lunedì 11 Dicembre 2023

I diritti del morente.. in pronto soccorso.

 

Negli ultimi decenni sempre maggiore attenzione è stata posta sul superamento del rapporto paternalistico e sull’affermarsi del diritto all’autodeterminazione del paziente.

Appare inoltre ormai chiaro che l’apprendimento delle competenze necessarie per assicurare una corretta relazione medico paziente non può essere lasciato alla spontaneità del singolo e all’imitazione dei colleghi più anziani. Recentemente alcune facoltà di Medicina italiane hanno iniziato ad affrontare tali temi all’interno del percorso di studi. Attualmente tale impegno risulta tuttavia insufficiente, e viene in alcune realtà colmato dagli studenti stessi, attraverso convegni e corsi sulla medicina palliativa e sulla comunicazione delle malattie a prognosi infausta (SISM – segretariato italiano studenti di medicina. Alcuni esempi: 1, 2, 3 ) In prima linea per la diffusione di una medicina “sobria, rispettosa, giusta” troviamo l’associazione Slow Medicine.

Un tema tanto delicato quanto fondamentale è l’assistenza al morente.

Un contributo fondamentale è stato fornito dalla “Carta dei diritti dei morenti“, elaborata presso il Comitato Etico presso la Fondazione Floriani, nel maggio del 1999. Come recitano gli stessi autori: “Lo scopo è sviluppare e diffondere una cultura e una prassi delle cure centrata sui bisogni e sui diritti del malato, anzitutto sul suo diritto all’autodeterminazione.”

 

carta

 

Il comitato denuncia la persistenza del paternalismo medico che “si accentua, grazie anche alla complicità dei famigliari, che, spinti da un intento protettivo, chiedono che il loro congiunto sia tenuto all’oscuro della reale situazione. Divenendo a loro volta i destinatari dell’informazione e i titolari delle decisioni.” Rivolgendo l’attenzione alla malattia più che al malato ne risulta una medicina poco attenta alle sofferenze del paziente prossimo alla morte.

Secondo gli autori “tale medicina ha contribuito a determinare orientamenti tipici della società contemporanea, volti ad esorcizzare la morte e a negarla come evento naturale dell’esperienza umana. Ne consegue che i diritti e la dignità di persona del morente vengono spesso violati proprio nel momento più difficile e angoscioso dell’esistenza.”  Approfondendo: “Chi è al termine della propria esistenza, infatti, da una parte, si trova a subire trattamenti invasivi e inutili volti a prolungare la sopravvivenza (il cosiddetto accanimento terapeutico), dall’altra, può anche trovarsi abbandonato e trascurato nelle sue esigenze affettive e psicologiche.” Da tale atteggiamento ne scaturisce una “sorta di separazione del malato terminale dal vivere sociale

 

I diritti del morente.. in pronto soccorso.

In un sistema sanitario ideale il paziente affetto da una patologia cronica ad esito infausto non dovrebbe morire in pronto soccorso, né trascorrervi molto tempo all’interno. Tuttavia ciò accade, poiché in tanti dei nostri pronto soccorso i pazienti stazionano per ore (in alcune realtà anche per giorni..) in ambienti disagiati, nell’attesa di un posto letto. Inoltre, nel nostro disomogeneo sistema sanitario nazionale, l’assistenza domiciliare al malato terminale non è sempre accessibile. Talvolta, invece, i familiari che hanno prospettato di far morire a casa il proprio caro decidono all’ultimo di andare in pronto soccorso, per assicurare al proprio parente una morte con meno sofferenza.

Di conseguenza l’assistenza al malato terminale è diventato un tema importante anche per il medico di pronto soccorso.

I diritti enunciati dalla carta sono tutti ovviamente condivisibili, e la loro applicazione auspicabile. Tuttavia in un ambiente spesso caotico e frenetico come il pronto soccorso si riscontrando degli impedimenti che attualmente non ne permettono la completa realizzazione?

 

pronto-soccorso-x

 

Proviamo a valutare i principi uno ad uno, soffermandoci con qualche spunto di riflessione quando emergono delle implicazioni legate al contesto del pronto soccorso.

 

1- Chi sta morendo ha diritto a essere considerato persona sino alla morte

Alcuni enunciati della carta affermano principi basilari e inderogabili, al punto da sembrare superflui e interpretabili come una “lezione non richiesta”. Tuttavia gli autori considerano utile riaffermare tali principi per richiamare  “l’attenzione sulle necessità delle persone al tramonto della loro esistenza”, denunciando la tendenza della medicina moderna a “separare il morente dal contesto del vivere sociale”, fino a considerarlo la “prova tangibile di un insopportabile fallimento terapeutico”.

Tale inderogabile e indiscutibile principio entra però in contrasto con situazioni estreme riscontrabili in alcuni pronto soccorso italiani, ove i pazienti stazionano per giorni in corridoi affollati, dove la privacy viene violata non solo per quanto riguarda le informazioni personali ma anche relativamente alla sfera della funzioni più viscerali e intime. In dipartimenti affollati con personale costretto a ritmi frenetici, ove anche il paziente critico acuto non può essere gestito al meglio, il paziente terminale rischia di trascorrere le ultime fasi della sua vita nel disagio.

