Keywords:
- POCUS: point of care ultrasound AHF: Acute heart failure LUS: lung ultrasound
- SIP: sindrome interstiziale polmonare HOCUS POCUS: abracadabra
Preambolo
L’intero post discuterà della validità dell’approccio integrato ecografico alla dispnea attraverso l’utilizzo dei Likelihood-Ratio o rapporti di verosimiglianza. Chi non conoscesse o volesse approfondire questo semplicissimo e potentissimo strumento diagnostico, dia un’occhiata a questo fantastico video dei sempre amici Ciro & Ilenia di A Life At Risk. Mi scuso anticipatamente se risulterò un po’ prolisso od ostico ai più…
Di fronte a pazienti con dispnea ne ho viste di tutti i colori. Approcci che vanno dal SUPERMAN (tipo “telefilm americano” e che ti estrae una PVC invasiva prima ancora di raccogliere l’anamnesi e prima di qualsiasi consenso informato), all’IRACONDO (trucidazione sine-causa afinalistica dell’infermiere o dello specializzando limitrofo all’assistito), al DIAFORETICO (le famigerate sette camicie), al MINIMALISTA/TEMPOREGGIATORE (“ma non è niente!” o “è meglio aspettare il collega ed eventualmente la troponina”) finendo con scene da INQUISITORE (“che cosa vuole ora da me?! Chi glielo ha detto di fumarsi tutte queste sigarette negli ultimi 50 anni!?”). Il tutto è poi farcito da dialoghi assolutamente demenziali e davvero esilaranti. Immaginatevi la scena di un perfetto sconosciuto con quaranta atti respiratori al minuto, dissociazione toraco-addominale, respiro gorgogliante, 70% di saturazione in Venturi al 40%, aggrappato per disperazione ai bordi del letto, madido di sudore al quale viene chiesto mentre gli si poggia un fonendoscopio sulle spalle: “La prego non faccia rumore con la bocca!” e “Trattenga il respiro!”. L’ecografia all’interno di questo sfacelo riesce però a mettere un po’ di ordine. Tutti d’accordo per ecografia toracica (linee B e compagnia bella) ed ecocardiografia standard, un po’ meno d’accordo su quello che è valutazione della vena cava inferiore (come se non facesse parte di un esame ecocardiografico standard e fosse una scienza a parte) e rapida eco-vision cardiaca.
La clinica ovviamente resta e deve sempre restare sovrana, ma quello che è anamnesi, visita, ECG ed EGA li ho sempre considerati come facenti parte di una sorta di PRE-TEST da filtrare attraverso i likelihood ratio (LR) ecografici. La diagnosi finale dovrebbe anzi deve essere ecografica.
- Ma quanto aiuta l’utilizzo dell’eco nella diagnostica differenziale della dispnea? È quantificabile questo vantaggio? Analizziamo un paio di lavori recenti.
Laursen in un recente studio pubblicato su Lancet ha valutato la differente accuratezza diagnostica ottenuta a 4h dall’ingresso in area di emergenza di pazienti valutati con o senza POCUS. Il gruppo US raggiungeva una diagnosi corretta nel 88% dei pz rispetto al 63.7% del gruppo sprovvisto di eco. Questo vantaggio non si ripercuoteva però in un miglior outcome dei pazienti (durata dell’ospedalizzazione, mortalità intra ed extra ospedaliera, nuova ospedalizzazione). Grandissimo pregio dello studio di Laursen è la presenza della serie completa dei parametri vitali valutati all’ingresso.
Con la presenza di una FR media di 20, 96% di SpO2, PAO media assolutamente nei limiti ed una FC di poco inferiore a 100 bpm, capiamo che il campione analizzato è composto da pazienti apparentemente tranquilli come quelli che molto spesso vediamo, il nostro codice verde insomma.
