppl. 1 (1998): 38-46.
  9. “2020 ESC Guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation developed in collaboration with the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS)”. European Heart Journal 42 (2020): 373-498.
  10. “2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure”. European Heart Journal 42 (2021): 3599-3726.
Federica Liegi
Federica Liegi
Specializzanda di Medicina d'Emergenza-Urgenza presso l'Università di Bologna.Ecografo-dipendente, appassionata di Critical Care.

5 Commenti

  1. Molto interessante. Domanda forse stupida, ma la nonnina, non poteva essere comunque passibile di un tentativo di cardioversione elettrica? (soprattutto in ambulanza, data la situazione di instabilità? seppur presenti condizioni scatenanti?)
    Altra domanda sarebbe se questo approccio di utilizzo, sarebbe estendibile anche a altri beta-bloccanti (tipo esmololo) e al verapamil.

    • Innanzitutto, grazie tante anche a te Salvo dei complimenti e del commento!:) E ci scusiamo per il ritardo della risposta!
      Ottima domanda! Qui bisognerebbe aprire una bella discussione sul concetto e definizioni di stabilità ed instabilità emodinamica!
      Dal punto di vista “strettamente” riguardante i parametri vitali, la nonnina ha sempre presentato una buona PA, con una MAP >65 mmHg; ma dal punto di vista clinico presentava sicuramente segni di ipoperfusione periferica (marezzatura) e quindi di un’alterata OXIGEN DELIVERY. Corrisponde forse questo ad un segno di instabilità emodinamica? (lo chiedo anche a me stessa!) Avendo ben in mente la formula della DO2 (che posto a questo link per comodità: https://i.postimg.cc/yxxTk3ch/Do2-delivery.png), capiamo bene che il motivo per cui la nonnina poteva essere marezzata poteva dipendere da tanti fattori (sul momento davvero poco chiari) e che forse, senza una chiara condizione di shock (e quindi di tachicardia ed ipotensione su tutte) era meglio prendersi del tempo per riflettere. In più, una sedo-analgesia per la cardioversione su territorio in una paziente con una tale quadro clinico, richiede verosimilmente anche una secondaria gestione delle vie aeree. Essendo il domicilio della nonnina a pochi minuti dall’ospedale nel quale poi è stata portata, forse darsi un attimo di tempo per poter poi prendere la decisione più corretta è stata la scelta migliore (anche perché, a posteriori poi, la nonnina si è rivelata avere davvero più di 1 problema!).
      Sull’ambulanza, tuttavia, sono d’accordo sul fatto che avrebbero potuto intraprendere un rate-control probabilmente, visto la FC di 170 bpm!

      Per quanto riguarda invece:
      – Altri B-Bloccanti: ci vuole naturalmente un’ottima combinazione di cardioselettività (B1) e di disposizione del farmaco in formato ev (se l’ev è la nostra via di somministrazione selezionata, come nel nostro caso). L’esmololo è un ottimo b-bloccante! Tuttavia, rispetto al metoprololo ha un’emivita molto più breve (T1/2 di 9 minuti dopo la somministrazione endovenosa per l’esmololo vs T1/2 3, 5 ore per il metoprololo – entrambi i dati presi da scheda tecnica), pertanto solitamente è un farmaco che necessita di infusione continua per mantenere l’effetto di rate-control desiderato e va naturalmente titolato. E’ dunque meno maneggevole da utilizzare in DEA in quei pazienti che pensi di dimettere in giornata, dove vuoi che l’effetto b-b perduri.

      – Verapamil, sostanzialmente diltiazem e verapamil sono due farmaci equivalenti! La letteratura rimarca questo fatto, anche se alcuni autori (attraverso studi prospettici, randomizzati) hanno riportato un rischio maggiore di ipotensione con il verapamil e altri una maggior efficacia del varapamil stesso nonostante il maggior rischio ipotensivo. Altri, appunto ne parlano come farmaci sostanzialmente equivalenti, sia in termini di efficacia che di effetti avversi

      link 1 – studio prospettico, randomizzato, doppio-cieco del 97 che conclude per ugual efficacia ma maggiori rischio ipotensivo nel Verapamil: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/9399606/
      link 2 – studio retrospettico del 2020 che conclude per una maggior efficacia del verapamil, in assenza di incremento di effetti avversi: https://www.jacc.org/doi/10.1016/S0735-1097%2820%2931154-2
      link 3 – studio retrospettico del 2020 che conclude per l’equivalenza di diltazem e verapamil: https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/0018578720925388
      link 4 – studio prospettico, randomizzato, doppio-cieco del 2012 dove si conclude per l’ugual efficacia ma un maggior rischio di ipotensione nel verapamil: https://accpjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/j.1875-9114.1997.tb03087.x

      Spero di aver risposto alle domande!

