stravaso ed infiltrazione di farmaci IV: definizione
Insieme a tromboflebiti ed infezioni, la dispersione del farmaco al di fuori del vaso è una potenziale complicanza della somministrazione di ogni terapia endovenosa, periferica e centrale. Il fenomeno viene definito stravaso o infiltrazione; anche se di frequente vengono intesi in modo improprio come sinonimi, anche nel contesto della letteratura specifica, esiste una differenza sostanziale. Se è vero che entrambi i termini facciano riferimento alla fuoriuscita (leakage) accidentale del medicamento durante la somministrazione, cambia la nature delle sostanze coinvolte:
stravaso (extravasation): leakage di fluido o farmaco noti per avere proprietà vescicanti nel tessuto circostante il vaso venoso incannulato (la via vascolare sito di somministrazione). Viene definita vescicante quella sostanza in grado di evocare lo sviluppo di vesciche, lesioni severe ai tessuti e, in particolare, necrosi in caso di diffusione esterna al vaso; queste lesioni possono progredire e deteriorarsi nelle settimane e nei mesi successivi all’evento.
infiltrazione (infiltration): leakage di un farmaco o di una soluzione potenzialmente irritanti ma non vescicanti nel tessuto circostante il vaso venoso incannulato; anche le sostanze irritanti possono provocare dolore ed infiammazione, ma non causano, per sé, necrosi.
Nell’ambito della somministrazione periferica, le lesioni da stravaso ed infiltrazione interessano primariamente i tessuti molli circostanti il vaso sede di lesione, ma possono coinvolgere nervi, tendini, articolazioni e vasi contigui, con una estensione dell’area rispetto al sito iniziale; nel contesto della somministrazione attraverso via venosa centrale, possono coinvolgere anche strutture ed organi. Quali le potenziali conseguenze?
• lesioni cutanee, da lievi reazioni a necrosi severa con perdita di sostanza e cicatrici deturpanti
• sovrainfezioni delle raccolte e delle lesioni, con potenziale diffusione sistemica, in particolare nel paziente critico e immunodepresso.
• sindrome compartimentale dell’arto
• disabilità a lungo temine per la compromissione sensoriale e/o funzionale dell’arto ovvero l’amputazione in casi severi
• mediastiniti, orchiti, peritoniti e coinvolgimento del retroperitoneo, tamponamento con potenziale danno d’organo
• lesioni della parete toracica e della mammella
• dolore acuto e cronico (complex regional pain syndrome – CRPS)
• trauma psicologico
… in definitiva, stravasi ed infiltrazioni correlano con peggioramento dell’outcome ed aumento dei costi per l’ospedalizzazione prolungata, gli interventi medici e chirurgici necessari, e quale causa iatrogena di danno al paziente, per la risoluzione di contenziosi legali. Ciò non ostante la consapevolezza del rischio è spesso scarsa, e si ritene esista una notevole sottostima del problema in termini di diagnosi, trattamento e documentazione. La maggior parte dell pubblicazioni è riferita a case reports e l’incidenza reale dei fenomeni di infiltrazione/stravaso e delle lesioni correlate non è nota, e viene riportata come variabile dallo 0.1 al 6/7% nei pazienti adulti e fino all’11% dei pediatrici in conseguenza della somministrazione di chemioterapici e citotossici, in merito ai quali esiste la letteratura più ampia (e probabilmente una maggiore attenzione); uno studio riporta una incidenza dello 0.6% a seguito della somministrazione di mezzo di contrasto attraverso iniettori.
I fattori di rischio
Quali sono i determinanti che concorrono nel determinare fenomeni di stravaso ed infiltrazione? Sono riconosciuti diversi fattori di rischio, classificati come:
– correlati al/i farmaco/i somministrato/i
– correlati al paziente
– correlati a sito, presidio e modalità di somministrazione
– correlati al personale sanitario
La conoscenza dei fattori di rischio è determinante nel consentire la prevenzione del danno.
il paziente (e le sue vene…)
Alcune caratteristiche del malato aumentano il rischio che possano verificarsi fenomeni di stravaso/infiltrazione, che gli eventi avversi non siano prontamente riconosciuti ed, in ultima analisi, possono incidere sulla gravità delle lesioni correlate. In particolare facciamo riferimento a tutte le condizioni in grado di:
- limitare la disponibilità di vasi da incannulare e/o che rendano la cannulazione difficile, in particolare lesioni cutanee diffuse, fratture, amputazioni, linfedema, svuotamento linfonodale, obesità; in questo ambito vanno citate anche terapie prolungate e ripetute (specie con farmaci potenzialmente lesivi), terapie croniche ovvero abuso di sostanze per via endovenosa.
