Quando mandarli via
Abbiamo score praticamente per tutto. Per qualsiasi paziente, per qualsiasi patologia, per qualunque fase di malattia: diagnostici, prognostici, terapeutici. Ci aiutiamo nell’oggettivare una diagnosi e capire quanto esserne preoccupati o no. Mi aiutano nel trovare una pace al mio assoluto relativismo morale, cinico, clinico e lavorativo.

Ma si può dire lo stesso quando ci occupiamo della malattia più frequente nelle corsie dei dipartimenti di emergenza e, penso, nel mondo, lo scompenso cardiaco acuto (AHF)?
AHF – questo conosciuto
In questo ambito la letteratura è ricchissima. Ci parla e ci sommerge di informazioni, consigli ed indicazioni sulla eziologia, l’epidemiologia, la diagnosi ed il trattamento. Da pikkoli ancioli medici è la prima malattia che studiamo; da sempre è la compagnia preferita di ogni dispnea e di ogni difficoltà respiratoria.

AHF – questo sconosciuto
Eppure vedo Joseph e non so cosa fare. La diagnosi è ovvia, scritta già nella sua anamnesi patologica remota.
Joseph è stato dimesso un mese prima dal reparto di cardiologia per uno STEMI ad arrivo tardivo con una evoluzione ipocinetica della sua cardiopatia. Il motivo dell’accesso è “dispnea”. La diagnosi chiara anche senza la lettura della ultima revisione sistematica sull’argomento AHF.

I parametri vitali sono di norma. L’ega senza insufficienza respiratoria. L’ecg non modificato. Il movimento della famigerata troponina a plateau. L’ecografia toracica con una quadro di modesto sovraccarico. il walking test mostra una minima desaturazione fino a 94% con un recupero non rapido ma non lento. Rimangono i sintomi riferiti, a suo dire, “disabilitanti”.
Ma cosa merita Joseph?
La letteratura ci ha insegnato come diagnosticare e trattatare tale condizione in modo perfetto ed inesorabile ma non conosco armi per oggettivare la mia decisione di dimettere, ricoverare o democristianamente trattenere in OBI.

Esiste qualcosa di nuovo per qualcosa di vecchio?
Lo scompenso cardiaco è una sfida di salute pubblica globale, motivo di frequenti accessi in DEA. Dopo una iniziale gestione e stabilizzazione, una delle più importanti decisioni è definire quale paziente può essere dimesso in sicurezza e quale richiede l’ospedalizzazione.
Già una volta abbiamo affrontato l’argomento in questo blog. Ma io ancora adesso non sapevo cosa fare di Joseph. Vediamo se esiste qualcosa di nuovo.

Una decisione complessa
La decisione è complessa e dipende da numerosi fattori oggettivi e soggettivi: ovviamente la severità dell’episodio attuale e l’eziologia della acuzia cardiaca, ma anche le condizioni del paziente e le sue comorbidità, il suo performare status, la sua rete di cure domiciliare e la presenza di caregiver adeguati.
La complessità di tale situazione è anche mostrata dai numeri: come è possibile che negli Stati uniti dimettano solo il 10% di questi pazienti, mentre in Canada sono gestiti fuori dall’ospedale uno su 3?

Se guardiamo dentro di noi o meglio dentro i nostri pronto soccorso possiamo già trovare elementi su cui costruire qualcosa: in primis, l’OBI. L’esistenza di una struttura adeguata e di un periodo di osservazione breve intensiva può aiutare in una corretta scelta, permettendo una giusta stratificazione del rischio utilizzando specifici parametri designati apposta per l’utilizzo in emergenza.
Finalmente la struttura troppo spesso vituperata ed odiata dell’OBI diventa finalmente risorsa preziosa. E prendersi e perdersi del tempo un consiglio ed un alleato indispensabile.

Purtroppo nonostante sia fondamentale una definizione oggettiva ed affidabile di paziente a basso rischio candidato ad una dimissione precoce, la letteratura e le evidenze in questione disponibili sono scarne.
Ma se dimettiamo le polmoniti (PSI score), i TIA (ABCD2 score), le emorragie intestinali basse (OAKLAND score) e teniamo la maggior parte dei pazienti con riacutizzazione della patologia più studiata al mondo, lo scompenso cardiaco, forse esiste un problema.
La soluzione è sempre la stessa: identificare una corretta stratificazione del rischio.
L’OBI: Osservazione Breve Intensiva

L’OBI è una realtà altamente variabile nel panorama italiano dei pronto soccorsi. Per i pazienti con AHF less sick, l’OBI è una ottima destinazione per valutare il miglioramento clinico e la risposta alla iniziale terapia, ottenere il consiglio del cardiologo se indicato, organizzare un appropriato follow up di cure ambulatoriali e dimettere con indicazioni ed istruzioni precise ed adeguate.
In assenza di un regime di OBI, il ricovero di praticamente tutti i pazienti con AHF sarebbe probabilmente inevitabile.
Ma come definiamo il basso rischio?
Una prima strategia è identificare come candidati ad una dimissione precoce quei pazienti senza nessuno dei fattori di rischio elencati nella figura sottostante, associati ad eventi avversi.

