Introduzione
La gestione del dolore nella sindrome coronarica acuta (SCA) è una componente fondamentale del trattamento, non solo per migliorare il comfort del paziente, ma anche per ridurre l’attivazione simpatica indotta dal dolore, che può incrementare il lavoro cardiaco e il consumo di ossigeno miocardico.
Morfina
Negli anni, la morfina è stata il cardine del trattamento analgesico, grazie alle sue potenti proprietà analgesiche e ansiolitiche. Tuttavia, la sua somministrazione è diventata oggetto di dibattito alla luce di evidenze emergenti che ne mettono in discussione la sicurezza e l’efficacia in questo contesto clinico.
🧩 Uno dei problemi principali associati alla morfina riguarda il possibile ritardo nell’attività degli agenti antiaggreganti orali, fondamentali nella gestione della sindrome coronarica acuta. Uno studio osservazionale chiave, il registro “CRUSADE”, ha mostrato come i pazienti trattati con morfina abbiano un rischio significativamente più elevato di complicanze ischemiche maggiori, suggerendo che il farmaco possa interferire con l’assorbimento di agenti antiaggreganti come clopidogrel e ticagrelor.
Questo ritardo nell’azione potrebbe influire negativamente sulla riperfusione miocardica, aumentando il rischio di eventi avversi maggiori. Inoltre, dati recenti indicano che la morfina potrebbe associarsi a un aumento della mortalità ospedaliera nei pazienti con SCA, anche se l’associazione rimane oggetto di discussione.
💉 Oltre ai suoi effetti farmacologici, la morfina può provocare complicanze emodinamiche, come ipotensione e bradicardia, che possono aggravare la gestione di pazienti già emodinamicamente instabili. Queste problematiche hanno portato a un ripensamento sull’uso sistematico della morfina nella SCA.
Nitrati
Alcuni clinici hanno proposto alternative come i nitrati, che possono alleviare il dolore ischemico riducendo il carico di lavoro cardiaco e migliorando la perfusione miocardica, sebbene l’uso dei nitrati debba essere attentamente bilanciato in base al profilo emodinamico del paziente.
Analgesici non oppioidi
💊 Un altro approccio che sta emergendo nella letteratura è l’utilizzo di analgesici non oppioidi, come il paracetamolo, che presenta un profilo di sicurezza più favorevole, soprattutto nei pazienti ad alto rischio di effetti collaterali da oppioidi
Un’opzione interessante è anche la lidocaina, utilizzata per via endovenosa, che potrebbe avere effetti analgesici diretti e proprietà antiaritmiche utili nei pazienti con dolore ischemico severo. Sebbene la lidocaina sia tradizionalmente impiegata nella gestione delle aritmie ventricolari, alcuni studi preliminari suggeriscono che potrebbe ridurre il dolore ischemico senza gli effetti avversi tipici degli oppioidi.
In questo post esploreremo lo stato dell’arte della gestione del dolore nella sindrome coronarica acuta, mettendo in evidenza le principali controversie legate ai trattamenti tradizionali e analizzando criticamente i dati più recenti. Ad esempio, lo studio “CRUSADE” e altre ricerche affini ci offrono spunti importanti per ridefinire il ruolo della morfina e per valutare l’utilità di alternative terapeutiche.
In un campo in cui ogni decisione clinica può avere implicazioni significative per la sopravvivenza del paziente, è essenziale mantenere una mente aperta e adottare un approccio basato sull’evidenza. Questo è il momento di riconsiderare le opzioni terapeutiche tradizionali e di esplorare nuove strade per migliorare la cura dei pazienti con sindrome coronarica acuta. 🧐

Gli antiaggreganti piastrinici nella sindrome coronarica acuta: una doverosa digressione
💡 Un equilibrio tra protezione e rischio
Nella gestione della sindrome coronarica acuta (SCA), la terapia antiaggregante riveste un ruolo chiave per prevenire eventi ischemici come l’infarto miocardico e la trombosi dello stent. L’azione combinata dell’aspirina e degli inibitori del recettore P2Y12, nota come doppia terapia antiaggregante (DAPT), rappresenta lo standard terapeutico sia nei pazienti trattati con intervento coronarico percutaneo (PCI) che in quelli gestiti farmacologicamente.
