mercoledì 29 Novembre 2023

Hai misurato la pressione venosa centrale?

Checking central venous pressure with a manometerQuesta la domanda che mi è stata posta da una collega mentre si discuteva di una paziente con uno shock settico. La mia risposta è stata negativa, devo dire per una mia maggiore propensione all’uso della valutazione ecografica della cava inferiore e dei lattati, come guida alla terapia infusionale in questa classe di pazienti. La  pressione venosa centrale (PVC) è stata utilizzata, e viene tutt’ora largamente usata,  per valutare la risposta al riempimento con i fluidi nei pazienti in stato di shock, ma da qualche tempo la sua reale utilità è stata messa in discussione. Sarà pubblicata nel prossimo mese di luglio su Critical Care Medicine  una metanalisi aggiornata proprio su questo tema: Does the central venous pressure predict fluid responsiveness? An updated meta-analysis and a plea for some common sense. Vediamo cosa dice.

Elemento cruciale del trattamento di pazienti con ipotensione, ipoperfusione e shock rimane la somministrazione di fluidi per via endovenosa. E’ noto che,sia nel paziente critico che dopo interventi di chirurgia generale maggiore,  la giusta ottimizzazione della somministrazione di liquidi migliora l’outcome, d’altra parte una eccessiva somministrazione ne aumenta la mortalità; di qui l’importanza di individuare strumenti che ci consentano di valutare da un lato la necessita della somministrazione, dall’altro di quantificarla . Una risposta inefficace al “fluid challenge” iniziale, ad esempio, ci dice che  in quel paziente un ulteriore infusione di liquidi non solo non sarà di beneficio, ma potrà essere pericolosa. La misurazione della pressione venosa centrale è stata da sempre utilizzata  per guidarci nella terapia.

Obiettivo dello studio

Nonostante in una precedente metanalisi pubblicata su Chest nel 2008 gli autori avessero sostenuto che utilizzare la misurazione della PVC per valutare la risposta ai fluidi non fosse più efficace del lancio di una moneta, essa viene ancora considerata utile da molti Crit Care Med 2004  Crit Care Med 2008.
Obiettivo dello studio è stata aggiornare la precedente metanalisi incorporando nuovi lavori che avessero studiato indici predittivi della risposta ai fluidi. E’ stata poi eseguita un’analisi dei sottogruppi a secondo del luogo dove i singoli studi sono stati condotti (terapia intensiva o sala operatoria)

fluid-challenge

La risposta ai fluidi è stata definita come l’aumento dell’output cardiaco e dello stroke volume in seguito all’infusione di liquidi o una manovra di innalzamento passivo degli arti

E’ stata condotta una ricerca sui principali database: MEDLINE, EMBASE, Cochrane Register of Controlled Trials.
Su 191 studi 43 sono stati considerati corrispondere ai criteri di inclusione,ed è stata valutata  analisi dell’area sotto la curva tra la pressione venosa centrale il cambiamento nel rapporto stroke volume/indice cardiaco  e la percentuale di” fluid responders” Tutti gli studi sono stati condotti in una popolazione di adulti, 1 comprendeva dei controlli sani, 22 erano stati eseguiti in terapia intensiva e 20 in sala operatoria

Risultati

Complessivamente 57% ± 13% dei soggetti hanno risposto all’infusione di fluidi. In sintesi l’area sotto la curva  è stata 0.56 (95% CI, 0.54-0.58) con nessuna eterogeneità tra i diversi studi. I lavori che sono stati eseguiti in terapia intensiva hanno presentato un’area sotto la curva di 0.56 (95% CI, 0.52-0.60) mentre quelli effettuati in sala operatoria 0.56 (95% CI, 0.54-0.58). La correlazione generale tra pressione venosa centrale e cambiamento e  modifica del rapporto stroke volume/indice cardiaco è stata  0.18 (95% CI, 0.1-0.25) di cui 0.28 (95% CI, 0.16-0.40) in terapia intensiva e 0.11 (95% CI, 0.02-0.21) in sala operatoria.

pressione-venosa-centrale

Conclusioni

Gli autori concludono laconicamente che in base all’analisi di questa matanalisi non ci sono dati che supportino la pratica diffusa di usare la pressione venosa centrale come guida alla terapia infusionale e questo approccio alla “fluid resuscitation” dovrebbe essere abbandonato

Commento personale

Come per molte altre condizioni cliniche stiamo assistendo a quella che è stata definita una dogmalisi, ovvero la demolizione di quanto sin’ora ritenuto essenziale e scontato. Quanto proposto dagli autori di questa metanalisi verrà messo in pratica mandando in pensione la misurazione della pressione venosa centrale? Personalmente, ho qualche dubbio, almeno nel breve termine, anche se la strada mi sembra ben delineata. Cambiamenti di modi di fare e di interpretare le cose richiedono tempo. Ovviamente interessato all’opinione degli esperti del campo e non.

Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

2 Commenti

  1. Caro Carlo,
    hai lanciato un bello spunto di riflessione. Il punto fondamentale, come ha sottolineato un comune amico, è: “che alternative abbiamo?”
    La PVC, e le relative variazioni dopo fluid challenge, hanno poco significato se non correlate con la registrazione di un eventuale aumento dell’output cardiaco, attraverso l’ecocardio o sistemi basati sulla termodiluizione, che chiaramente non possono essere gestiti in una subintensiva di PS.
    Dunque, pur essendo d’accordo con te che tale parametro andrà progressivamente abbandonato, ritengo comunque che bassi valori di PVC dovrebbero comunque orientare verso un’ipotesi di ipovolemia, da trattare di conseguenza. Ci sono evidenze che possa sostituito dall’ecografia della vena cava? non lo so.

    • Paolo,
      le tue osservazioni su PVC e output cardiaco sono certamente corrette, ma possiamo accontentarci di una soluzione che funziona solo in una parte dei casi? Anche prima del risultato di questa metanalisi infatti da più parti veniva enfatizzato il fatto che la misurazione della pressione venosa centrale fosse di aiuto solo quando bassa.Il protocollo non invasivo della sepsi ci ha dato un modello alternativo che, pur essendo lontano dalla perfezione, può essere una strada da seguire, sempre in attesa di ulteriori validazioni, non dimenticandoci che il posizionamento di accessi venosi centrali in pronto soccorso è pratica tutt’altro che scevra da rischi, soprattutto per quanto riguarda le infezioni.

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