  2. Molto bello. Post molto bello, e molto interessante. Secondo la mia modesta opinione, però, il punto è proprio il target perseguito in questi studi, che, clinicamente, per il medico pratico, non ha molto senso.
    Non ho mai compreso perché ci soffermiamo su questo punto. Secondo voi cambia qualcosa se su un paziente tachfibrillante acuto, stabile e sintomatico solo per cardiopalmo, in assenza di cardiopatia strutturale, ci sforziamo di ridurre la frequenza a ogni costo, oppure lo dimettiamo senza neanche un accesso venoso, con una compressina di bisoprololo da titolare ?
    In anni di emergenza ho visto sì e no due o tre tachifa realmente da cardiovertire in acuto, e pertanto realmente da cardiovertire (in cui devi avere una frequenza molto elevata, una FE molto ridotta, un paziente in shock, marezzato, sudato, diaforetico e dispnoico). Tutte le altre stavano bene e potevamo benissimo essere gestite con 2,5 mg di bisoprololo da titolare, dimissione con anticoagulante e rivalutazione ambulatoriale. Senza contare che cardiovertire in acuto senza anticoagulazione cronica è sempre inutilmente pericoloso, su pazienti che tre volte su quattro cardiovertono da soli in poche ore. Unica accortezza: ecocardiogramma sempre subito per escludere tachicardiomiopatia da fa, o cardiopatia strutturale, ovvero situazioni da tenere in osservazione, per eventuale ETE e cardioversione precoce. E ovviamente ricoverare i pazienti scompensati clinicamente o subclinicamente (linee b).
    Per questo é necessario essere ecocardiografisti (come dev’essere il meu) e non gettonisti buttati in ps. Ma questa è un’altra storia.
    Se si fa una buona selezione clinico-ecografica, tutti gli altri pazienti (tachifa stabili, sintomatiche solo per palpitazioni, senza cardiopatia strutturale) potrebbero potenzialmente anche essere gestiti da casa senza alcun farmaco ev…

    • Innanzitutto, grazie tante dei complimenti e del commento!:) E ci scusiamo per il ritardo della risposta!
      Ovviamente siamo completamente d’accordo sulla necessità per il MEU di possedere o di acquisire nel tempo una chiara competenza Ecocardiografica, che non si limiti alla sola valutazione di versamento pericardico o del rapporto Vsn/Vdx, ma che comprenda una valutazione complessiva della cinetica bi-ventricolare (e a mio avviso, di parete anche) e della valutazione quantomeno occhiometrica delle camere, delle eventuali valvulopatie (su tutti IM, SAo e IAo) e delle dimensioni/pareti aortiche.

      Chiaramente in caso di Instabilità emodinamica, nei pazienti con FA ad elevata risposta ventricolare databile a più o meno delle canoniche 48h, le linee Guida ESC e i protocolli ACLS consigliano la Cardioversione elettrica (pertanto un rhythm-control), poiché in tale contesto clinico, la vita del paziente è immediatamente messa a rischio dalla tachicardia e pertanto i benefici della cardioversione (elettrica in questo caso perché sappiamo essere immediata e più efficace) si presentano essere superiori all’eventuale rischio immediato di stroke ischemico; su questo siamo d’accordo ai protocolli/linee Guida sopracitati.

      Invece, nei pazienti emodinamicamente stabili si aprono due strade:
      databilità a meno di 48 h; che il paziente sia sintomatico o meno ci sono le premesse per un ripristino del ritmo sinusale, la domanda potrebbe essere: perché non farlo? In particolare, in assenza di cardiopatia strutturale (come dilatazione atriale, IM M/S, cardiopatia dilatativa, etc…), possiamo davvero pensare ci possano essere le giuste premesse per evitare di mantenere il paziente ad una frequenza superiore ai limiti di norma, ed intervenire immediatamente. Non dimentichiamo che per il nostro cuore, citando un amico cardiologo che mi svoltò la giornata, una FA ad elevata risposta ventricolare corrisponde praticamente ad essere sempre “sotto sforzo”! Pertanto, senza un costante monitoraggio, non possiamo realmente prevedere in quanto tempo si sviluppi un’eventuale tachicardiomiopatia. In questi casi, quindi, siamo d’accordo con le linee guida nel procedere ad un rhythm-control.

