La mia guardia è (quasi) finita
Anche per me è arrivato il momento di lasciare l’ospedale.
Non nego che sia una circostanza che lascia più che una qualche vena di tristezza.
Questo post però, non vuole essere incentrato sulla mia persona o sui miei sentimenti riguardo al periodo che mi aspetta , piuttosto uno spunto di riflessione sulle nostri attuali condizioni di lavoro e sulle sue prospettive future.
Cosa posso aggiungere a quanto già non detto dal nostro maestro Rodolfo Sbrojavacca in un precedente post ?
Sindrome di Calimero
Ho già avuto anche modo di parlare del nostro senso di frustrazione, quasi che tutto agisca contro di noi: la sindrome di Calimero appunto.
Cerchiamo di andare oltre, anche in considerazione di quanto stiamo sperimentando da tempo.
Il lavoro più bello del mondo…che nessuno vuole più fare
Sono notizie di questi giorni quelle che a fronte di concorsi andati deserti si è pensato di fare intervenire i riservisti (i pensionati) o gli apprendisti ( i giovani laureati) e financo l’esercito come pare sia intenzionata a fare la regione Molise.
Ora voi affidereste la vostra auto per una riparazione a un meccanico che ha smesso di riparare auto o un garzone di bottega che conosce la teoria ma ha poca o nulla esperienza?
E ancora, anche tralasciando queste idee piuttosto originali, perché il numero delle borse di specializzazione per la medicina d’emergenza è di gran lunga inferiore rispetto alle necessità, ammesso e non concesso che in pronto soccorso vogliamo che siano presenti medici adeguatamente formati e motivati?
Il pensiero di Irene
Irene Sciarrillo è un medico d’urgenza che lavora in uno di quei pronto soccorso al alto volume di traffico, dove come dice lei uno è: “costretto a non fermarsi mai neanche per la pipi e la coda fuori però è sempre lì inesorabile”
Con lei ho condiviso parte della mia attività lavorativa e trovo che le sue riflessioni, postate recentemente sul suo profilo facebook, siano meritevoli di attenzione, grande rispetto e assolutamente condivisibili.
Vorrei fare una riflessione alla luce di vari avvenimenti degli ultimi tempi.
Premetto sarà lunga e forse noiosa.
Oggi festeggio 3 anni da “indeterminata” in Pronto Soccorso (piu un anno tra libera professione e tempo determinato) è un tempo breve, ma abbastanza lungo per permettermi alcune considerazioni.
Sono approdata in Pronto Soccorso dopo la specializzazione in Geriatria sulle ali dell’entusiasmo di 8 mesi passati come periodo di formazione al Pronto Soccorso del Mauriziano circondata da professionisti e da un’ambiente che mi ha fatto davvero amare questo lavoro e mi ha fatto superare la paura e l’ansia di non essere assolutamente in grado di fare questo mestiere.
Mi sono scontrata invece con un mondo davvero difficile.
Il Pronto Soccorso lo dico sempre è un po’ come il militare. Ci vuole forza, pazienza, disciplina, velocità, capacità decisionale rapida ed aggiornamento continuo.
I turni sono spesso massacranti, i tempi sono rapidi perché altrimenti fuori si lamentano, il personale costretto a non fermarsi mai neanche per la pipi e la coda fuori però è sempre lì inesorabile, a volte la sensazione è di essere tu con il tuo secchiello minuscolo che cerchi di togliere l’acqua da una nave che affonda.
A volte quel paziente lì a cui hai dedicato tutte le tue forze finisce comunque per non farcela e sarai sempre lì a chiederti se in qualche modo potevi fare di più o se puoi aver sbagliato qualcosa.
Tutto questo crea stanchezza, crea nervosismo, tristezza anche nelle persone più tranquille.
Però continui, continui perché comunque è un lavoro ricco di adrenalina, una sfida continua, ogni paziente è diverso, ogni situazione è nuova e ogni caso che risolvi lo vivi con immensa gioia.
E nonostante questo spesso i ringraziamenti non vanno a te che hai riconosciuto e fatto diagnosi di ictus, infarto, shock settico, ecc.., ma al cardiologo al neurologo, infettivologo e qualsiasi altro ologo di turno.
