venerdì 22 Settembre 2023

Giochiamo con le bolle

 

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E’ possibile valutare il corretto posizionamento di un catetere venoso centrale direttamente al letto del malato?

La risposta è: no. E’ vero, non esistono criteri clinici che possano in alcun modo rassicurare il medico dell’esatta posizione del catetere e quindi è necessario richiedere una radiografia del torace per poter usare la via centrale con sicurezza.Talvolta, però, la situazione del paziente è così critica da non poterci permettere ulteriori ritardi, senza contare i rischi di esposizione alle radiazioni ionizzanti per gli altri pazienti ed il personale sanitario nel caso di radiografie richieste al letto o in sala visita.

Quindi siamo in un vicolo cieco. Sembra che l’unica soluzione sia il trasferimento del paziente in sala radiologica o, appunto, la richiesta dell’esame al letto.

Appunto, sembra.

Perché l’ecografo è accanto a noi, e come in altre situazioni, può venire in nostro aiuto per ottimizzare la gestione di un paziente in condizioni di emergenza-urgenza.

L’ecografia con contrasto (CEUS) è una pratica in via di espansione, di appannaggio degli ecografisti più esperti, che però può essere sfruttata in determinati contesti anche dal medico di Pronto Soccorso. Soldati e Copetti, nel loro fondamentale “Ecografia Toracica” introducono il tema della CEUS nella valutazione delle lesioni polmonari.

Oggi parliamo di un mezzo di contrasto isorisorse, alla portata di qualsiasi medico d’emergenza con un minimo di competenze ecografiche: le microbolle. Il sistema è semplice, e sfrutta un mezzo di contrasto costituito dall’aria, miscelata con la soluzione fisiologica. Il sistema delle microbolle viene abitualmente utilizzato da cardiologi e da neurologi per lo studio della pervietà del forame ovale. Possiamo immaginare in quale modo le microbolle possano aiutarci nell’identificazione del CVC: una volta posizionato, infatti, si ottiene una scansione cardiaca sottocostale con asse lungo 4 camere, una scansione molto semplice anche per gli ecografisti d’urgenza meno esperti, dopo di che si orienta la sonda con il punto di repere in alto per ottenere l’asse corto delle vene cave, visualizzando correttamente l’atrio destro; può essere utilizzata sia una sonda convex che una settoriale cardiaca (se disponibile, quest’ultima è da preferire); si aspirano quindi 9 ml di soluzione fisiologica e si miscelano con 1 ml di aria, agitando la siringa, e si effettua un primo bolo di 5 ml di soluzione. Se il CVC è correttamente posizionato in atrio, immediatamente dopo il bolo, in atrio destro compare un flusso lineare di microbolle seguito poi da uno sciame, ben evidente rispetto alle immagini ottenute prima del bolo.

 

La scansione sottocostale evidenzia l'asse lungo cardiaco con evidenti le 4 camere
La scansione sottocostale evidenzia l’asse lungo cardiaco con evidenti le 4 camere
L’asse corto sottocostale delle vene cave evidenzia correttamente lo sciame di microbolle, a conferma del posizionamento corretto del CVC

In caso di risposta dubbia, può essere effettuato il secondo bolo di mezzo di contrasto, ma se ancora non si ottiene ancora una risposta sicura, la procedura deve essere sospesa.

Se il CVC non è correttamente posizionato, non si osserva lo sciame di microbolle, ma un flusso turbolento in atrio che compare qualche secondo dopo il bolo.

In linea di massima, l’ecografia permette talvolta di evidenziare la punta del catetere (come nel filmato seguente)

 

httpvh://youtu.be/hqjbRAwTxho

 

e le microbolle in questo caso potrebbero anche essere evitate (al limite, per ulteriore conferma, un bolo di 5 ml può essere utilizzato). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, ciò non accade e le microbolle permettono di osservare il corretto posizionamento del catetere: nel video seguente è possibile riconoscere il punto di origine delle microbolle.

