L’acido lattico si è guadagnato con il tempo un riconoscimento sempre maggiore come marker prognostico del paziente acuto. La disponibilità di sistemi point-of-care per dosarlo garantisce la possibilità di conoscerne i valori in tempo reale, permettendo di agire tempestivamente nei pazienti instabili.
La letteratura a riguardo è molto abbondante. Con questo post mi propongo di rispondere ad alcuni quesiti pratici per il suo impiego, focalizzando l’attenzione su studi effettuati in Pronto Soccorso più che in Terapia Intensiva. Noi faremo essenzialmente riferimento a situazioni di incremento di acido lattico su base emodinamica o infettiva; altre cause di iperlattacidemia/acidosi lattica sono già state trattate su questo blog (vedi qui e qui).
Per chi fosse interessato a rinfrescare le proprie conoscenze sulla fisiopatologia dell’acido lattico può leggere l’allegato a questo post (clicca qui).
1. Quali sono i valori normali della concentrazione plasmatica di acido lattico?
Possono essere considerati normali valori di acido lattico fino a 2 mmol/l (2,5 secondo alcuni Autori). Un valore discriminante è tradizionalmente considerato quello di 4 mmol/l, al di sopra del quale devono essere assolutamente avviate ottimizzazione emodinamica.
2. L’acido lattico è un parametro prognostico utile in P.S.?
A prescindere dai meccanismi fisiopatologici che ne hanno determinato l’incremento, l’acido lattico si è dimostrato affidabile nell’identificare i pazienti acuti con prognosi peggiore (si vedano 1, 2). E’ stata dimostrata la validità dell’acido lattico nei pazienti vittime di trauma (Callaway 2009), nei pazienti con sospetta infezione (Shapiro 2005), nei pazienti anziani (Del Portal 2010).
3. La concentrazione venosa e arteriosa sono ugualmente valide?
Nonostante il prelievo arterioso del lattato debba essere considerato il gold standard, vi sono buone evidenze che i valori venosi siano ugualmente utili e utilizzabili in modo inter-cambiabile (1, 2, Bakker 2013). In caso di dosaggi ripetuti a breve termine è probabilmente più affidabile il confronto tra campioni dello stesso tipo. I campionamenti venosi tendono ad essere più elevati di quelli arteriosi di circa 0,2 mmol/l, cosa che può comportare l’individuazione di alcuni falsi positivi (2).
4. Esistono situazioni cliniche che possono compromettere l’utilità prognostica dell’acido lattico?
- Insufficienza epatica: nonostante vi siano prove che in questo caso la clearance del lattato sia ridotta (vedi allegato), l’iperlattacidemia parrebbe comunque mantenere il suo potenziale prognostico, sia in pazienti di Pronto Soccorso (Mikkelsen 2009) che di terapia intensiva (Kang 2011).
- Insufficienza renale: in condizioni normali, il rene è responsabile dell’eliminazione di circa il 20-30% di un carico esogeno di lattato. Esistono prove sperimentali che la funzione di uptake del lattato da parte del rene sia preservata fino a una riduzione della perfusione pari al 90% (Bellomo 2002). Comunque non sono riuscito a trovare dati circa il potere prognostico del lattato in questa popolazione di pazienti.
- Metformina: in pazienti settici che assumono metformina, vi è una maggiore prevalenza di iperlattatemia rispetto a coloro che non la utilizzano. In questa popolazione, tale parametro sembrerebbe perdere il suo potere prognostico (Green 2012).
- Iperglicemia: secondo Green et al. (Green 2012), i pazienti settici in P.S. che presentano una glicemia ≥ 200 mg/dl hanno valori di acido lattico più elevati rispetto ai soggetti normoglicemici. In questo ambito, l’iperlattatemia mantiene comunque il suo potenziale prognostico.
- Abuso etilico: vi sono evidenze contrastanti. Da un lato un ampio studio prospettico che include i dati di circa 15.000 pazienti vittime di trauma riporta che la concomitante assunzione di alcolici si correla a più elevati valori di acido lattico ma che ciò non compromette il potenziale prognostico di questo parametro (Dunne 2005). Uno studio retrospettivo su 1083 pazienti con trauma chiuso (dunque più piccolo e metodologicamente più debole), conferma i valori più elevati di lattatemia nei pazienti con abuso etilico ma conclude, diversamente, che ciò ne limita il valore predittivo (Herbert 2011).