Un interessante studio da segnalare è quello di Imma (Pirozzi, la nostra mitica autrice, co-firmato da un certo Roberto ed un certo Fernando), che consiglio a tutti di leggere, in cui la concordanza diagnosi iniziale-diagnosi finale nel gruppo POCUS era 0.94 contro uno 0.22 del gruppo No-POCUS. La percentuale di diagnosi iniziali errate nel gruppo POCUS era 5% contro 50% del gruppo No-POCUS. Questa differenza nei dati dei due studi è probabilmente da ricondurre alla differenza nelle caratteristiche dei pazienti. Il campione di Imma presentava dei caratteri di criticità maggiori rispetto al precedente studio: FR di 28 apm ed SpO2 di 88%, pO2 63 mmHg e pCO2 lievemente aumentata. Il paziente medio qui era francamente dispnoico, il paziente tipo era un bel codice giallo!
Questo è quello che io chiamo effetto forbice…
…più brutto è il paziente maggiore è il divario di informazioni che si possono ottenere tramite ecografia rispetto la clinica… esempio lampante è rappresentato dall’arresto o peri-arresto cardiaco. Anche un precedente studio di Goffi-Cibinel aveva valutato che l’utilizzo di un approccio clinico e successivamente “LUS implemented” consentiva di spostare l’accuratezza diagnostica dal 70.6 al 100% nella dispnea “cardiogena pura”, dal 50.6 al 100% nel gruppo dispnea “respiratoria pura” e dal 10 a 80% nella dispnea multifattoriale.
- Ma quanto sono utili le singole metodiche?
Cominciamo con l’ecografia toracica per la quale sono stati scritti tonnellate su tonnellate di articoli. Andiamo rapidi su linee B & co perché sono sicuro che siete tutti molto più bravi di me. Eventualmente date un’occhiata qua:
- http://empills.com/2013/11/de-rerum-schiumae/
- http://empills.com/2013/08/ecografia-toracica-non-utile-nella-diagnosi-dellinsufficienza-cardiaca-acuta-scompensata/
Quello che potrebbe riassumere rapidamente gli ultimi 25 anni è la revisione sistematica di Al Deeb pubblicata ad Agosto 2014 su Academic Emergency Medicine. Sono stati analizzati studi di coorte e caso-controllo che valutavano pazienti acutamente dispnoici con sospetto di AHF. La sensibilità e la specificità sono risultate essere rispettivamente 94.1 e 92.4% da cui derivano LR pos 12.38 ed LR neg 0.06. Gli autori concludono che in pazienti con probabilità pre-test da moderata ad alta lo studio ecografico del polmone può essere utilizzato per potenziare il work-up diagnostico dello scompenso cardiaco acuto.
Altro studio interessante è quello del Presidente (qui scatta l’inchino) Gian Alfonso Cibinel che ha valutato il ruolo della presenza di sindrome interstiziale polmonare (SIP, linee B diffuse) e versamento pleurico (VP) nella diagnosi di dispnea cardiogena. I risultati sono riassunti in tabella. L’utilizzo combinato di SIP + VP riduceva la sensibilità della ricerca di SIP senza aumentarne la specificità.
Purtroppo a questo punto devo confidarvi un mio vizio… c’è chi si mette le dita nel naso, io ho un approccio alla dispnea “volemico-centrica” … lo so lo so, i dati in letteratura non sono chiari (o forse non sono ancora chiari) ma è un mio vizio, perdonatemi. Meglio di mettersi le dita nel naso…
Vi presento un paio di lavori su vena cava ed eco delle giugulari che magari mi evitano la crocifissione pubblica. Miller e colleghi, in un lavoro che ho amato sin da quando l’ho letto per la prima volta, hanno valutato sensibilità e specificità degli indici di collasso respiratorio della VCI (Caval Index) nella diagnosi di scompenso cardiaco. Questo studio innanzitutto ha il pregio di avere evidenziato una differenza statisticamente significativa tra il diametro medio espiratorio della VCI nel gruppo No-AHF rispetto al gruppo AHF (1,63 vs 2.13 cm, p < .001) a testimonianza di una maggiore “centralizzazione” del circolo, se non vogliamo proprio parlare di ipervolemia assoluta, nei pazienti AHF. Anche il Caval Index (indice delle escursioni respiratorie della VCI) ovviamente presentava delle grosse differenze (59 vs 22%, p < .001) nei due gruppi.