 

httpvh://youtu.be/jBqouxapDqs

 

Il principale limite è costituito dalla tecnica d’esame: la scansione sottocostale cardiaca non è – come molti sanno – sempre visualizzabile, e questo può impedire questa tecnica. Nella nostra esperienza, tuttavia, anche la scansione apicale 4 camere (se garantisce l’adeguata visualizzazione dell’atrio destro) permette una adeguata valutazione del mezzo di contrasto.

 

httpvh://youtu.be/GykypRv1k14

 

Bene, fino a qui abbiamo parlato di tecnica. Abbiamo descritto una metodica alternativa di esame, mostrato gli aspetti esecutivi e dimostrato la sua fattibilità. Ma la medicina si basa su processi EBM. Possiamo validare la CEUS in questo ambito?

Come spesso accade quando si parla di ecografia in medicina d’emergenza, al momento attuale non esistono sicure evidenze che supportino questa metodica: in letteratura un solo lavoro (Vezzani A. et al. Ultrasound localization of central vein catheter and detection of postprocedural pneumothorax: an alternative to chest radiography. Crit Care Med. 2010), con una casistica ampia (più di 100 pazienti) ha dimostrato l’accuratezza della CEUS rispetto alla radiografia convenzionale del torace. E nella nostra esperienza, la procedura si è sempre dimostrata agevole e con risposta francamente positiva, con concordanza rispetto alla radiografia del torace, al punto di permetterci di utilizzarla come unica opzione nei casi più critici.

In generale, comunque, per quanto la CEUS con microbolle si sia dimostrata accurata ed efficace, si consiglia di riservarla alle sole condizioni di emergenza in cui non si ha tempo per un approfondimento diagnostico ulteriore. E’ comunque essenziale osservare una risposta ecografica chiaramente positiva. Un dubbio di riconoscimento delle microbolle può comportare un secondo bolo da 5 ml, ma se il dubbio persiste, la metodica non ci ha fornito la risposta che cercavamo.

Come già auspicato in altri ambiti, in cui l’ecografia d’urgenza supera i limiti della FAST-CRASH tradizionale, e delle situazioni in cui è riconosciuta come valida ed efficace (l’identificazione dell’idronefrosi, della colelitasi e della colecistite acuta, e degli aneurismi aortici addominali), uno studio prospettico eseguito da urgentisti (con confronto tra la CEUS e l’Rx toracico) permetterà di raggiungere una sicurezza maggiore ed espandere la metodica nei campi sicuri dell’EBM.

BIBLIOGRAFIA

Vezzani A. et al. Ultrasound localization of central vein catheter and detection of postprocedural pneumothorax: an alternative to chest radiography. Crit Care Med. 2010 Feb;38(2):533-8

Lamperti M, et al. International evidence-based recommendations on ultrasound-guided vascular access. Intensive Care Med (2012) 38:1105–1117

 

Alessandro Riccardi
Alessandro Riccardi
Specialista in Medicina Interna, lavora presso la Medicina d’Emergenza – Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Savona. Appassionato di ecografia clinica, è istruttore per la SIMEU in questa disciplina, ed è responsabile della Struttura di Ecografia Clinica d’Urgenza . Fa parte della faculty SIMEU del corso Sedazione-Analgesia in Urgenza. @dott_riccardi

9 Commenti

  1. Alessandro,
    grazie per avere condiviso questo trucco che sono d’accordo essere alla portata di noi medici di pronto soccorso, anche se non particolarmente esperti in ecografia.
    In questo modo la sonda ecografica ci aiuterà non solo ad escludere eventuali complicanze come uno pneumotorace, ma anche a verificare il corretto posizionamento del CVC che abbiamo appena inserito.Sono convinto che nuovi studi in grado di validare questa metodica non tarderanno a venire.