- Ringer lattato: l’infusione di questo tipo di soluzioni non altera il potenziale prognostico dei valori di acido lattico (Bakker 2013).
5. In presenza di iperlattacidemia e normali parametri emodinamici, di chi mi devo fidare?
E’ possibile riscontrare, nel paziente acuto, la cosiddetta “ipoperfusione occulta”, ovvero un incremento dei valori di acido lattico (definito come superiore a 2,5 oppure 4 mmol/l) in presenza di normali parametri emodinamici (e in assenza di altre cause di iperlattatemia). Rispetto ai soggetti con normali parametri emodinamici e di lattato, i pazienti con ipoperfusione occulta presentano un incremento di 3 a 7 volte del rischio di morire, a seconda del disturbo di base. Ciò è stato dimostrato per i pazienti con sospetta infezione (Howell 2007, Mikkelsen 2009), le vittime di trauma (Vandromme 2010), i pazienti anziani vittime di trauma (Callaway 2009, Salottolo 2013).
6. Una riduzione dei valori di lattacidemia sono utili ai fini prognostici? Quali sono gli obiettivi di riduzione dei valori di acido lattico si deve puntare?
Dato che, in base alle nostre conoscenze fisiopatologiche, il lattato è un marcatore di stress emodinamico e infiammatorio, una riduzione della sua concentrazione dopo l’avvio di trattamenti adeguati (espansione volemica, somministrazione di vasopressori, etc) dovrebbe essere indicativa di un miglioramento dell’omeostasi e dunque della prognosi del paziente. Tale riduzione, un po’ impropriamente, è stata definita “clearance del lattato” e si calcola con la seguente formula:
[(Lattato iniziale – Lattato successivo) / lattato iniziale] x 100.
Effettivamente la capacità di predire la mortalità da parte della clearance del lattato è stata dimostrata in pazienti chirurgici (McNelis 2001, Cardinal Hernandez 2009), in pazienti vittime di trauma (Blow 1999, Regnier 2012, Odom 2013), in pazienti con scompenso cardiaco acuto e shock cardiogeno (Scott 2010, Attanà 2012), in pazienti con sepsi grave e shock settico in Pronto Soccorso e Terapia Intensiva (Nguyen 2004, Arnold 2009, Marty 2013, Walker 2013, Puskarich 2013).
Fig. 1. Riassunto dei principali studi sul potenziale prognostico della clearance del lattato. Sono riportati i valori di clearance utilizzati come soglia e l’intervallo di tempo cui sono stati misurati.
7. E’ utile come obiettivo sul quale basare i nostri sforzi rianimatori?
In base al ragionamento seguito finora, dato che la riduzione dei valori di lattatemia hanno una buona potenzialità prognostica, potrebbe apparire ragionevole il suo impiego come “target” cui puntare per capire calibrare i nostri sforzi terapeutici nel paziente con sepsi grave e shock settico.
Ad oggi, esiste uno trial randomizzato multicentrico che ha sperimentato un protocollo di gestione del paziente con sepsi grave e shock settico. Lo studio è molto interessante in quanto effettuato direttamente nel Dipartimento d’Emergenza. In sintesi, i 300 pazienti arruolati venivano sottoposti ad un trattamento iniziale costituito da boli di cristalloidi finalizzati a ottenere una PVC ≥ 8 mmHg e somministrazione di vasopressori per raggiungere una MAP ≥ 65 mmHg. Raggiunti questi obiettivi, il 50% dei soggetti veniva randomizzato a essere sottoposto ad un protocollo standardizzato volto a raggiungere una ScvO2 ≥ 70% e il restante 50% a un protocollo standardizzato (del tutto identico) con il fine di raggiungere una clearance del lattato ≥ 10%, in entrambe i casi entro le prime 6 ore. Sarebbe troppo lungo entrare nei particolari dello studio in questo post: ci basti dire che la mortalità nei 2 gruppi era sovrapponibile (23% nel gruppo ScvO2, 17% nel gruppo della clearance del lattato). Il risultato è molto interessante: un parametro semplice da ottenere e interpretare presenta una validità sovrapponibile a quello di uno strumento che richiede l’impiego di una strumentazione più costosa, complessa e di difficile applicazione in P.S.