Tuttavia dire che il paziente non ha caratteristiche ad alto rischio non significa definirlo a basso rischio.
Esistono due scordi stratificazione del rischio creati nell’ambito dell’Emergency Department, entrambi create in Canada.
Uno è l’Ottawa Heart Failure Risk Scale di cui abbiamo già parlato in un precedente post.
Il secondo è l’Emergency Heart Failure Mortality Risk Grade (EHMRG), mostrato nella figura sottostante.

Tale score stima la mortalità a sette giorni in pazienti non in cure palliative basandosi su dieci variabili considerate rilevanti, suddividendo i pazienti in categorie di rischio basso (0.3% di mortalità a sette giorni), medio o alto.
La versione informatica per il calcolo elettronico dello score è disponibile qui.
Score e buon senso

Sicuramente anche se a basso rischio, hanno una verosimile indicazione al ricovero:
- (gli scompensi cardiaci di prima diagnosi);
- la presenza di barriere logistico strutturali alla self-care che non possono essere superate;
- una causa di scompenso cardiaco acuto che necessiti l’ospedalizzazione;
- la clinical decision making del medico che ritiene necessario il ricovero; questo perchè la gestalt del bravo medico supera spesso la definizione matematica ma fredda di qualsiasi calcolatore scientifico.
Tuttavia a mio avviso un dettaglio fondamentale non è stato sufficientemente sottolineato: l’importanza di un “patient linkage with the heart failure clinic” per la cura ambulatoriale dei pazienti. Ossia il paziente deve essere dimesso con una precisa ora e data per la visita di controllo. Solo in questo caso la persona si sentirà all’interno di un progetto di cure a più ampio respiro in cui lui si sentirà sicuramente e teneramente al centro. Spesso questa prenotazione ha la stessa se non maggiore importanza di una compressa di entresto.
Si può far meglio?

La riposta è scontata, ma è umilmente sempre la stessa: SI.
In questo score esistono alcuni protagonisti che per me non dovrebbero essere tali: in primis, il trasporto in pronto tramite 112 che nella mia realtà è una risorsa troppo spesso abusata senza correlare ad una reale gravità di condizione del paziente, ma solo alla facilità di un trasporto gratuito in DEA. Ad intendere un problema di educazione civica e non di salute.

All’opposto, due grandi protagonisti sono assenti ingiustificati e colpevoli in questo score.
Uno lo considero attore comprimario: sono i peptidi natriuretici ed il loro ruolo, a mio avviso, è, per il momento, prettamente diagnostico e terapeutico. E’ possibile che abbiano un ruolo simile a quello che la procalcitonina ha per le infezione delle vie respiratorie? Ossia una sua riduzione a 48 ore può significare una risposta terapeutica ottimale da poter definire una buona prognosi ed indurre una dimissione sicura ed efficace?

L’altro protagonista è l’ecografia POCUS: una valutazione olistica cuore – torace – vena cava inferiore ha sicuramente un ruolo diagnostico e terapeutico assodato e certificato ormai dalla esperienza clinica, dalla pratica d’uso ed anche dalla letteratura. Impossibile non pensare possa averlo anche prognostico, anche se non ancora certificato, razionalizzato e definito chiaramente.

Infine…
Queste idee possono essere riassunte in una flow chart riassuntiva. Eccola qua.

Concludendo we must…

Ricoveri ospedalieri non necessari sono associati ad un incremento di mortalità e dei costi. Inappropriate dimissioni sono associati ad un aumento dei rischi di eventi avversi. Allo stesso tempo non dobbiamo dimettere solo perchè subiamo la pressione di un costante overcrow dei locali del DEA o dobbiamo “mettere” persone in OBI solo per l’ebrezza di occupare una barella incredibilmente e stranamente “libera”.

E proprio in questo compito che assume non solo più un valore medico ma anche sociale e civico ed in questo tempo di restrizione economica in cui “Tutto a tutti” è, non solo clinicamente ma anche socialmente errato, le unità di osservazioni assumono la vera importanza per cui l’OBI è stato concepito. Guadagnare del tempo, ma quel tempo deve essere speso per fare quello che è infine il vero compito del pronto soccorso: essere stratificatori di rischio.
Bibliografia
- Mirò O et al. “European Society of Cardiology – Acute Cardiovascular Care Association position paper on safe discharge of acute heart failure patients from the emergency department”. Eur Heart J Acute Cardiovasc Care . 2017 Jun;6(4):311-320.