    • Grazie del tuo commento, Carlo! In effetti avevo omesso la possibilità del controllo post procedurale dello pneumotorace, eventualità comunque remota quando si posiziona un CVC in giugulare. Per quanto riguarda uno studio, credo sia difficile per un singolo pronto soccorso o medicina d’emergenza raggiungere in breve tempo un volume critico di procedure per ottenere significatività statistica: ritengo che una buona soluzione possa essere uno studio multicentrico

  2. Molto interessante. Confesso però che iniettare un ml d’aria direttamente in atrio destro, per quanto sotto forma di micro bolle, mi spaventerebbe un po’. Non c’è il rischio di causare un’embolia? Considerate che io sono un po’ paranoico e tolgo tutta l’aria residua dal deflussore anche quando cambio una fisiologica…

    • Grazie del commento! Comunque, Simone, non deve preoccuparti: 0.5
      ml di aria in due boli refratti sono del tutto innocui, Le dosi di aria “pericolose” e potenzialmente letali sono ben superiori (ipotizzate in 3-5 ml/kg, o comunque 300-500 ml in dose singola infusi rapidamente). Le dosi utilizzate dalla CEUS descritta arrivano negli alveoli e lì si fermano.

  3. Argomento di grande interesse nell’Universo della “Visual Medicine”! Ormai non c’è “quasi” più nessuna procedura che non possa essere eseguita (o evitata!) sotto guida ecografica. E con la stessa sonda a confermare la corretta esecuzione. Concordo sulla necessità della “validazione” procedurale. L’Rx del torace (nel caso in discussione) è ancora considerato (sic) il “gold standard”. Anche medico-legale, credo. Penso che la proposta dello studio multicentrico sia da prendere in seria considerazione. Infine offro un mio piccolo contributo. Ragionando in termini di emergenza/urgenza e quindi di “tempo dipendenza”, in corso di inserimento e dopo aver posizionato un CVC in VJI, di solito eseguo queste tre verifiche in rapida successione. Conferma (inseguimento) del “ring-down” del wire lungo il tragitto (o parte del tragitto nel lume venoso). Gliding lato inserimento. Presenza di flusso del fluido in cava/atrio in sottocostale con orientamento assiale o eventualmente da altra finestra con rinforzo del flusso iniettando mix aria/SN direttamente nel “distale”. Quest’ultima è una variante della tecnica esposta da Te. Non so quanta “farina del mio sacco” ci sia e quanto possa essere corretta, però ho dei riscontri percentualmente assai favorevoli.

    • Grazie del tuo commento e degli ottimi spunti di riflessione. La tecnica presentata qui è sicuramente embrionale, ma ha l’indubbio vantaggio di essere semplice, e con curva di apprendimento praticamente immediata. Ha però ampi margini di miglioramento e la tecnica da te descritta sembra molto raffinata. Sarebbe molto interessante un confronto, anche per valutare i tempi di esecuzione tra le due. Per quanto riguarda uno studio multicentrico, è una proposta allettante e credo potrebbe essere organizzato con relativa semplicità.

  4. Giusto un minimo contributo. Normalmente il bubble test lo faccio sfruttando il rubinetto a 3 vie: la via venosa resta chiusa e si fanno comunicare le altre due vie a cui vengono attaccate due siringhe da 10ml, l’una completamente vuota, l’altra contenente 9.5 ml di soluzione fisiologica e 0.5 cc di aria. Si inietta rapidamente e in maniera alternata il contenuto dell’una nell’altra siringa, più e più volte fin quando aria ed acqua non saranno ben miscelate – la tecnica rispetto alla semplice agitazione della siringa piena a 9/10 permette una migliore micronizzazione dell’aria sì che ne basti anche mezzo ml e dopo 5-6 ‘riempi/svuota’ la miscela sarà praticamente bianca e ‘molto ecogena’-. Il ‘mojito’ così creato potrà essere prontamente iniettato in vena aprendo la via venosa.
    PS: grazie per tutte le belle informazioni di questo splendido Blog…

    • Più che un contributo, è un’ottima e appropriata integrazione! Grazie mille per la ricetta di questo “mojito” che non conoscevo e proverò senz’altro! In effetti, questo post voleva essere una presentazione di una tecnica “relativamente” poco nota e utilizzata (per lo meno poco presentata a livello di pubblicazioni). Sono felice di vedere che esistono approcci differenti basati su specifiche esperienze. A questo punto, sarebbe davvero utile uno sforzo ulteriore per uniformare la tecnica e renderla EBM: uno studio multicentrico sembra davvero realizzabile

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