Gli autori hanno avuto la bellissima idea di valutare sensibilità e specificità del Caval Index a vari cut-off calcolando poi loro stessi gli LR. Il rapporto di verosimiglianza più alto era presente con un caval index inferiore al 10% (praticamente modulazione respiratoria assente); un LR+ 12.3 permette di modificare il nostro percorso diagnostico anche in pazienti a bassa probabilità pre-test. La presenza di un caval index < 50% possedeva LR neg 0.09.
Anche Blehar e collaboratori hanno valutato l’utilità della valutazione della VCI al fine di identificare i pazienti dispnoici per riacutizzazione di scompenso cardiaco in area di emergenza. Lo studio sebbene pubblicato su AJEM è piccolino per dimensioni avendo un campione costituito da soli 46 pazienti con dispnea acuta. La misurazione della VCI veniva effettuata con paziente posizionato a 45° inferiormente allo sbocco delle vene sovra-epatiche. Il caval index medio del gruppo AHF era 9.6% contro 46% del gruppo noAHF (p < .0001). Un cut-off del caval index del 15% presentava un sensibilità del 92%, una specificità del 84%, LR+ 5.75, LR- 0.09 per la diagnosi finale di AHF. Il diametro assoluto della VCI misurato in espirio non era però diagnostico (AHF 18 mm vs noAHF 15 mm, p = 0.84). Da una analisi secondaria del campione si evidenziò che nessuno dei pazienti con AHF aveva un diametro della VCI <10mm. L’esclusione dei pazienti con diametro della vena cava inferiore < 10 mm aumentava la specificità del Caval index <15% fin su al 91%. Pecca dello studio, a mio avviso, è la mancanza dei parametri vitali e emoganalitici misurati all’ingresso. Codici gialli o codici verdi? Ribadisco che è necessaria una fotografia chiara del campione analizzato.
E se non riesco a visualizzare la vena cava inferiore per adipe o meteorismo? Che faccio? Scappo, mi do alla macchia o mi sparo? Niente di tutto ciò, dai un’occhiata alle giugulari… In letteratura non sono moltissimi gli studi che hanno valutato l’analisi ecografica delle giugulari per la diagnostica differenziale della dispnea e per la stima della PVC. A chi volesse avere un sunto delle varie metodiche consiglio questo lavoro uscito su JASE.
In questa sede però vorrei ricordare i lavori di Jang sulla valutazione ecografica delle giugulari che mostrano una estrema sensibilità nel riconoscere lo scompenso cardiaco al prezzo di una scarsissima specificità. Quello che ci aspettavamo insomma. Citiamo solo l’ultimo lavoro in cui la presenza ecografica di giugulari distese a più di 8 cm dal punto 0 (atrio destro) in pazienti con BNP >500 pg/ml presentava una sensibilità del 100%, specificità del 43%, LR neg 0 e LR pos 1.75 per la diagnosi finale di scompenso cardiaco acuto. Questo è uno strumento molto interessante ed utile nella valutazione della dispnea, soprattutto, quando non si riesce a visualizzare la VCI.
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21515878
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20951530
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15278091
Logeart e colleghi hanno valutato sensibilità e specificità per scompenso cardiaco acuto di frazione d’eiezione ridotta e pattern diastolico restrittivo in pazienti dispnoici che accedevano in Area di Emergenza. Sebbene non siano descritte chiaramente le caratteristiche dei pazienti all’ingresso, gli autori tengono a precisare che il 90% dei pazienti era stato trattato in terapia intensiva e che il 21% aveva successivamente richiesto ventilazione meccanica, di sicuro non erano codici verdi. La presenza di disfunzione sistolica, definita come LVEF <45%, venne ritrovata in 75 pazienti con scompenso cardiaco (65%) ed in 7 con altre cause di dispnea (14%). Fu valutata in ogni paziente la funzione diastolica e, come ci si aspettava, il rapporto E/A (principale parametro di valutazione della funzione diastolica) presentava un rapporto nettamente maggiore nel gruppo scompenso cardiaco (compatibile con maggiori pressioni di riempimento ventricolare sinitro). Il deceleration time (DT), altro indice di funzione diastolica, presentava dei valori nettamente inferiori nel gruppo HF.
