Quando una nuova terapia si diffonde, soprattutto se è efficace o vantaggiosa, si può correre il rischio di non analizzare tutti gli elementi. Parlando di analgesici maggiori, qual è il rischio di indurre un abuso da ketamina?
La questione non è semplice, soprattutto se il principale motore dietro la diffusione della ketamina a dosaggio analgesico è la crisi degli oppiacei degli Stati Uniti.
Una diffusione smisurata di oppiacei maggiori, che ha creato dipendenze ed un particolare fenomeno, i cosiddetti drug seeker, che ha costretto a rivedere molte politiche sanitarie e prescrittive. La realtà statunitense non può esser presa ad esempio in Europa, e soprattutto in Italia, fanalino di coda per volume di prescrizione di oppiacei. Il 16% della popolazione mondiale (gli Stati Uniti) consuma il 92% di tutti gli oppiacei prodotti.
E’ innegabile che la ketamina rappresenti per loro una soluzione per il trattamento del dolore ospedaliero severo: noi non abbiamo la necessità di ridurre il consumo di oppiacei, anzi… ciononostante, la ketamina a dosaggio analgesico ha indubbi vantaggi, e di questo ne abbiamo già parlato.
Abbiamo citato l’abuso di oppiacei, e una domanda che ho ricevuto spesso è legata al rischio di abuso connesso alla ketamina.
E’ possibile indurre dipendenza da ketamina quando si utilizza un dosaggio analgesico?
La domanda è semplice, ma la risposta non lo è, e per svariati motivi, come vedremo.
Iniziamo dal contesto: la ketamina, ad oggi, è una delle sostanze d’abuso più diffuse in Europa e in Italia.
Davvero vogliamo parlare di un farmaco analgesico che è al contempo una sostanza di abuso?
E quanto è elevato il rischio di indurre una dipendenza?
Non lo sappiamo, ma ai dosaggi analgesici viene considerato generalmente molto basso: consideriamo che all’origine di un abuso e di una dipendenza di qualsiasi natura esiste una complessa interazione tra substrato psicologico (la base del rischio) e gli effetti della sostanza. Nel caso della ketamina, ci mancano ancora molti tasselli per poter raggiungere una risposta conclusiva.
«La ketamina non è come l’eroina e non è nemmeno una specie di Lsd, di amfetamina, di ecstasy o di cocaina, sebbene qualche volta induca effetti che assomigliano a quelli di tutte queste sostanze. Essa è un farmaco psicoattivo complesso, con un ampio ventaglio di possibili effetti sulla coscienza, il cervello e il resto del corpo”,
come scrive il dottor Jensen in un saggio divulgativo sugli effetti psichedelici e psicomimetici del farmaco.
Una azione così complessa e diversificata rende del tutto inapplicabili i confronti con la letteratura inerente l’abuso di ketamina: è diverso il contesto psicologico rispetto alla prescrizione medica ospedaliera, sono differenti i dosaggi, le vie di somministrazione, e non abbiamo idea delle concentrazioni plasmatiche raggiunte quando viene assunta come sostanza d’abuso.
Parlando di ketamina, abbiamo già ampiamente descritto come gli effetti variano in relazione alla dose somministrata:
si parte dalla dose analgesica (quella più bassa, fino a 0.3 mg/kg ev), per arrivare infine alla dose dissociativa (oltre 1 mg/kg ev); in mezzo abbiamo il dosaggio caratterizzato da sintomi psicomimetici (fino a 0.5 mg/kg), utilizzato in clinica a fini antidepressivi, e il dosaggio subdissociativo (tra 0.6 e 0.8 mg/kg), caratterizzato da depersonalizzazione, allucinazioni di vario tipo e agitazione psicomotoria. In chi abusa di ketamina a fine voluttuario, gli effetti ricercati sono quelli intermedi; in caso di dosaggio appena superiore, la reazione può essere violenta, mentre se per caso si raggiunge la dose massima, l’abusatore entra in stato dissociativo (nel gergo, definito K Hole).
Da quanto abbiamo detto, appare abbastanza evidente come l’induzione di una possibile dipendenza da ketamina si basa su dosaggi sufficientemente elevati (superiori a quelli utilizzati a fini analgesici), in soggetti predisposti che ricercano determinati effetti psicomimetici, e questo non si può applicare ad una prescrizione analgesica.
Quindi parliamo di un farmaco che varia gli effetti psicomimetici a seconda del dosaggio utilizzato, ma non è l’unica pregorativa della ketamina.
Infatti, la percezione psicomimetica della ketamina si modifica a seconda del contesto, e delle aspettative del paziente. Una preparazione dell’ambiente, e l’invito ad elaborare pensieri positivi, sono essenziali per convertire gli effetti psicomimetici indotti dal farmaco da un’esperienza sgradevole ad una piacevole e positiva, e questo vale anche per i dosaggi dissociativi. Questo particolare aspetto era stato descritto anche da Timothy Leary.
Un paziente molto speciale una volta mi ha descritto l’effetto della sedazione dissociativa da ketamina: “è come avere gli occhi rivolti verso il proprio cervello”, e quindi è evidente che una preparazione adeguata risulti essenziale per evitare effetti negativi o spaventosi, o anche solo sgradevoli.