🚀 Dai primi passi a oggi: un’evoluzione continua
La storia degli antiaggreganti P2Y12 inizia con la ticlopidina, presto sostituita dal clopidogrel per la sua maggiore efficacia e sicurezza. Tuttavia, circa il 15-40% dei pazienti trattati con clopidogrel presenta un’alta reattività piastrinica residua (HPR), aumentando il rischio di eventi trombotici. Per superare questo limite, sono stati sviluppati il prasugrel e il ticagrelor, più potenti e rapidi nell’azione, con una minore variabilità individuale.
⚡ Velocità ed efficacia: il fattore tempo
Nel contesto acuto della SCA, il tempo è cruciale. Il clopidogrel richiede fino a 4 ore per ottenere un’inibizione piastrinica efficace, mentre il prasugrel e il ticagrelor agiscono entro 2 ore. Tuttavia, nei pazienti con STEMI, questi tempi possono allungarsi a causa dell’instabilità emodinamica e dell’assorbimento intestinale rallentato. Qui entra in gioco il cangrelor, un inibitore P2Y12 somministrabile per via endovenosa che raggiunge un effetto antiaggregante quasi completo in soli 4 minuti. La sua breve emivita (meno di 9 minuti) lo rende ideale durante la PCI, soprattutto nei pazienti ad alto rischio o quando l’effetto dei farmaci orali è ritardato.
⚙️ Come funzionano gli inibitori P2Y12?
Gli inibitori P2Y12 bloccano il legame dell’adenosina difosfato (ADP) al recettore P2Y12 delle piastrine, impedendo l’attivazione e l’aggregazione piastrinica. Il clopidogrel e il prasugrel si legano irreversibilmente al recettore, mentre il ticagrelor e il cangrelor agiscono in modo reversibile. Questa differenza si riflette nei tempi di recupero della funzione piastrinica: circa 4-5 giorni dopo l’interruzione del ticagrelor, contro i 7-10 giorni necessari per il clopidogrel e il prasugrel.

L’uso degli oppioidi nella SCA: Morfina e Fentanil
💊 Morfina: Un cardine storico, ma ancora giustificato?
La morfina è stata a lungo considerata uno degli analgesici di riferimento nella gestione del dolore nei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA). L’American Heart Association (AHA) e l’American College of Cardiology (ACC) hanno per anni sostenuto il suo utilizzo nei pazienti con SCA e dolore toracico persistente, nonostante la terapia anti-ischemica massimale. Tuttavia, studi più recenti hanno evidenziato possibili effetti collaterali e interazioni farmacologiche sfavorevoli, portando a una revisione delle raccomandazioni.
🔬 Meccanismi d’azione e benefici proposti
La morfina agisce come agonista dei recettori μ-oppioidi, riducendo la percezione del dolore e abbassando il tono simpatico. Questo effetto può portare a una riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, diminuendo il consumo di ossigeno del miocardio. Inoltre, la morfina presenta effetti venodilatatori che riducono il precarico cardiaco e potenzialmente migliorano l’ossigenazione del miocardio ischemico.
Un altro effetto importante della morfina è il rilascio di istamina dai mastociti, che può determinare una vasodilatazione sistemica e ipotensione. Questo fenomeno è particolarmente rilevante nei pazienti con instabilità emodinamica, nei quali un’ulteriore riduzione della pressione arteriosa potrebbe compromettere la perfusione d’organo.
Il rilascio di istamina può anche favorire broncospasmo in soggetti predisposti, rendendo la morfina una scelta meno indicata nei pazienti con patologie respiratorie concomitanti. Inoltre, è necessario prestare attenzione al suo effetto vagotonico, particolarmente nei pazienti con occlusione miocardica acuta (OMI) inferiore o posteriore, dove il rischio di bradicardia e blocchi atrioventricolari è più elevato.
⚖️ Pro e contro della morfina
La morfina rimane un analgesico efficace con un buon potenziale di ridurre l’ansia e migliorare il comfort dei pazienti. Il suo effetto venodilatatorio può migliorare la perfusione cardiaca e, in alcuni casi, può avere un effetto cardioprotettivo grazie alla riduzione dello stress ossidativo miocardico.