La presenza di un vero e proprio pattern diastolico restrittivo (E/A > 2, DT < 160ms) era evidenziabile nell’89% dei pazienti con scompenso cardiaco e solo nel 7% dei pazienti con altre cause di dispnea. Infine non era presente nessuna differenza nella stima ecocardiografica della pressione polmonare. La frazione d’eiezione secondo gli autori aveva uno scarso potere predittivo. Utilizzando una LVEF < 45% sono il 71% dei pazienti poteva essere correttamente classificato. Molto meglio si comportava la ricerca del pattern restrittivo che presentava una accuratezza diagnostica del 91%, risultato che non era influenzato dalla LVEF.
Sebbene abbia trovato così interessante da volerlo condividere il dato “PATTERN RESTRITTIVO” capisco che prevede un’ecocardiografia di secondo-terzo livello e di conseguenza la fruibilità per tutti di questo dato probabilmente viene a mancare. Il mio consiglio comunque è di non valutare la funzione diastolica o le pressioni polmonari in urgenza ma di valutare sempre i segni indiretti come atrio sinistro (un po’ l’emoglobina glicata delle pressioni di riempimento ventricolare) e le sezioni destre (compresa vena cava, fa parte del circuito tanto quanto l’arteria polmonare).
- Può la valutazione integrata (cuore-polmoni-vena cava) darci qualcosa in più?
Vi presento due studi: uno di Anderson e l’altro di Kajimoto.
Lo studio di Anderson presenta dei dati interessanti ma al tempo stesso molto strani. Tutte le metodiche studiate presentano una sensibilità molto bassa per se o in combinazione, in un ordine di grandezza assolutamente diverso da quanto presente in letteratura precedentemente. I dati sono riassunti nella tabella di seguito.
Sorprendente come in questo studio l’efficacia della pura ecografia toracica sia ridimensionata rispetto a quanto presente nelle recente metanalisi. L’utilizzo combinato di due o tre metodiche faceva salire vertiginosamente specificità ed LR pos dell’esame (fino ad infinito per tutte e tre le metodiche combinate). Le caratteristiche dei pazienti dello studio di Anderson però non sono ben chiare. Sono riportati sintomi come l’ortopnea (50%) e la dispnea parossistica notturna (19%) o segni come rantoli (36%), sibili (25%), distensione delle giugulari (22%) ed edemi periferici (48%). Nessun dato su PA, FR, SpO2 ed EGA che avrebbero delineato meglio il campione, campione che comunque si presenta giovane per i nostri canoni con una età media di 62 anni. Purtroppo questi dati non ci permettono di capire se erano codici verdi o gialli.
Infine analizziamo lo studio di Kajimoto pubblicato su Cardiovascular Ultrasound, giornale che adoro. Il protocollo dello studio ecografico, che prevedeva l’utilizzo del mitico V-SCAN, iniziava con la valutazione sonografica del polmone terminava con la valutazione della VCI passando per una rapida valutazione delle camere cardiache (frazione d’eiezione, insufficienza mitralica da moderata a severa, insufficienza tricuspidale moderata a severa). I dati presentanti sono invece in perfetto accordo con quello che è la mia esperienza personale e parte della letteratura.
Così come negli studi precedenti, della frazione d’eiezione da sola ci facciamo ben poco, sia per confermare che per escludere. Interessante è il ruolo del collapse index della VCI (IVC-CI) e della valutazione di insufficienza mitralica e tricuspidale. In accordo con la letteratura generale anche qui l’ecografia toracica sembrerebbe essere il miglior singolo metodo per escludere lo scompenso cardiaco. Grosso limite dello studio di Kajimoto è l’assenza delle caratteristiche di base di questi pazienti. Non sappiamo nulla sui parametri EGA e parametri vitali del campione. Solito discorso: codici gialli o codici verdi?