- determinare alterazioni metaboliche e cardiovascolari che possano aumentare la pressione venosa e/o compromettere la circolazione periferica (arteriopatia periferica, sindrome di Raynaud, diabete, linfedema, insufficienza venosa, ostruzione linfatica, sindrome della vena cava superiore), provocare fragilità vascolare o scarso sviluppo del tessuto sottocutaneo.
- limitare o compromettere la compliance alla somministrazione della terapia intesa come consapevolezza del comportamenti atti a minimizzare il rischio di dislocamento accidentale dei presidi o di lesione del vaso correlata a movimenti eccessivi della cannula nello stesso.
- limitare o compromettere completamente la capacità di percepire e/o riportare in modo pronto ed efficace discomfort/dolore a livello del vaso incannulato, perchè possono complicare l’identificazione precoce del il fenomeno. Il ritardo diagnostico può aumentare il volume di farmaco a livello dei tessuti, quindi il danno ai tessuti.
In queste ultime 2 categorie, rientrano:
- alterazioni dello stato di coscienza patologiche (confusione, agitazione psicomotoria, delirio, coma…) o farmaco-indotte (sedazione, anestesia generale, coma barbiturico)
- alterazioni sensoriali correlate a neuropatie periferiche, lesioni nervose, anestesia locale/loco-regionale
- barriere linguistiche
- età estreme.
In generale, la popolazione pediatrica, ed in particolare i neonati presentano un’aumentata possibilità di sviluppare lesioni da stravaso/infiltrazione, per la concomitanza di diversi tra i fattori di rischio sopra elencati. In questi pazienti, inoltre, volumi ridotti possono facilmente comprimere le strutture circostanti con danno secondario.
Il farmaco
Soluzioni di medicamenti che, per la loro natura farmaceutica e farmacologica, irritino e danneggino l’endotelio e le tonache del vaso concorrono nell’alterare la permeabilità vascolare e nel determinare lesioni vascolari che permettono la fuoriuscita del farmaco. A stravaso/infiltrazione avvenuto, queste stesse proprietà degli agenti coinvolti, possono, in modo esclusivo o combinato, determinare un danno a livello dei tessuti. Riconosciamo allora una serie di fattori di rischio “farmaco–correlati”, primo fra tutti potenziale di indurre necrosi localizzata per la citotossicità dovuta o meno ad interazione diretta con il DNA: entriamo nell’ambito della chemioterapia antiblastica che esula dal mio ambito di competenza e dallo specifico ambito di interesse del blog, quindi dagli scopi del post. Molti medicamenti non direttamente citotossici posseggono però proprietà farmacologiche o fisico–chimiche che ne determinano il potenziale vescicante, in particolare:
- azione vasoattiva
- pH ed osmolarità discordanti rispetto ai range fisiologici
vasopressori
Il loro stravaso può determinare vasospasmo mediato dai recettori α-adrenergici; il meccanismo imputato di evocare il danno tissutale correla con l’ischemia locale secondaria vasocostrizione severa di capillari, vene e casa vasorum, con alterazione del metabolismo tissutale e redistribuzione del flusso ematico. Le lesioni associate allo stravaso di vasopressori in somministrazione periferica, in particolare dopamina e noradrenalina, sono frequenti (è riportata un’incidenza fino al 46-68%) e caratterizzate da una alta morbilità; l’utilizzo prolungato di questi farmaci richiede un CVC. Principali vasoattivi coinvolti: adrenalina, blu di metilene, dobutamina, dopamina, fenilefrina, noradrenalina (medicamento che vanta il maggior numero di dati pubblicati), vasopressina.
pH
Soluzioni con pH che si discosti sostanzialmente dal valore fisiologico 7.35-7.40 possono risultare caustici per il tessuto endoteliale; in particolare, se il pH risulta < 5 o > 9 i medicamenti non devono essere somministrati attraverso via venosa periferica o midline, ma solo attraverso un accesso venoso centrale. Nello specifico (i pH sono indicativi):
- agenti alcalini: il meccanismo di lesione è la necrosi colliquativa correlata agli ioni idrossido, con distruzione del collagene, vasocostrizione, edema, apoptosi cellulare e rischio elevato di danno dei tessuti profondi. Tra i medicamenti interessati, acyclovir (pH 11), ampicillina (pH8-10) fenitoina (pH 10-12), thiopental sodico (pH 10-11) furosemide (pH 8-9.3).