Ma anzi, sempre più spesso leggo commenti sul mio Ospedale attuale o su altri in cui sempre e solo si sottolinea quella o quell’altra mancanza, quotidianamente abbiamo discussioni con persone (certo in attesa da troppe ore forse) che attendono e pretendono di passare davanti agli altri, che sono più malati di altri, che “fate schifo non è possibile che mio padre che sta male sia qui con un codice verde in attesa da ore”e frasi di questo calibro.
Purtroppo esiste un codice che vi viene assegnato da triage (che si basa su dati raccolti da un infermiere formato per questo è non in base a criteri di filosofia spiccia) purtroppo siete tanti e noi siamo pochi. Quindi come dico sempre “signori uno per volta vi vediamo tutti, non possiamo fare diversamente” non c’è tempo per fare pipì, ma nemmeno si dover sempre rispondere a tutte queste lamentele.
Il lavoro del Medico d’urgenza (e di tutto il personale che lavora nell’urgenza) oggi è davvero in crisi per questi e per molti altri motivi.
Fatichi a stare dietro alla famiglia, ai compiti dei tuoi figli, ad avere una vita extraospedale, eppure tutti si lamentano di te.
Un lavoro sottovalutato, un lavoro svilito, un lavoro duro e che diventa difficile oggi come oggi fare per lungo tempo (almeno per me).
Io vi invito davvero quando entrate in un Pronto Soccorso ad osservarle bene quelle persone mentre siete lì ad aspettare il vostro turno, guardate bene cosa fanno in quelle 3 ore in cui voi siete lì, concentratevi e poi forse capirete che non è con loro che ci si deve lamentare di eccessive attese e degenze lungo il corridoio.
Forse capirete che è meglio che rispettiate questo lavoro, lo elogiate e coccolate altrimenti questo fuggi fuggi continuerà e tra pochi anni vi troverete con il vostro infarto al Pronto Soccorso circondati solo da persone che questo lavoro non lo fanno più per passione, ma solo per necessità e che magari si sono laureati il giorno prima.
Chiunque voglia pensare di salvare il nostro SSN e l’attività dell’emergenza credo debba leggere attentamente quanto detto da Irene e partire da qui per provare a trovare soluzioni.
Lavoro usurante
Il nostro non viene considerato lavoro usurante, anche se risultiamo in cima alla liste dei medici colpiti da burn out anche se dovremmo chiamarlo danno morale come ci ha ben spiegato Alessandro Riccardi in un recente post
Certo mi si perdoni l’ardire, risulta difficile paragonare il lavoro del medico dell’infermiere e del personale di assistenza di un pronto soccorso a quello di una maestra d’asilo e del personale viaggiante delle ferrovie
Sarebbe la solita guerra tra poveri.
Dignità e rispetto
E’ l’imprescindibile punto di partenza. L’idea balzana che alberga nella mente di molti pazienti e colleghi è che, per fare questo lavoro, non siano necessarie particolari competenze, basta saper chiedere esami giusti e soprattutto chiamare lo specialista giusto.
Questa idea non nasce dal nulla, purtroppo noi stessi con il nostro comportamento, a volte, ne siamo portavoce.
Siamo noi per primi a dover credere che quel rispetto è meritato, a guadagnarcelo.
Esistono soluzioni?
Società scientifiche e sindacati ne hanno prospettate diverse.
Rendere attrattivo il lavoro dell’emergenza unificando il lavoro dentro e fuori l’ospedale, mi trova assolutamente d’accordo, ma possiamo pensare che un medico avanti con gli anni possa ancora salire e scendere le scale con lo zaino in spalla o il monitor defibrillatore in mano?
Valorizzare l’esperienza dei medici e infermieri “senior” riducendone l’impegno front line è un’altra opzione da considerare, cosi come avviene in altri paesi.
Certo questo corrisponderebbe ad un ulteriore impegno economico, ma potrebbe frenare l’emorragia verso ambienti più tranquilli.
L’area critica e l’OBI sarebbero esperienze di lavoro che consentirebbero a ogni medico e infermiere di ampliare il proprio campo di azione ed esperienza con un ritorno anche sull’attività front-line.
Ultimo, ma non ultimo, rendere il medico d’urgenza, adeguatamente formato, il vero protagonista sia in ambito assistenziale che organizzativo del sistema di emergenza.
Sta a noi però fare in modo che questo accada.
L’orgoglio e le virtù di essere medici d’urgenza
Il blog si è occupato in diverse occasioni di quanto sia difficile il nostro lavoro, oggi voglio, prima di concludere, riproporvi uno dei più intensi e poetici del nostro insuperabile Mauro Cardillo – Vento a Tindari

Questo, come le parole di Irene, devono essere uno sprone per non mollare, per crederci e per essere veramente artefici di un cambiamento che risulta improcrastinabile.
Quiescenza
Quiescenza non significa, per fortuna, morte.
Voglio tranquillizzare tutti coloro i quali hanno manifestato il timore che, con il mio pensionamento, anche il blog diventasse un ricordo del passato.
Il blog vivrà fintanto che ci sarà qualcuno interessato a leggerlo e qualcuno disposto a condividere la propria esperienza scrivendoci.
Non voglio chiudere questo lunghissimo post prima di ringraziare Marco Garrone, uno dei più bravi medici d’urgenza che ho avuto la fortuna di incontrare a cui devo anche l’originale titolo di questo post.
Alle volte penso anche io di aver fatto la scelta sbagliata. Poi ci rifletto e penso che – se oggi ripetessi il concorso e potessi scegliere qualunque specializzazione – forse metterei ancora medicina d’urgenza come prima scelta.
Penso che fare il medico sia un qualcosa a 360 gradi e non solo la propria specializzazione, che tante volte pare più un’etichetta o una scusa per non fare o non imparare o non insegnare. Per cui se il pronto soccorso vuole attirare colleghi preparati e motivati deve offrire anche questo: un lavoro completo, vasto e gratificante. In alcune realtà questo è possibile. In altre realtà come quelle raccontate nel tuo post le persone si sentono stanche e frustrate e alla fine scappano. Credo che la medicina d’urgenza debba puntare i piedi e pretendere qualità, formazione e un trattamento lavorativo dignitoso… ma non è che si vedano grosse cose all’orizzonte.
Simone, anche io come te rifarei lo stesso percorso.Concordo pienamente con le tue conclusioni, che sono quello di ogni medico e infermiere d’urgenza appassionato per quello che fa tutti i giorni.
Carissimo Carlo,
tutti noi contiamo sul fatto che il tuo lavoro continuerà.
In questi ultimi anni sei stato fondamentale per tante persone che hai assistito nei tuoi turni quotidiani, ma lo sei stato ancora di più con la tua opera sul blog: attraverso l’aggiornamento, la formazione e la motivazione che hai fornito ai tuoi affezionati lettori, hai prodotto del bene per molti più pazienti di quanto avresti potuto vederne moltiplicando i tuoi turni. E sei stato intelligente e lungimirante nel circondarti di collaboratori davvero eccezionali, che continueranno a produrre anche in quei momenti in cui, a pieno diritto, vorrai prendere un po’ di tempo per te stesso.
Non so se lo sentì, ma l’applauso che giunge dalla grande platea dei tuoi lettori è davvero assordante. Batto le mani anch’io… con affetto e stima.
Fabio, che dire, commosso ringrazio di cuore.
Carlo grazie per tutto quello che hai fatto e farai per la medicina d’urgenza.
Mauro grazie a te che rappresenti una bella pagina del presente e del futuro della nostra professione.
Carlo,
ti sono ovviamente molto grato per l’attestato di stima – non so quanto ben riposta, non sta a me giudicarlo – in calce ad un post così importante, anche se il mio contributo al medesimo è stato davvero solo il calembour del titolo. Capisco e condivido appieno quello che ha scritto Irene e pure l’appello a derubricare il burnout in moral injury, appello che l’iterazione della parola f*ck rende ancora più condivisibile. Ogni volta che qualcuno mi chiede perché lavoro in PS dichiaro “perché non so fare altro”, ma questa è una studiata ipocrisia. La verità è “perché mi piace da matti”. La verità come disse Andy Kirkpatrick in una discussione ad alto tenore alcolico ad un convegno Winfocus, è che (quasi) tutti lo facciamo perché ci piace, ci piace essere i primi a mettere le mani sul paziente e ci piace risolverne i problemi, anche a costo di sguazzare nei suoi liquidi biologici. Mi/ci piace perché anziché rispondere alla domanda “quale è la diagnosi di questo paziente?” ci confrontiamo con un più prosaico “quale è il bisogno di questo paziente?” (Joe Lex). Mi/ci piace perché davvero la Medicina d’Urgenza “is the most interesting 15 minutes of every other specialty”( Dan Sandberg, BEEM Conference, 2014). E questo è il fascino della nostra disciplina. Non facciamo nulla benissimo, ma facciamo un po’ di tutto. In Alta Fedeltà Nick Hornby fa dire ad un suo personaggio “il mio talento, se così si può dire è di combinare un tutta la mia medietà in un insieme compatto”. Ecco, questo è il nostro talento, siamo compatti. Ad oggi sono ancora scarsi i posti ed i tempi adatti in cui esercitarlo adeguatamente, come ovvio, ma se riusciamo ad avere una nostra dignità lo dobbiamo a quelli come te. A te che hai fatto prevalere la qualità in un epoca di fatturato, che hai capito, con un’intuizione pionieristica, il valore della FOAM e le potenzialità del www, che hai dispensato conoscenze e sicurezze senza salire in cattedra, che hai condotto una medicina d’urgenza interventista senza essere muscolare. E se oggi mi piace ancora il PS, con il suo casino, i conflitti, le ingratitudini degli utenti e le sopraffazioni dei dirigenti, è anche grazie ai tuoi stimoli. Come vedi, ho anche tanto altro di cui esserti grato.
