Il progresso scientifico avviene in modo discontinuo: ogni tanto, qualche articolo dà delle spallate alle nostre consuetudini, e ci costringe a guardare il nostro mondo da una angolazione differente. L’articolo di Kotani, appena pubblicato su Critical Care è uno di questi, ed è un articolo che fa rumore: la loro metanalisi dimostra che il propofol, quando utilizzato come agente anestetico, incrementa la mortalità del 10% rispetto ad altri farmaci anestetici.
Non fa rumore, non dà spallate.
Di più.
Arriva a puntare il dito contro uno dei farmaci più amati – ed usati – al mondo in tema di anestesia, e non solo. Possibile che ci siamo sbagliati fino ad oggi, e non ci siamo resi conto che il propofol aumenta la mortalità in modo così significativo?
E può anche interessare noi medici d’emergenza? In parte si: abbiamo parlato di infodemia, ovvero dei rischi che si corrono quando un’informazione (particolarmente importante e “rumorosa” come questa) attraversa i cerchi concentrici dell’eco che ha generato e arriva non filtrata a chi utilizza il farmaco. O peggio ancora, al paziente che deve riceverlo e non ha gli strumenti culturali per comprendere cosa sta accadendo.
Ma come, sono anni che ci raccontiamo che il propofol è sicuro in sedazione procedurale, e adesso viene fuori che aumenta del 10% la mortalità?
Per evitare equivoci, è opportuno leggere il bell’articolo di Kotani, e sottolineare che, innanzitutto, analizzi il solo setting anestesiologico e intensivistico, senza riguardare minimamente il suo utilizzo in sedazione procedurale.
Questa metanalisi analizza 252 RCT in un periodo compreso tra il 1987 e il 2022, e analizza un totale di 30.757 pazienti, per lo più adulti, con la maggior parte degli studi dedicati alla chirurgia non cardiaca (153), e una parte minoritaria dedicata alla terapia intensiva (52) e alla cardiochirurgia (47). Bene, il risultato più eclatante è la dimostrazione di una maggiore mortalità nei pazienti trattati con propofol (5.2%) rispetto ai pazienti trattati con altri farmaci (4.3%), per lo più anestetici volatili: quindi un incremento relativo di mortalità del 10% rispetto ad altri anestetici. Se consideriamo i milioni di pazienti trattati ogni anno con propofol in tutto il mondo, il dato emerso impone ben più di una riflessione.
Eppure, non dice nulla di nuovo, perchè gli autori avevano pubblicato una metanalisi nel 2015 (preliminare) in cui si evidenziava una tendenza ad un outcome peggiore nei pazienti trattati con propofol, e già nel 2001 l’FDA aveva lanciato un allarme per possibile incremento di mortalità nella chirurgia pediatrica quando veniva utilizzato il propofol.
Perché il propofol causerebbe questo incremento di mortalità? il condizionale è d’obbligo, trattandosi di una metanalisi, e gli stessi autori affermano che il loro lavoro non dimostra una verità incontrovertibile, ma è un solido punto di partenza su cui fondare ulteriori studi per confermarlo.
E perchè non dovrebbe interessare il suo utilizzo in sedazione procedurale?
Innanzittutto, l’analisi degli autori non evidenzia un peggioramento temporale, e il peggioramento della mortalità si mantiene costante dal 1987 ad oggi – quindi si tratta di qualcosa intrinsecamente connesso al propofol, e non legato al cambiamento delle tecniche chirurgiche o alle innovazioni tecnologiche.
Quindi qualcosa connesso al propofol, ma non solo.
Perchè la correlazione tra profondità della sedazione ed una prognosi peggiore è nota da tempo, e sembra dipendere direttamente da un peggioramento della ventilazione meccanica nei pazienti con sedazioni più profonde: la sedazione con propofol infatti aumenta i tempi di ventilazione, e questo è legato ad una sedazione più profonda oltre che alla sua azione diretta di depressore della funzionalità respiratoria. Le analisi di mortalità nei vari gruppi del lavoro di Kotani dimostrano infatti che la mortalità è massima nei pazienti sottoposti ad intervento cardiochirurgico, diventa minore nelle altre chirurgie e diventa non significativa nei pazienti delle terapie intensive (in cui la gravità clinica e la mortalità generale sono generalmente più elevate).