Tuttavia, la morfina ha anche degli svantaggi. Può rallentare la motilità intestinale, ritardando l’assorbimento degli antiaggreganti piastrinici P2Y12, come evidenziato dallo studio IMPRESSION. Inoltre, l’uso di morfina è stato associato a un aumento del rischio di mortalità in pazienti con NSTEMI, come riportato dal registro CRUSADE. Il suo impatto emodinamico negativo in pazienti con instabilità emodinamica può essere problematico, e il rilascio di istamina può causare ipotensione marcata e broncospasmo nei soggetti predisposti.
🤔 Fentanil: Un’alternativa più sicura?
Il fentanil, un oppioide sintetico, presenta una maggiore liposolubilità e una emivita più breve rispetto alla morfina. Questo si traduce in un’analgesia più rapida e titolabile, con un minore impatto sulla pressione arteriosa.
⚖️ Pro e contro del fentanil
Il fentanil ha il vantaggio di una rapida insorgenza dell’analgesia, un minor rilascio di istamina rispetto alla morfina e un impatto minore sulla motilità gastrointestinale. Tuttavia, uno degli svantaggi del fentanil è la possibilità di rigidità toracica in caso di somministrazione rapida. Inoltre, può interferire con l’assorbimento degli inibitori P2Y12, come evidenziato dallo studio PACIFY.
📊 Fino ad oggi quindi, l’utilizzo degli oppioidi nella SCA rimane un argomento di discussione aperto. La crescente evidenza dei loro effetti avversi suggerisce un approccio più selettivo e personalizzato. L’uso di analgesici non oppioidi o strategie alternative potrebbe rappresentare una valida alternativa in un’ottica di medicina personalizzata.
Terapie alternative per il dolore nella sindrome coronarica acuta
💡 Oltre gli oppioidi: nuove strade per il controllo del dolore
In base a quanto ci siamo appena detti, si è avvertita la necessità di esplorare nuove strategie terapeutiche. Molte di queste soluzioni presentano tuttavia limitazioni pratiche, soprattutto nel contesto pre-ospedaliero
🩹 Il vecchio caro…Paracetamolo!
L’acetaminofene, sia per via orale che endovenosa, è una delle alternative più promettenti. Studi come l’ON-TIME 3 hanno dimostrato che nei pazienti trattati con acetaminofene si registrano concentrazioni plasmatiche più elevate di ticagrelor rispetto a quelli trattati con fentanyl, suggerendo un minore impatto sull’assorbimento degli antiaggreganti. Tuttavia, il trial SCALDOL II ha evidenziato che l’associazione di ossido di azoto/ossigeno con acetaminofene EV è risultata meno efficace della morfina nel controllo del dolore da STEMI. Pertanto, i risultati precedenti sull’acetaminofene sono stati messi in dubbio e saranno necessari nuovi studi per confermarne l’efficacia. Al momento, il suo utilizzo può essere considerato nei pazienti stabili con dolore da lieve a moderato.
💨 Protossido di Azoto (N2O) e 🌬️ Metossiflurano Inalato
Il protossido di azoto e il metossiflurano offrono un sollievo rapido e sono generalmente ben tollerati, ma è utile comprendere meglio i loro meccanismi d’azione. Il protossido di azoto agisce come antagonista dei recettori NMDA, riducendo la trasmissione del dolore nel sistema nervoso centrale, mentre il metossiflurano si lega ai recettori GABA e modula i canali ionici, producendo effetti analgesici e sedativi. Tuttavia, l’applicazione pratica di entrambi nel contesto pre-ospedaliero è complessa a causa di difficoltà logistiche. Inoltre, i dati disponibili sull’interazione con gli inibitori P2Y12 sono limitati, rendendoli opzioni meno praticabili per l’uso routinario.
🧩 **Procinetici: Metoclopramide **
Questo farmaco ha mostrato un aumento delle concentrazioni plasmatiche di ticagrelor entro la prima ora dopo la somministrazione di morfina. Tuttavia, i risultati sono stati modesti e il suo uso è limitato dai possibili effetti collaterali, come le aritmie cardiache.

La Lidocaina: Applicazioni nella sindrome coronarica acuta
💉 La lidocaina è un farmaco appartenente alla classe degli anestetici locali e degli antiaritmici di classe Ib. Come anestetico, agisce bloccando i canali del sodio voltaggio-dipendenti, riducendo la trasmissione degli impulsi nervosi e quindi la percezione del dolore. Come antiaritmico, agisce bloccando i canali del sodio voltaggio-dipendenti di tipo rapido presenti nelle fibre di Purkinje e nel miocardio ventricolare. Questa azione stabilizza la membrana cellulare, riducendo la durata del potenziale d’azione e la velocità di conduzione. Ciò limita l’eccitabilità miocardica e interrompe i circuiti di rientro, rendendola efficace nel trattamento delle aritmie ventricolari come tachicardie ventricolari e extrasistoli.
La lidocaina presenta una selettività maggiore per i tessuti ischemici e depolarizzati, caratteristica che la rende particolarmente utile nei contesti di ischemia miocardica acuta, dove contribuisce a prevenire la degenerazione delle aritmie in fibrillazione ventricolare. Inoltre, la sua rapida insorgenza d’azione e il breve tempo di emivita ne facilitano l’uso in situazioni acute, consentendo un controllo tempestivo senza effetti prolungati una volta interrotta la somministrazione. Inoltre, la lidocaina modula la percezione del dolore anche attraverso l’inibizione dei recettori NMDA, contribuendo a prevenire l’iperalgesia secondaria e riducendo la sensibilizzazione centrale.
📚 Studi come il LOCAL trial hanno evidenziato la sua efficacia nel dolore ischemico, dimostrando un buon profilo di sicurezza anche nei pazienti con malattia coronarica. L’interesse per l’uso della lidocaina nella sindrome coronarica acuta (SCA) deriva dal suo duplice meccanismo d’azione come analgesico e stabilizzante della membrana miocardica.
Rispetto agli oppioidi, la lidocaina non interferisce con l’assorbimento degli antiaggreganti orali come il ticagrelor, evitando ritardi nell’effetto antiaggregante, come evidenziato nel trial LOCAL. Inoltre, il trial AVOID-2 ha confrontato la lidocaina con il fentanyl nel trattamento del dolore ischemico pre-ospedaliero nei pazienti con STEMI, mostrando una minore efficacia analgesica, ma una migliore tollerabilità, con meno effetti collaterali come nausea e vomito. La descrizione di questi studi sottolinea il potenziale della lidocaina come opzione terapeutica per la gestione del dolore ischemico, combinando benefici analgesici e antiaritmici senza compromettere l’efficacia dei farmaci antiaggreganti.
🚑 Dal punto di vista pratico, la lidocaina potrebbe rivelarsi particolarmente utile nei pazienti con occlusione miocardica acuta (OMI) severa, caratterizzata da instabilità emodinamica e dolore intenso, in cui l’uso della morfina potrebbe compromettere ulteriormente l’emodinamica, senza offrire una protezione adeguata contro aritmie ventricolari come tachicardia ventricolare o fibrillazione ventricolare.
In questi casi, l’infusione di lidocaina potrebbe controllare il dolore e stabilizzare elettricamente il miocardio, riducendo il rischio di aritmie potenzialmente fatali. Ad esempio, in un paziente con OMI trasportato per PCI, l’infusione pre-ospedaliera di lidocaina potrebbe garantire un sollievo rapido dal dolore, senza compromettere l’assorbimento del ticagrelor, e offrire contemporaneamente una stabilizzazione elettrica del miocardio.
Nei pazienti con OMI che manifestano aritmie ventricolari come extrasistoli frequenti, la lidocaina potrebbe risultare particolarmente indicata per il suo duplice effetto analgesico e antiaritmico, contribuendo a migliorare la stabilità emodinamica durante il trasporto e il trattamento iniziale.
💊 Un possibile protocollo terapeutico potrebbe prevedere un’infusione continua di lidocaina a una velocità di 1-2 mg/Kg/h, adattando la dose alla risposta clinica del paziente. Per un rapido effetto iniziale, si può somministrare un bolo lento di 100 mg in pazienti con peso superiore a 70 kg o 50 mg per quelli di peso inferiore, seguito dall’infusione continua per mantenere un’azione stabile e prolungata.