Un abbraccio, M.
Marco grazie di questo commento che, da solo, poteva essere un post cosi denso di passione, citazioni e amore per il nostro lavoro. Sarò sempre felice e orgoglioso di incontrare medici come te in pronto soccorso. Un abbraccio.
Cmq l intervento del dott. Sbrojavacca ha un che di epico….. il finale poi mi ha commosso…. Carlo il fatto che tu ti sei abbia portato finalmente a fine la tua “guardia” include il fatto che tu sei e sarai sempre un Night’s watch e come Lord Mormont ci guiderai con la tua saggezza, non dalle retrovie ma di lato… un abbraccio….
Scritto di getto…. mi sono accorto dopo della sintassi….. ma spero che il messaggio si sia capito???
Marco, grazie di cuore.
Fin quando ci sarà entusiasmo per il nostro lavoro , nonostante tutto , e fin quanto saremo capaci di trasmetterlo e implementarlo ai giovani, la nostra specifica professione non vedrà crisi.
Io mio più intenso augurio
Antonio, grazie del tuo commento che condivido pienamente
Ciao Carlo. Augurissimi per l’esperienza che ti accingi a vivere e grazie di cuore per ciò che hai fatto per la Medicina d’ Emergenza Urgenza. Penso che le riflessioni che ho letto invitino tutti noi ad un profondo ripensamento di tutta l’impostazione data alle nostre strutture, ripensamento di cui non vedo nemmeno l’ombra se non il solito lamento che allontana da noi pazienti e giovani colleghi. Appunto. La sindrome di Calimero. La stessa riforma legislativa recente non ha spostato di un solo millimetro i problemi. Hai ragione Tu. Adesso basta! Bisogna elaborare e stimolare l’orgoglio di essere Operatori dell’emergenza. L’accoglienza in Pronto soccorso va rivoluzionata! Così non va. Bisogna trasformare il Pronto Soccorso da luogo di dolorosa necessità a nucleo di aggregazione socio-culturaledella città. Le sale d’attesa devono essere umanizzate: biblioteche a scambio, musica in filodiffusione, ambienti che ricordano la propria identità di cittadini e la propria appartenenza. Accettazione integrata medico-infermieristica per i codici intermedi. Aree intermedie strutturate in open area monitorizzata. Aree critiche corredate di reparto di semintensiva. Il mio motto è che la sensazione del cittadino deve sapere simile a quella che prova nel salotto di casa o della Sua Città. Sogni? Noi ci siamo sforzati di farlo. Questa esperienza partirà da ottobre prossimo. Forza Ragazzi! Il sogno di uno è utopia, il sogno di molti diventa realtà! Grazie Carlo e un bacio grande! Vito Procacci
Vito, grazie di cuore per queste belle parole. Come te condivido questo sogno. Umanizzare la sanità in tutte le sue forme è una priorità per tutti gli operatori sanitari ed in particolare per quelli dell’emergenza. Aspetto con ansia il feedback rispetto al tuo progetto. Un abbraccio.
Il giorno 28 settembre inaugurazione. Il giorno 1 ottobre start up. Sarei felice se fossi con noi. Comunque ti invio foto e video. Un caro abbraccio. Vito
Vito, grazie per l’invito, anche se purtroppo non potro esserci.