mercoledì 15 Gennaio 2025

Fibrillazione atriale e trombocitopenia

Molte persone, non solo tra i pazienti, pensano che in fondo il nostro lavoro non sia difficile  Basta acquisire le conoscenze necessarie ed applicarle al singolo caso. Linee guida e protocolli sono sempre una guida a cui fare riferimento e, in loro assenza internet, il grande surrogato, ci potrà dare le spiegazioni giuste ed indirizzarci nelle nostre scelte. Purtroppo non sempre è cosi e la storia di Angela credo ne sia un esempio.

Angela ha da poco superato i 50 anni ma ha una storia clinica piuttosto pesante.  A causa di una glomerulonefrite in età giovanile aveva sviluppato un’insufficienza renale che l’aveva portata alla dialisi prima e al trapianto poi. I suoi problemi di salute purtroppo non si erano sviluppati solo sul versante renale. Si era ammalata di morbo di Werlhof, questa volta però i trattamenti compresi la splenectomia non erano stati efficaci e tuttora persistevano bassi valori piastrinici dell’ordine delle 20.000 mmc. A causa di una malattia reumatica anche il cuore era stato danneggiato, con lo sviluppo di una valvulopatia mitro aortica (stenosi mitralica moderata- severa- insufficienza mitralica e insufficienza aortica moderata con un’importante dilatazione biatriale). La valvulopatia non era tale da richiedere una correzione chirurgica, ma invariabilmente da qualche anno si manifestava con episodi ricorrenti di fibrillazione atriale per cui era già stata sottoposta ad un intervento di ablazione che aveva solo dato una tregua temporanea. Gli episodi aritmici negli ultimi tempi erano diventati più frequenti e propria a causa di uno di essi che ho incontrato Angela. Come succede spesso in questi casi sono i pazienti stessi a suggerire il da farsi ” sono digiuna, mi fate la cardioversione?”
In effetti quello poteva essere un percorso terapeutico  adeguato, ma ci sono diversi ma:
– in una paziente con una così importante dilatazione atriale quali sono le reali speranze che possa mantenere il ritmo sinusale.?

– Angela non era in trattamento anticoagulante a causa della trombocitopenia, lasciarla in fibrillazione non sarebbe stato troppo rischioso per eventuali eventi embolici?
– Le linee guida controindicano l’anticoagulazione nei pazienti con trombocitopenia al di sotto di 50.000, sappiamo però che non è solo il numero delle piastrine importante ma anche la sua funzione. E’ razionale non proporre il trattamento anticoagulante a una paziente ad alto rischio embolico ,( fibrillazione atriale e valvulopatia mitralica), che da anni pur con bassi livelli di piastrine non ha più avuto alcuna manifestazione emorragica?
– In una paziente con queste caratteristiche qual è l’incidenza di episodi di fibrillazione atriale asintomatica e qual è il peso di questi eventi su eventuali episodi embolici?
– Una possibilità di risolvere il problema forse era rappresentato da un nuovo tentativo di ablazione, ma come arrivarci? La prima volta la paziente era stata trattata, su consiglio dell’ematologo curante, con eparina a basso peso molecolare, ma attualmente non sarebbe stato meglio usare il fondaparinux che ha una minore incidenza di trombocitopenia? Le eparine a basso peso molecolare però possono comunque essere antagonizzate, almeno in teoria, dalla protamina che non è invece efficace per il fondaparinux, come ho già avuto modo di discutere in un precedente post:.Antagonizzare le eparine a basso peso molecolare
In questi casi le linee guida inglesi, Guidelines on oral anticoagulation with warfarin – fourth edition. consigliano di ricorrere al parere dell’esperto, ma allo stato delle attuali conoscenze non credo che neanche l’ematologo abbia la possibilità di tirar fuori  il coniglio dal cilindro, penso invece possa condividere con noi scelte e responsabilità.
Dopo tutti questi dubbi alla fine come ci siamo comportati con Angela?
Abbiamo eseguito la cardioversione elettrica che per fortuna non avuto complicazioni e, forse saggiamente forse pilatescamente, abbiamo demandato all’ematologo curante la decisione su quale profilassi adottare in attesa dell’ablazione che la paziente era assolutamente intenzionata a fare.
Volendo aggiungere un breve commento penso che valga la pena di ricordare a noi stessi e ai nostri pazienti che non sempre ci sono risposte alle domande che ci facciamo, a volta per nostra incapacità ma a volte perché queste risposte non ci sono. Condividere con loro  strategie diagnostiche e terapeutiche è l’unico modo sano di agire, almeno così spero.

Nota bibliografica
Atrial Fibrillation (Management of) 2010 and Focused Update (2012)
Parenteral anticoagulants: Antithrombotic Therapy and Prevention of Thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines.

Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

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