- agenti acidi: determinano necrosi coagulativa, disidratazione cellulare, vasocostrizione, edema e formazione di escare a seguito della cessione di idrogenioni ed al potere riducente. Tra i farmaci: adrenalina (pH 2.2-5), amiodarone (pH 3.5-4.5), dobutamina (pH 2.5-5.5), dopamina (pH 3), gentamicina (pH 3-5.5), noradrenalina (pH 3-4.5), prometazina (pH 4-5.5), vancomicina (pH 2.5-4.0), vasopressina (pH 2.5-4.5).
sostanze osmoticamente attive
Sono da considerarsi iperosmolari tutte le soluzioni con osmolarità superiore rispetto a quella del plasma (≃ 280-300 mOsm/l), quindi superiore ai ≃ 310 mOsm/l; in particolare, l’infusione prolungata di soluzioni con una osmolarità superiore ai 600 mOsm è associata ad un elevato rischio di danno endoteliale, con la potenzialità di alterazioni della permeabilità e stravaso. La somministrazione di medicamenti caratterizzati da questa osmolarità dovrebbe essere limitata ai soli accessi centrali percutanei, tunnellizzati od impiantati chirurgicamente (INS Standards of practice link). A livello dei tessuti, il meccanismo di lesione per gli agenti iperosmolari correla con un danno cellulare diretto correlato e con alterazioni del volume intracellulare mediato dal richiamo di liquidi attraverso la membrana cellulare. L’incremento locale della pressione osmotica può inoltre determinare shift di liquidi verso lo spazio interstiziale e lesione per compressione del tessuto muscolare e delle strutture vascolari e nervose dell’area. Farmaci ipo-osmolari possono indurre implosione cellulare, ma normalmente non sono riportati come responsabili di lesioni, al contrario degli agenti iperosmolari (osmolarità indicative):
- se glucosio al 5% è isotonico (278mOsm/l), tutte le concentrazioni superiori risultano ipertoniche: 10% (555 mOsm/l), 25% (1110 mOsm/l), 30% (1830 mOsm/l), 50% (2275 mOsm/l)
- il bicarbonato di sodio all’1.4% (1/6 molare) ha una tonicità di poco superiore rispetto a quella del plasma (333mOsm/L), le altre concentrazioni sono iperosmolari: NaHCO3 4.2% = 1000 mOsm/L 8.4% (1 molare o 1 mEq/ml) = 2000 mOsm/L
- Nutrizione Parenterale Totale (osmolarità variabile); l’aggiunta di elettroliti e aminoacidi può modificare pH ed osmolarità e implementare il danno.
- CaCl2 10% (2040 mOsm/l)
- Calcio gluconato 10% (669 mOsm/l)
- MgSO4 10% 812 mOsm/l
- NaCl 3% (1026 mOsm/l), 5% (1712 mOsm/l)
- soluzioni di potassio (osmolarità dipendente dal sale e dalla concentrazione)
- mannitolo 10% (550 mOsm/l), 18% (990 mOsm/l)
- mezzo di contrasto ad alta osmolarità
alcune precisazioni (a complicare il quadro…)
– in analoghe condizioni di stravaso/infiltrazione in termini di farmaco e sede, una maggiore concentrazione del medicamento, un maggiore volume stravasato, un maggiore tempo di esposizione aumentano il rischio e la gravità delle lesioni;
– un farmaco può contemporaneamente presentare più di un fattore di rischio; ad esempio gli agenti vasoattivi, da un punto di vista farmaceutico, presentano spesso un pH notevolmente inferiore a 5. Le soluzioni di elettroliti concentrati, indipendentemente dall’elevata osmolarità, possono prolungare la depolarizzazione e influenzare lo stato di contrazione del muscolo liscio degli sfinteri pre/post capillari, determinando ischemia e necrosi tissutale, e modulare la permeabilità delle pompe di membrana; inoltre, la precipitazione dei sali di calcio può determinare lo sviluppo di calcificazioni tissutali (calcinosis cutis) ad onset tardivo (2-3 settimane) e più comuni nel neonato. Fenitoina sodica presenta una formulazione iperosmolare, per la presenza di glicole propilenico, un alto pH, per la presenza di idrossido di sodio, e tende alla precipitazione a seguito di diluizione o del contatto con medicamenti acidi; per queste caratteristiche è caratterizzata da un elevato di rischio di stravaso; spesso il fenomeno è accompagnato da particolari lesioni note come Purple Glove Syndrome – PGS (condizione dalla patogenesi non chiara, che talora si verifica anche in mancanza di segni di franco spandimento extravascolare e può evolvere a necrosi diffusa e sindrome compartimentale).
– anche il fluido utilizzato per la ricostituzione e la diluizione può contribuire al danno, così come alcuni eccipienti presenti nella formulazione che possono indurre una risposta infiammatoria a livello vascolare, in particolare alcol benzilico (amiodarone, propofol, diazepam) e glicole propilenico, che aumenta l’osmolarità della soluzione (diazepam, digossina, etomidate, fenitoina, lorazepam, nitroglicerina
– come anticipato in relazione al paziente, la somministrazione di analgesici e/o anestetici locali può ridurre ridotta capacità di percepire discomfort/dolore a livello del sito di somministrazione, con potenziale ritardo diagnostico.