Ma quanto può essere positiva l’esperienza di un paziente con un dolore acuto? per quanto possiamo sforzarci, non possiamo indurre uno stato psicologico del tutto favorevole, e anche questo può in qualche modo evitare l’induzione di una dipendenza da ketamina: il farmaco toglie il dolore acuto, ma la sintomatologia psicomimetica che può evocare (per quanto limitata e rara ai dosaggi analgesici, che ricordiamo essere i più bassi) non è sempre positiva, e quindi viene a mancare uno degli elementi alla base dell’induzione di una dipendenza.
Dobbiamo sottolineare infatti che la ketamina è in grado di determinare dipendenza psicologica, ma non fisica:
la sospensione in chi ha una dipendenza da ketamina non evoca i sintomi astinenziali tipici che osserviamo negli abusi da oppiacei. Questo è un punto essenziale, perché riduce il rischio di induzione di una dipendenza se mancano il substrato psicologico ed il rinforzo degli effetti psicomimetici positivi: quindi ritorniamo al punto di partenza iniziale, ovvero che il rischio di indurre dipendenza quando usiamo il dosaggio analgesico della ketamina è estremamente basso.
Basso, ma non nullo, però – perché dobbiamo sottolineare ancora un aspetto essenziale: alla base di ogni dipendenza c’è la dopamina, che determina un rinforzo comportamentale positivo e che tende a far reiterare il comportamento alla persona.
E la ketamina ha una nota azione dopaminergica diretta sui recettori D1 presenti nella corteccia prefrontale, lo stesso sito che spiega l’origine dei sintomi psicomimetici e la capacità dei dosaggi subdissociativi di simulare quadri schizofrenici. Quindi è possibile che l’azione diretta dopaminergica della ketamina possa in qualche modo originare una dipendenza?
Come accennato in precedenza, stiamo progressivamente allargando la nostra conoscenza dell’azione farmacodinamica cerebrale estremamente diversificata del farmaco, ma ancora molte cose ci sfuggono.
Se la ketamina può – da un punto di vista teorico – indurre una dipendenza, un altro elemento cambia ancora le cose.
La ketamina viene utilizzata come farmaco per controllare altre dipendenze…
Ritarda la comparsa di sindrome astinenziale da alcol ed eroina, e ne riduce l’intensità; riduce la dipendenza da cocaina, e da varie altre sostanze d’abuso.
Perché?
La ketamina agisce direttamente sui recettori glutaminergici NMDA, presenti per esempio a livello prefrontale; determina una azione neuroplastica, con modulazione di circuiti patologici nelle dipendenze; e modifica i circuiti patologici alla base della dipendenza; e determina un cambiamento dei circuiti mnemonici di rinforzo della dipendenza stessa; e inoltre, grazie alla sua azione antidepressiva, migliora l’adesione ai programmi di recupero del paziente. La ketamina è anche importante nelle dipendenze da oppiacei in generale, perché modula il sistema oppioide endogeno, riducendo la tolleranza agli oppiacei, permettendo di ridurre la loro posologia.
Quindi, cosa abbiamo in mano?
La sicurezza del dosaggio analgesico, che non è in grado di evocare sintomi psicomimetici positivi che possano in qualche modo scatenare una dipendenza, che nel caso della ketamina è solo di tipo psicologico; e l’utilizzo del farmaco nel trattamento di altre dipendenze.
Le evidenze sono comunque ancora limitate, ma gli studi sui modelli animali sembrano supportare quanto abbiamo appena descritto. Non esistono elementi che facciano pensare ad un rischio di indurre dipendenza da ketamina quando utilizziamo i dosaggi analgesici indicati (massimo 0.3 mg/kg); sebbene il rischio sia considerato molto basso anche per i dosaggi maggiori (0.5 mg/kg), in questo ambito gli effetti psicomimetici sono presenti e si può ipotizzare comunque un rischio differente, e magari ipotizzare l’associazione con benzodiazepine con effetto amnesico (come il midazolam) per evitare il rinforzo psicologico positivo alla base della dipendenza…
…per quanto, in alcuni contesti clinici, come nel trattamento dell’anoressia nervosa (un campo di possibile sviluppo dell’uso della ketamina), alcuni autori hanno ipotizzato che i sintomi psicomimetici indotti dalla ketamina (depersonalizzazione, alterazione nella propriocezione e nella concezione stessa del proprio corpo) possano avere un ruolo terapeutico perché riducono la dispercezione del sé delle pazienti con anoressia.
Ma questa è un’altra storia, e magari ne riparleremo…
ma esistono alcune osservazioni molto interessanti anche per il dolore, secondo cui gli effetti psicomimetici sono essenziali per la risposta analgesica, perché il target a livello del sistema limbico è sovrapponibile e probabilmente inscindibile, ma anche questo richiede ulteriori approfondimenti.
In sintesi, abbiamo in mano un farmaco con bersagli diversificati a livello corticale e sottocorticale, con elementi di neuromodulazione interessanti, ed affascinanti, e che pertanto dobbiamo utilizzare senza timore di indurre una dipendenza, perché come abbiamo visto il rischio è più teorico che remoto.
E la ketamina può aiutarci, perché può “legare la forte pazzia con fili di seta, e incantare il dolore con l’aria.”
(William Shakespeare, Molto Rumore per nulla)
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Come sempre magistrale
Grazie Mario!!! Ma è tutta farina SAU!