- CONSIDERAZIONI PERSONALI
Considerazioni… Allora… nonostante la mole di letteratura che supporta l’ecografia toracica, piccoli studi suggeriscono che in alcuni contesti clinici questa può non essere sufficiente ad effettuare una corretta diagnosi differenziale con un ragionevole margine di sicurezza. La mia opinione personale è che a fronte di una estrema sensibilità (facilissimo il rule out AHF grazie ad un LR neg praticamente pari a zero) manchi in alcuni casi di un certo livello di specificità. Non ho difficoltà ad ammettere di aver avuto difficoltà serie nella diagnostica differenziale in pazienti gravemente dispnoici con pattern B simmetrico per linfangite carcinomatosa, polmonite interstiziale e riacutizzazioni di interstiziopatie polmonari. Come me la sono cavata? Con l’analisi della vena cava o delle giugulari in primis e solo dopo con la valutazione delle camere cardiache. Credo che la possibilità di poter filtrare le informazioni ottenute da clinica (visita ed anamnesi), ECG ed EGA non solo attraverso il singolo filtro dell’ecotorace, ma attraverso ben altri due filtri, vena cava ed un ecocardiogramma base (per così dire terra terra) non possa che migliorare la nostra accuratezza diagnostica e la gestione del paziente dispnoico in area di emergenza. La valutazione a tre parametri mi consente inoltre a parità di diagnosi finale (scompenso cardiaco acuto, edema polmonare) di ottenere una migliore valutazione globale ed emodinamica del paziente che avrà poi dei risvolti terapeutici. Un paziente con EPA iperteso, frazione d’eiezione e VCI di normale calibro non può ricevere lo stesso trattamento di un paziente con pressione arteriosa ai limiti inferiori, cardiomiopatia dilatativa complicata da insufficienza mitralica severa, cava dilatata e senza modulazione respiratoria, edemoni e versamenti pleurici bilaterali.
Articolo molto interessante, grazie!
Una domanda: studi che confrontino l’eco con un rx torace? L’ecografia è sempre e comunque operatore-dipendente, l’Rx spesso più facilmente eseguibile ed interpretabile. Perfettamente d’accordo invece sull’aiutarsi con un’analisi clinica/ecografica dei volumi (V. giugulare, riflesso epato-giugulare)!
Allora….innanzitutto complimenti Mauro….per la completezza, la chiarezza nell’esposizione (peraltro mai noiosa) e per la ricchezza di dati bibliografici che hai anche semplificato a beneficio di tutti noi (prometto di andare a leggere almeno un paio di lavori che hai citato e che ho già annotato 😉 ).
Ciò che dici in conclusione è profondamente giusto….a volte non è sufficiente l’ecografia del torace….a volte però non costa niente perdere 30 secondi e mettere una sonda sulle spalle del paziente…e giacchè ci troviamo un’occhiata alla Vena Cava si potrebbe anche dare (o alle Giugulari, gradita sorpresa che non tarderò a comprovare condividendo la teoria volumecentrica 🙂 )….io personalmente sono leggermente indietro sull’Ecocardiografia ma mi pare ovvio che più dati abbiamo e non dico più facile ma meno difficile sarà arrivare ad una diagnosi….e condividerai con me che con una valutazione di questo tipo almeno 8 dispnee su 10 le si “etichetta” con discreta accuratezza….
In fin dei conti…..siamo clinici non ecografisti (un tempo qualcuno diceva “Siamo uomini non caporali!”) e il POCUS ci serve a fini diagnostici non speculativi….pensa a quando invece del POCUS elaboreremo la diagnosi sulla base dell’ EXPECTOPATRONUM (su qualche lettera dell’acronimo ci siamo….il resto dobbiamo ancora lavorarci….ma il tempo è dalla nostra e magari fra un pò le sonde lavoreranno da sole a comando vocale)….scherzi a parte…..poche cose, ben fatte, mirate e con criterio….non credo serva altro….
Grande Mauro….un abbraccio 😉
Ciao Valentina grazie mille dell’apprezzamento. Studi che confrontano Rx torace con Eco torace ne esistono molti ed in vari ambiti: PNX, edema polmonare, polmonite.
L’ecotorace sembrerebbe essere superiore su tutti gli ambiti, soprattutto nei pazienti allettati, tanto che molti autori ritengono, a ragione od a torto, che la metodica di confronto dell’ecotorace sia la TC del torace. Io non sono molto d’accordo a contrapporre le due metodiche (eco ed Rx) in quanto le ritengo molto spesso complementari. Il radiogramma del torace ha una panoramicità che l’eco si sogna. Spesso mi è capitato di riuscire ad interpretare i dati ecografici solo alla luce del radiogramma del torace.