      databilità a più di 48h; Il rischio di stroke diviene elevato in presenza di un CHA2DS2-VASc positivo e il rhythm-control senza un’adeguata anticoagulazione è sconsigliato dalle linee guida. Ci rimane pertanto un rate-control. Il rate-control è necessario a nostro parere, qualora, indagate le cause se primarie o secondarie di insorgenza di una FA/FFA ad elevata risposta ventricolare, si decida di riportare il paziente ad una FC normo-frequente (o quasi normo-frequente), così da ridurre il rischio di insorgenza acuta di tachicardiomiopatia e/o scompenso cardiaco (sempre per il discorso dell’evitare di mantenere il cuore sotto continuo “sforzo”).
      Sulle modalità e le varie metodologie per l’ottenimento di un buon rate-control noi ci siamo limitati a dare la nostra opinione personale in rapporto alle disponibili evidenze scientifiche. E’ chiaro che ogni medico è libero poi di operare in propria scienza e coscienza!
      Personalmente parlando preferisco – in considerazione del nostro setting di lavoro e del fatto che noi siamo Medici Ospedalieri e non Medici di Medicina Generale e che, solitamente, non abbiamo la possibilità di ricontrollare o mantenere contatti stretti con il paziente una volta dimesso dal DEA – sapere di aver eseguito un adeguato rate-control prima della dimissione, evitando di mandare a casa una persona con una FC di 110-140 bpm (anche se asintomatica, come il caso del nostro Manager) con il solo metoprololo o diltiazem per os. Preferiamo pertanto eseguire un adeguato rate-control in PS e poi aggiungere la terapia per os a domicilio. Certo, magari poi la terapia domiciliare con cui abbiamo dimesso il paziente potrebbe sortire uno scarso effetto…ma comunque solitamente invitiamo i pazienti a monitorare autonomamente la propria FC nei giorni precedenti il controllo cardiologico, così da assicurarci che mantengano FC nei limiti di norma anche a domicilio!
      Spero di aver compreso e risposto adeguatamente alla domanda! In ogni caso, questa è solo la mia opinione, ad ognuno la propria pratica clinica, nel rispetto della propria professionalità e dei propri pazienti! 🙂

  3. Tutto molto giusto e uptodate. Ed è quello che facciamo tutti. Le mie riflessioni nascono dalla pratica quotidiana, supportata dalle evidenze:

    – la stragrande maggioranza delle fibrillazioni atriali regredisce spontaneamente nelle ore successive
    – la stragrande maggioranza degli episodi di fibrillazione atriale sono asintomatici/notturni
    – i grandi trial non hanno dimostrato grandi vantaggi nel ritmo vs rate control
    – il rischio maggiore è sempre quello ischemico cerebrale relato a quanti episodi ci sono nel paziente non scoagulato
    – la regola delle 48 ore va presa con le pinze perché un conto è un’ora un conto 47. Inoltre i pazienti, interrogati, riferiscono praticamente sempre plurimi episodi nei giorni precedenti, ed è difficile ottenere una tempistica affidabile.
    – I casi di fibrillazione atriale primitivamente instabile sono pochissimi perché soltanto cuori con severe disfunzioni sistoliche e importante tachicardia, vanno in bassa portata in corso di fibrillazione atriale acuta (ed è difficile peraltro rispondano a una scossa elettrica senza premeditazione con amiodarone). Gli altri (comunque pochi) sono pazienti vuoti o settici o comunque ipoperfusi non su base cardiogena e pertanto non meritano CVE.

    Per tutte queste ragioni, negli anni, ho ridotto di molto la percentuale di pazienti che decido di cardiovertire in pronto soccorso o comunque di trattare più intensivamente. Diventando vecchi si tengono più a bada le scosse 🙂.

    Secondo me, tendenzialmente, è sempre più prudente, anche entro le famose 48 ore, rallentare (senza fretta), scoagulare, e rivedere il paziente a qualche giorno giusto per scongiurare il pericolo tachicardiomiopatia (difficile nei primi giorni).

    Grazie per la disamina, é sempre utile un confronto.

    A presto su empills

    Alberto

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