 

2- Chi sta morendo ha diritto a essere informato sulle sue condizioni, se lo vuole

3- Chi sta morendo ha diritto a non essere ingannato e a ricevere risposte veritiere

Benché l’atteggiamento stia lentamente cambiando, persiste il vizio/abitudine/reato/debolezza di non informare adeguatamente il paziente circa il suo stato di salute. In particolare in ambito oncologico i termini “polipo”, “calcolo”, “cisti”,”aderenza” e “cellule impazzite” vengono ancora utilizzati come sinonimo di cancro..

Quante volte in pronto soccorso vi è capitato che il paziente da visitare venga preceduto dai parenti che vi informano che il loro familiare non è a conoscenza della propria condizione di salute?

In queste situazioni entriamo in gioco, come medici “occasionali”, in una finzione creata e mantenuta da altri. Seppur fautori dell’autodeterminazione del paziente, comunicando la verità al paziente rischieremmo di intaccare la relazione di fiducia tra il paziente e il proprio medico, nonostante questa sia fondata su una comunicazione non veritiera.

Inoltre per il medico di pronto soccorso può risultare difficile (soprattutto per la mancanza di tempo) accertare se effettivamente il malato ha precedentemente inteso rinunciare al diritto di essere informato.

Inseriti in questo contesto rischiamo inoltre di perpetrare la finzione, dovendo giustificare ad esempio al paziente la necessità di un ricovero.

 

4- Chi sta morendo ha diritto a partecipare alle decisioni che lo riguardano e al rispetto della sua volontà

La Carta dei diritti dei morenti sottolinea con determinazione che il malato terminale è ancora capace di esercitare i diritti di cui è titolare, e che tale capacità va rispettata.

 

5- Chi sta morendo ha diritto al sollievo del dolore e della sofferenza

Su tale tema si è spesa molta attenzione negli ultimi anni e, oggigiorno, il medico di pronto soccorso deve possedere le competenze necessarie per gestire i farmaci del fine vita.

La volontà collettiva di diffondere la terapia del dolore ha portato a produrre delle raccomandazioni Intersocietarie Italiane sulla gestione del dolore in emergenza.

Sul tema è coinvolto attivamente anche il nostro blog, con la sezione Cure palliative:  Cosa farebbe lei se fosse nei miei panni?Non riesce più a prendere le pastiglie di morfinaIdratazione nel fine vitaI farmaci del fine vita in pronto soccorso.

 

6- Chi sta morendo ha diritto a cure ed assistenza continue nell’ambiente desiderato

Come ampiamente ribadito nella carta, il malato terminale rimane titolare del diritto di essere informato sulle diverse possibilità di assistenza e di poter esprimere la propria preferenza.

Nella pratica clinica si tende tuttavia a ragionare su tali scelte più con i parenti che con il malato stesso.

Quando un paziente affetto da una malattia a prognosi infausta giunge in pronto soccorso non abbiamo molte possibilità di scelta: o ricovero o dimissione a domicilio. Talora il paziente giunge in pronto soccorso per l’esaurimento dei parenti che, pur in assenza di novità cliniche, sanciscono l’impossibilità di gestione a domicilio. Ciò avviene nella speranza che un ricovero possa temporaneamente sollevarli da tale carico, migliorando l’assistenza al proprio caro.

In queste situazioni il medico di pronto soccorso, pressato dalla mancanza di posti letto, si ritrova nell’arduo ruolo di dover spiegare ai parenti che il ricovero non rappresenta una soluzione definitiva e, tempo permettendo, a informare i pazienti e i familiari sulle possibili soluzioni offerte dall’azienda sanitaria locale (hospice, assistenza domiciliare, ambulatorio medicina palliativa ecc..).

 

7- Chi sta morendo ha diritto a non subire trattamenti che prolunghino il morire

Sull’argomento è da segnalare il post “Le cure di fine vita in area critica“, pubblicato sul blog Simeu.

In urgenza non sempre disponiamo di tutte le informazioni necessarie per capire se le nostre azioni potrebbero essere considerate un accanimento terapeutico.

Ricordo un caso di un paziente giunto per alterazione del sensorio che, vedendo frettolosamente le carte, era stato presentato come un paziente terminale, oncologico in fase avanzata. All’emogasanalisi aveva una ipoglicemia.. e dopo l’infusione di glucosata ci ha iniziato a raccontare che, nonostante la malattia, continuava ad andare a lavoro (è solo un piccolo aneddoto, con una diagnosi che certo non poteva essere mancata).

Sicuramente l’archiviazione digitale dei dati clinici permette attualmente al medico di pronto soccorso di venire rapidamente a conoscenze di informazioni preziose. Talvolta però questo non è sufficiente nel guidare nell’esecuzione o meno di una manovra invasiva in urgenza.