Shane! Che gran bel commento! Grazie! Hai detto tutto tu nel tuo commento! Perdere 30 secondi in più per visualizzare una vena cava o le giugulari possono migliorare nettamente la nostra percezione tridimensionale della dispnea… quest’articolo rappresenta un pò la summa del mio pensiero, un distillato di quello che faccio. L’eco non ha cambiato il mio modo di gestire il paziente perchè sono nato e cresciuto con l’eco, spesso senza l’eco sono timoroso (a ragione) nel fare terapie eroiche. Ma quando hai effettuato una valutazione eco3D del paziente niente ti può fermare. Capitano pazienti difficili che non rispondono alla prima terapia (il primo carico di diuretico, il primo riempimento volemico, la NIV iniziale) ed essere riusciti a mettere la giusta etichetta al paziente ti permette di perseverare in quello che stai facendo. L’eco ti da anche la forza di cambiare il percorso terapeutico di 180° quando ti accorgi che quello che era stato fatto prima si basava su dati clinici che oggi andrebbero usati con cautela (lingua asciutta, edemi declivi, rantoli).
Come sai sono di notte. Sono stato chiamato per una paziente settica con polmonite, 160 bpm in tachi sinusale e 150 bpm, peggioramento della funzione renale negli ultimi giorni. Riempio o non riempio? 3 giorni fa ecocardiogramma normale… ora 15% di EF ed apical balooning…
Fatti non parole… aspettando l’EXPECTOPATRONUM…
Complimenti per il post . Rimango scettico sull’utilizzo della vena cava inferiore nell’approccio alla dispnea e nella gestione dei fluidi perché si basa sul dogma che la CVP rifletta il volume intravascolare. Dogma smentito dalla evidenze. Ci sono una pletora di lavori e reviews su tale argomento. L’ AUC della CVP nel predire la fluid responsiveness si aggira intorno ad un valore poco al di sopra 0,5 . In sostanza è come lanciare una monetina. Inoltre nel paziente in ventilazione invasiva e non invasiva è inutilizzabile( a volte si inizia la NIV o la invasiva prima dell’ecografia).Nell’approccio alla dispnea inoltre conta anche la valutazione dell’apparato valvolare che può essere fatta da chi dispone di una maggiore dimestichezza con l’ecocardiografia e che fornisce informazioni essenziali ( nella fibrosi polmonare ad esempio mi aspetto una ipertensione polmonare che rende inservibile la cava come strumento di valutazione del pieno- vuoto, certo è che se trovo una cava < di 1 cm è difficile non presupporre che sia vuoto, ma ahimè capita raramente )
Ciao Bino, grazie per il commento e per il gradimento. Credo, prendila come opinione personale, che in letteratura si sia fatta una grossa confusione tra quello che è inquadramento diagnostico di un paziente e la fluid responsiveness. Ovviamente usciamo un pelino da quello che è l’obiettivo del post. La vena cava, con i suoi molti limiti, ha la capacità, insieme alla clinica, di permetterti di dire che quel paziente ha uno shock settico piuttosto che cardiogeno (quindi inquadramento diagnostico), e poi quel paziente risponderà ad una corretta terapia con fluidi una volta inquadrato come shock settico solo Iddio lo può sapere (fluid responsiveness). Nessuno può sapere a priori se quel paziente necessita solo di riempimento o una volta riempito sarà anche necessaria l’amina. Ribadisco è solo una mia opinione. Per quanto riguarda la BPCO la presenza di una ipertensione polmonare severa è un evento molto raro (moooolto sopravvalutato rispetto alla reale presenza, la letteratura è piena di lavori). Nella fibrosi polmonare, serie di pz in lista trapianto presentano una prevalenza di ipertensione polmonare severa che si aggira intorno al 30%. Nei pazienti non in lista trapianto probabilmente la prevalenza è più bassa. Non tutti quelli che hanno ipertensione polmonare severa avranno VCI dilatata (non conosco dati in letteratura però). Il paziente che non vorresti mai avere è quello con fibrosi polmonare, severa ipertensione polmonare, severa insufficienza tricuspidale, vena cava e giugulari dilatate anche in fase di compenso emodinamico…parti con una probabilità pretest uguale di embolia polmonare, scompenso cardiaco, polmonite.. e finisci con l’essere più confuso di prima…