– la contemporanea somministrazione di vasodilatatori può esacerbare il danno, aumentando il flusso locale quindi l’area coinvolta.
– terapie anticoagulanti/antiaggreganti possono incrementare il sanguinamento a seguito di una lesione vascolare; inoltre, qualsiasi fluido/farmaco, qualora fuoriesca in quantità considerevole. entrambe queste situazioni possono determinare compressione dei tessuti circostanti, quindi, potenzialmente, sindrome compartimentale.
Sito, presidio e somministrazione
Sono riconosciuti fenomeni di stravaso/infiltrazione da ogni categoria di presidio vascolare venoso; sebbene la maggior parte della letteratura faccia riferimento ad accessi venosi periferici, le conseguenze di stravasi da cateteri centrali percutanei, tunnellizzati, impiantabili, pur meno frequenti, possono essere devastanti per le strutture anatomiche coinvolte e per la possibilità che possano eludere il monitoraggio. La sede dello stravaso può contribuire a determinare la gravità del danno sviluppato anche per le vie periferiche (contiguità a strutture osteoarticolari e nervose). Le problematiche legate agli accessi vascolari sono legate ad un posizionamento inappropriato, al dislocamento accidentale dei cateteri vascolari o a modalità di somministrazione non corrette. Rappresentano a questo proposito un particolare azzardo:
– scelta di siti di inserzione a livello di aree prone al movimento: arto dominante, articolazioni (fossa antecubitale e polso), dorso della mano, arti inferiori (e giugulare interna per i cvc) a maggior rischio di dislocamento accidentale; la cannula può, tra l’altro, muoversi all’interno del vaso e lesionarne la parete, permettendo fuoriuscite di farmaco.
– tentativi multipli di accesso prima dell’effettivo posizionamento o comunque traumi durante l’inserzione della cannula sono responsabili di soluzioni di continuità a livello della parete vascolare (in genere la posteriore), che permettono il passaggio dei medicamenti a livello interstiziale, e si instaurano meccanismi riparativi (formazione di coaguli) che, se prossimali, possono ostacolare il flusso del medicamento e favorirne lo stravaso/infiltrazione attraverso la lesione. Anche vene punte in occasioni precedenti possono presentare lesioni o fragilità parietali.
– utilizzo di cannule (butterfly) con aghi metallici o di acciaio che risultano più traumatici per il vaso.
– alto rapporto calibro della cannula/calibro del vaso (cannule di grande calibro in relazione al calibro del vaso), per il rischio di ostruzione del flusso e trombosi distale del vaso e/o flebite meccanica per irritazione della parete, e di lesione endoteliale per il contatto diretto con il farmaco in uscita dal presidio. Per questo, anche se controintuitivo dovrebbe venire utilizzata la cannula di minor calibro possibile, in relazione alle necessità ed al vaso disponibile.
– fissaggio inappropriato delle cannule, che permetta una mobilità tale da determinarne la dislocazione o comunque il movimento all’interno del vaso, con possibilità di lesione della parete e/o che non permetta l’ispezione continua del tramite.
– insufficiente profondità di inserzione di CVC multilume o migrazione extravascolare della porta prossimale durante l’utilizzo (la distanza della porta prossimale e distale aumenta con l’aumentare del numero delle vie, e può arrivare fino a circa 9 cm nei 5/7 lumi) con spandimento esterno dei farmaci somministrati; per medicamenti a rischio dovrebbero essere utilizzati il lumi distali.
– lunghezza inappropriata dell’ago utilizzato per accedere al reservoir di presidi impiantabili.
– utilizzo di alte pressioni di flusso (eg bolo manuale con siringhe di piccolo calibro, iniettore di mezzo di contrasto, infusore rapido) con rischio di lesione del catetere venoso, specie se centrale, se la velocità di somministrazione eccede la massima tollerata dal presidio.
– presenza di occlusione distale del presidio da trombo/coagulo o da depositi/precipitati, con rischio di aumento delle pressioni endoluminali nella cannula e infiltrazione extravascolare per il reflusso.
Operatori sanitari
In chiusura deve essere richiamato l’aumento del rischio correlato a mancanza di formazione teorica e competenze pratiche circa le corrette tecniche di cannulazione e la gestione ottimale dei cateteri, e soprattutto, ad una scarsa cognizione del problema e dei fattori predisposnenti, dunque delle strategie di prevenzione, associata talora ad un monitoraggio non accurato (anche per problematiche organizzative).
…e se succede? che si fa? Next time: indicazioni per il riconoscimento precoce di infiltrazioni e stravasi e la loro gestione.
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