Bibliografia
- Jansen TC, van Bommel J, Bakker J. Blood lactate monitoring in critically ill patients: a systematic health technology assessment. Crit Care Med 2009, 37(10):2827-39. Link
- Kruse O, Grunnet N, Barfod C. Blood lactate as a predictor for in-hospital mortality in patients admitted acutely to hospital: a systematic review. Scand J Trauma Resusc Emerg Med 2011; 19: 74. Link
- Jones AE, Shapiro NI, Trzeciak S et al (EMShock Net). Lactate clearance vs Centrale venous oxygen saturation as goals of early sepsis therapy. A randomized clinical trial. JAMA 2013; 303: 739-746. Link
Mooooolto bello! E soprattutto ben fatto! Una curiosità: nei pazienti con sanguinamenti del tratto gastroenterico , il lattato ha ruolo decisionale nell’eseguire endoscopie d’urgenza?
Grazie per i complimenti.
La domanda interessante. L’anno scorso avevo fatto una ricerca in merito e l’unico studio che avevo reperito era il seguente: Foster KJ, Alberti KG, Binder C, Holdstock G, Karran SJ, Smith CL, Talbot S, Turnell DC. The metabolic effects of moderately severe upper gastrointestinal haemorrhage in man. Postgrad Med J 1982; 58: 25–29. questo lavoro segnalava unicamente che i pazienti con emorragia digestiva presentavano valori di lattatemia più elevata dei controlli sani, senza formulare alcuna valutazione sul significato prognostico.
In considerazione della possibilità da parte del lattato di rilevare quadri di ipoperfusione tissutale anche in presenza di parametri emodinamici stabili, sarebbe interessante sapere se il suo impiego in questa categoria di pazienti possa tradursi in una più efficace individuazione di quelli a rischio per eventi avversi, tenendo presente che nella maggior parte dei P.S. non vi è una guardia attiva endoscopica 24 ore su 24.
io sapevo questo: I livelli di lattato sierico è utilizzato come marcatore della grave ipoperfusione tissutale, ma la sua utilità nella diagnosi precoce di instabilità emodinamica e per guidare la fluido terapia durante la rianimazione non è ancora stato definito . Norepinephrine-induced vasoconstriction results in decreased blood volume in dialysis patients. Nephrol Dial Transplant 2006
A mio avviso l’utilità del dosaggio dell’acido lattico come marker prognostico precoce di instabilità emodinamica incipiente si può desumere dal fatto che possiede un potenziale di individuare quadri di disossia tissutale in pazienti con parametri emodinamici come pressione arteriosa e frequenza cardiaca ancora nei limiti.
Per quanto riguarda l’impiego come obiettivo della fluido-terapia, il problema è più ampio, in quanto questa rappresenta normalmente solo uno dei componenti di strategie più ampie di trattamento che comprendono anche l’aumento della pressione arteriosa per mezzo di vasopressori, trasfusione di emazie concentrate e infusione di inotropi, nonchè l’individuazione e la gestione della causa scatenante, laddove possibile.
Dunque il lattato a mio avviso dovrebbe essere considerato come un marcatore della risposta a queste manovre terapeutiche nel complesso, e non solo alla fluido-terapia, come sembrerebbe potersi desumere dai risultati di Jones e coll., sebbene riguardanti solo pazienti settici.
Può avvenire che in corso di esteso infarto intestinale i lattati possano essere normali?
La performance dell’acido lattico nella diagnosi di ischemia mesenterica non è ottimale. si veda per esempio:
– Demir IE, et al. Beyond Lactate: Is There a Role for Serum Lactate Measurement in Diagnosing Acute Mesenteric Ischemia? Dig Surg 2012;29:226–235.
– Evennett JN, et al. Systematic Review and Pooled Estimates for the Diagnostic Accuracy of Serological Markers for Intestinal Ischemia. World J Surg (2009) 33:1374–1383
– Matsumoto S et al. Diagnostic performance of plasma biomarkers in patients with acute intestinal ischaemia. Brit J Surg 2014; 101: 232–238.
La sensibilità non è particolarmente elevata e dunque è possibile che, soprattutto in fase precoce, avere valori negativi in presenza di ischemia/infarto intestinale.