L’uso della lidocaina richiede una gestione attenta per evitare effetti collaterali dovuti al sovradosaggio, come vertigini, parestesie e, nei casi più gravi, convulsioni. Sul piano cardiovascolare, dosi elevate possono causare bradicardia, ipotensione e disturbi della conduzione atrioventricolare.
Tuttavia, rispettando i protocolli di somministrazione, questi rischi sono limitati. La somministrazione in bolo seguita da infusione continua garantisce un’azione prolungata con un buon profilo di sicurezza. La lidocaina, quindi potrebbe rappresentare una nuova frontiera nel trattamento del dolore ischemico nella sindrome coronarica acuta, grazie alla sua capacità di agire contemporaneamente come analgesico e antiaritmico. Sebbene l’efficacia analgesica sia leggermente inferiore a quella degli oppioidi, i suoi vantaggi in termini di sicurezza, tollerabilità e assenza di interazioni farmacologiche ne fanno una scelta promettente per il trattamento del dolore ischemico acuto, sia in ambito pre-ospedaliero che ospedaliero.
Conclusioni
🧩 In tutti i contesti clinici emerge con sempre maggiore chiarezza l’importanza di adottare un approccio terapeutico che consideri non solo la patologia, ma anche le caratteristiche specifiche del paziente e le modalità con cui essa si manifesta. Questo richiede una medicina “patient-tailored”, capace di tenere conto delle peculiarità cliniche di ogni individuo. Le diverse strategie disponibili nella gestione del dolore nei pazienti con sindrome coronarica acuta rappresentano un valido strumento per superare i limiti di un approccio standardizzato e uniforme. Tale modello consente di personalizzare le cure, rispondendo in modo più efficace alle necessità individuali e ottimizzando gli esiti clinici rispetto alle terapie tradizionali applicate indistintamente.

💡 Questo post vuole offrire uno spunto di riflessione, evidenziando come la lidocaina possa rappresentare un’opzione terapeutica aggiuntiva nel trattamento del dolore ischemico, grazie al suo duplice ruolo di analgesico e antiaritmico. Sebbene siano necessari ulteriori studi per consolidarne l’impiego nella pratica clinica quotidiana, il suo utilizzo potrebbe rivelarsi particolarmente utile nei casi che non rispondono alle terapie convenzionali; in situazioni in cui il medico è chiamato a modulare il trattamento in base alle specificità del paziente, dimostrando come l’approccio personalizzato sia spesso la chiave per ottenere i migliori risultati clinici.
Post dedicato a S. M.
…e se invece avessi….



Ringrazio il Dr. Francesco Patrone come peer review.
Bibliografia
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- https://rebelem.com/death-mona-acs-part-iii-nitroglycerin/
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- https://rebelem.com/more-trials-showing-harm-of-opioids-in-acsor-do-they/
Grazie Andrea,bellissimo articolo.Sono anni che nello STEMI parto con il vecchio Paracetamolo,che in concomitanza di Lisina e se l’emodinamica lo permette,il buon vecchio nts (che preferisco a piccoli boli che i 5 mg sl…che quando l’hai dato,buonanotte),spesso basta perlomeno a diminuire il dolore.Purtroppo nelle procedure inf.che non ho il Fenta,che trovo davvero ottimo avendone testate le qualità in 18 anno di anestesia.
Il metossi é sempre un alogenato…ha risultati soggettivi che in certe evenienze non sai cosa aspettarti.Ma c’é un altro farmaco che ha meno effetto sull’emodinamica pur essendo 10 volte più potente dell’ottimo fentanyl.Esperienze sul Sufentanil nello STEMI ne hai?
Grazie ancora e salutoni a Francesco…un medico talmente eccezionale che ne hanno buttato lo stampo.
Grazie per le belle parole!
Purtroppo, non ho esperienza con il sulfentanil perché non lo abbiamo in dotazione. Posso dirti che, scartabellando nella letteratura degli ultimi anni per scrivere il post, non ho trovato nulla a riguardo.
Potrebbe essere uno spunto interessante!
Buongiorno Andrea, bella e completa la tua riflessione con annessi contenuti.
Speriamo in una condivisione ampia e concreta.
Grazie a te per aver dedicato del tempo a leggerla!
Ciao Andrea , bellissimo post
Grazie davvero!