Inoltre i pazienti affetti da patologie croniche a rischio di evoluzione infausta non sempre vengono informati adeguatamente sulla storia naturale della malattia e sulle complicanze cui potranno andare incontro. Di conseguenza non hanno la possibilità di esprimere preventivamente la loro preferenza, mentre in fase acuta non disporranno delle funzioni cognitive necessarie per prendere consapevolmente una decisione.

Tutto ciò all’interno della legislazione italiana in cui non è presente una legge sulla dichiarazione anticipata di trattamento, benché la costituzione reciti il famoso “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e l’Italia abbia firmato (ma non ratificato) la Convenzione di Oviedo “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione“.

Nel contesto dell’urgenza, in mancanza di informazioni complete e di un rapporto di fiducia con i parenti, anche la medicina difensiva rischia di giocare un ruolo importante: nel dubbio fare, onde evitare ripercussioni medico-legali…

 

8- Chi sta morendo ha diritto ad esprimere le sue emozioni

9- Chi sta morendo ha diritto all’aiuto psicologico e al conforto spirituale, secondo le sue convinzioni e la sua fede

 

10- Chi sta morendo ha diritto alla vicinanza dei suoi cari

Il paziente prossimo all”exitus e i suoi cari necessiterebbero di un ambiente raccolto e sereno, possibilmente in una stanza dedicata ed evitando una superflua medicalizzazione dell’ambiente (come i monitor che suonano in continuazione). La possibilità di offrire tale situazione dipende però dall’organizzazione interna della struttura. Nel migliore dei casi si potrebbe occupare un posto letto a reparto o una stanza del pronto soccorso, ma sappiamo bene come tali possibilità siano spesso precluse anche ai pazienti non terminali. Di conseguenza il rischio è che il paziente muoia in un ambiente caotico e a lui estraneo, senza l’assistenza dei propri cari.

 

11- Chi sta morendo ha diritto a non morire nell’isolamento e in solitudine

12- Chi sta morendo ha diritto a morire in pace e con dignità

 

 

 

Colosseo

 

 

Tommaso Grandi
Tommaso Grandi
Pronto Soccorso e Medicina d'Urgenza Campus Bio-Medico di Roma - Specialista in Medicina d'Emergenza-Urgenza @TommasoGrandi84

2 Commenti

  1. Bellissimo post……oramai é diventata routine gestire nei nostri PS il fine vita. Situazione brutta in cui ciascun medico di guardia é combattuto fra l’occupare l’eventuale unico posto disponibile in ospedale o tenere il paziente in PS, con tutte le accortezze imparate nei Corsi SAU e seguendo le ultime raccomandazioni Siiarti / Simeu……ma, c’è purtroppo sempre un ma, per nostro padre /fratello/figlio faremmo lo stesso? Non so, personalmente quando riesco cerco di trovare in PS la logistica più dignitosa possibile. Scusatemi la lunghezza è la poca scientificità del commento, ma purtroppo per ben 2 volte (padre e madre) mi sono trovato nella doppia veste di figlio e di medico di guardia…..vi giuro che é terribile

  2. Bel post…davvero si presta ad alcune riflessioni
    in quanto oncologa vivo quotidianamente realtà di questo tipo, dove nel momento di sospensione delle cure “attive” contro il cancro, ci si trova davanti alla impossibilità di potersi prendere cura del paziente e dei suoi cari in maniera adeguata..questo perchè i posti in hospice e strutture specifiche sono sempre meno di quelli di cui avresti bisogno…perchè la gestione di tutte le necessità di un paziente morente, dal controllo del dolore e dei sintomi maggiori al supporto psicologico sono davvero impegnative anche per il nucleo famigliare più numeroso e volenteroso…perchè il paziente stesso non riesce a rassegnarsi a non avere più possibilità di farcela..
    Esistono medici, infermieri e psicologi splendidi che fanno del loro meglio per gestire a casa gli ultimi giorni di pazienti terminali e di regalare loro una buona morte….ma coloro che non hanno famiglia o caregiver non possono essere protetti al domicilio…
    Sono d’accordo che la comunicazione deve essere diretta e precisa , senza menzogne o pillole addolcite…ma sono anche certa che l’eccessiva particolarizzazione della informazione a volte può essere smussata..e che mai deve essere tolta al paziente la speranza..perchè se questa non c’è l’angoscia prevale e tutti gli intenti di alleviare le sofferenze fisiche degli ultimi giorni di vita diventano vani…ed il paziente muore soffrendo..
    Sono assolutamente d’accordo che il pronto soccorso non è il posto giusto per vivere queste situazioni..con i ritmi frenetici e i pochi spazi disponibili..le barelle e il sovraffollamento…e proprio per questo ringrazio tutti i colleghi di pronto soccorso che si sforzano di proteggere i pazienti terminali e di regalare loro la dignità ed il sorriso di cui hanno bisogno.

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