Ma oltre a queste considerazioni, gli autori riportano alcune ipotesi che potrebbero spiegare l’incremento di mortalità nei pazienti sottoposti ad anestesia o sedazione prolungata con propofol:
- la sindrome infusionale da propofol, che si osserva per infusioni protratte oltre le 48 ore e ad alto dosaggio di propofol (superiori a 4 mg/kg/h), condizione potenzialmente fatale caratterizzata da acidosi metabolica, rabdomiolisi, insufficienza renale; questo potrebbe forse da solo spiegare l’incremento di mortalità? difficile dirlo con una metanalisi, tuttavia è un punto di partenza.
- la contaminazione microbica: il propofol è lipofilo, e una infusione protratta associata ad errori di preparazione può portare a contaminazione; poteva portare, in realtà, perchè l’attenzione è massima, e inoltre nel propofol dal 2000 è stata aggiunta una sostanza antibatterica, e questo ha fortemente limitato il rischio. Limitato, ma non annullato e quindi anche questo potrebbe contribuire al peggioramento della mortalità;
- il propofol, sebbene dotato di azioni protettive, sembra ridurre la risposta di diversi organi alla risposta catecolaminergica da stress;
- il propofol ha inoltre un noto effetto inotropo negativo ed un impatto sfavorevole sull’emodinamica dei pazienti, con un peggioramento della mortalità già noto e dimostrato.
Quindi è indubbio che la metanalisi di Kotani debba essere un punto di partenza per definire meglio il ruolo del propofol come anestetico e come sedativo in terapia intensiva, ma la sua sicurezza in sedazione procedurale rimane indiscussa, perchè tutte le considerazioni fino a questo punto effettuate (infusioni continue , sedazioni di pazienti sottoposti a ventilazione prolungata, utilizzo anestesiologico) non sono in nessun modo applicabili al bolo isolato e basso dosaggio consigliato in sedazione procedurale (1 mg/kg, con titolazione successiva, negli adulti, con dosaggi dimezzati nei soggetti sopra i 65 anni).
Pertanto, le considerazioni che abbiamo già fatto parlando di propofol in sedazione procedurale, rimangono valide. A parte la ketamina (e il keto-fol), è il farmaco più sicuro per sedazioni procedurali in pazienti in classe ASA 1 e 2 da parte di medico ed infermiere d’emergenza: e non solo il più sicuro, ma anche il più rapido, a patto di conoscere bene il farmaco, le sue peculiarità ed essere esperti in sedazione procedurale.
Tuttavia alcune considerazioni devono essere fatte: parlando di sola sedazione procedurale, e prendendo in considerazione il sottogruppo dei pazienti con ipotensione, è indubbio che abbiamo un confronto con un farmaco eccellente come la ketamina, che in termini di sicurezza presenta tassi di eventi avversi ancora inferiori rispetto a quelli già limitatissimi del propofol; ma se allarghiamo l’analisi alla sedazione prolungata di pazienti sottoposti a ventilazione non invasiva, al di fuori delle terapie intensive, il propofol non può essere considerato un farmaco sicuro, e abbiamo bisogno di alternative, come la dexmedetomidina e, ancora più recentemente, la sua associazione con la ketamina (ketadex) di cui parleremo in un prossimo post.
La metanalisi ha sollevato un vespaio di polemiche, e alzate di scudi che si vedono solo quando viene toccato un farmaco molto amato.
Quindi, da una parte abbiamo un dato scientifico che, derivando da una metanalisi, non vuole essere verità assoluta ma un punto di partenza per una analisi più approfondita… e dall’altra?
Beh, dall’altra il sentimento, la pancia di chi usa il propofol e non vuole abbandondare quella zona di sicurezza – la comfort zone, dicono gli inglesi.
O l’ “abbiamo sempre fatto così”, che è la peggiore delle affermazioni possibili.
Il propofol è un ottimo farmaco, sicuro, rapido ed efficace.
Ma non è l’unico.
E forse l’articolo di Kotani vuole dirci proprio questo: usiamo la testa, la competenza, e la cultura, per uscire dalla comfort zone ed usare farmaci anche diversi, ma che spesso possono essere più sicuri del propofol. Questo vale per l’anestesia, per le terapie intensive, ovviamente, ma deve essere ben presente anche quando si pratica la sedazione procedurale.
Ricordiamoci cosa scriveva Agostino da Ippona “L’ubbidienza alla passione genera l’abitudine, e la sottomissione all’abitudine genera la necessità”.
Che è un modo elegante per rispondere “E avete sempre fatto male” quando qualcuno afferma “Abbiamo sempre fatto così”.
L’abitudine può essere davvero pericolosa, se non ci permette di usare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione.