mercoledì 4 Dicembre 2024

La cardioversione elettrica di una fibrillazione atriale in PS… Oltre Frankenstein

Noi medici siamo strani: temiamo quello che non dovremmo temere e insistiamo con determinati comportamenti malgrado la loro documentata e provata pericolosità.

Un esempio? parlando di analgesia, l’opiodofobia ci mette agli ultimi posti al mondo come consumo pro capite di oppiacei, quando siamo tra i primi nella prescrizione di FANS, anche negli anziani. E l’AIFA continua ad emettere richiami sull’uso del ketorolac, ricordando le sue indicazioni ristrettissime e la sua pericolosità…

…e niente, continuiamo a prescriverlo a tutti, senza pensarci e senza preoccuparci minimamente.

Parlando di cardioversione elettrica (CVE) dobbiamo fare i conti con una paura atavica che ci portiamo dietro da tempo:

forse per via delle immagini di Frankenstein che al cinema dona la vita alla sua creatura con un fulmine… Oppure, più banalmente, siamo portati a considerarla come una procedura di emergenza, sia di cardioversione che di defibrillazione, con tanto di “libera” che fa tanto E.R…

A conferma di ciò, le linee guida per la fibrillazione atriale hanno da sempre posto la CVE come seconda scelta e questo ha rinsaldato i nostri comportamenti……

…fino alle linee guida ESC 2016 che hanno posto allo stesso livello la CVE con quella farmacologica, e la scelta può essere presa dal paziente e dal medico.

Queste linee guida inseriscono un nuovo punto di vista, e ci descrivono una procedura che deve avere, almeno, la stessa efficacia, la stessa sicurezza, e la stessa maneggevolezza della somministrazione di un farmaco in vena.

E’ proprio così?

Come può essere gestito un paziente con fibrillazione atriale parossistica che si presenta in Pronto Soccorso? Cerchiamo di presentare una delle opzioni previste dalle linee guida, ossia l’approccio che prevede la CVE, e che è quello che cerco di applicare nella mia realtà.

Il primo elemento è la valutazione della stabilità emodinamica.

Se il paziente è instabile, è necessaria la cardioversione elettrica in urgenza, anche se l’aritmia non è databile, previa anticoagulazione con eparina non frazionata per via endovenosa. Consideriamo instabile non solo il paziente ipoteso, ma anche quello con dolore toracico e con alterazioni ECG di tipo ischemico.

Noi però vogliamo concentrarci sul paziente STABILE, e  l’elemento essenziale da appurare è la durata dell’aritmia: questo varia notevolmente i rischi tromboembolici del paziente e le nostre possibilità terapeutiche:

  • se l’aritmia è insorta da meno di 48 ore è possibile prendere in considerazione la possibilità di una cardioversione elettrica;
  • se l’aritmia è insorta da più di 48 ore o non è databile con sicurezza, allora la cardioversione non è attuabile, a meno di ecografia transesofagea. In questo caso, deve essere iniziata terapia anticoagulante.

Di nuovo, escludiamo tutti i pazienti con altre strade terapeutiche e focalizziamoci su di lui: il paziente con fibrillazione atriale parossistica insorta da meno di 48 ore.

Attenzione, perchè questo punto è fondamentale,

e se nel giovane il riconoscimento è quasi sempre agevole, nell’anziano non possiamo sempre esserne sicuri: una accurata selezione dei pazienti è fondamentale per ridurre al massimo i rischi tromboembolici.

Bene, abbiamo appurato con sicurezza che il paziente ha una fibrillazione atriale ad altra frequenza da meno di 48 ore: cosa facciamo? Le linee guida indicano che un approccio iniziale per il controllo della frequenza (rate control) è sempre appropriato. Rimando alle linee guida per approfondire la scelta del farmaco (beta bloccante, calcio antagonista), ma nell’ottica di una possibile CVE, il mio consiglio è di evitare la somministrazione per os ma optare per una infusione endovenosa: dopotutto, tra poco dovremmo sedarlo, ed è meglio evitare di inserirgli qualcosa nello stomaco.

Ma dopo? il passo successivo interessa il controllo del ritmo cardiaco.

Quando è indicato un tentativo di cardioversione? Sempre, o quasi. 

Dobbiamo ovviamente basarci sui sintomi e sullo score sintomatologico EHRA

che guiderà la nostra scelta, tenendo conto che un tentativo è indicato per pazienti con score superiore o uguale a 2 (ovvero che sono paucisintomatici). Dobbiamo però notare che  un paziente che abbandoni tutte le sue attività per raggiungere il pronto soccorso ha un punteggio EHRA di 4, e questo deve essere riportato nella cartella.

Quindi, un tentativo di cardioversione è quasi sempre indicato… 

Ma quale? Elettrica o farmacologica?

Come già detto, la scelta tra le due strade, secondo le linee guida ESC, la prende il paziente guidato dal medico. Se il medico ha le competenze e l’esperienza, ed il paziente accetta, la CVE viene posta sullo stesso piano di quella farmacologica. 

Perchè il medico d’urgenza dovrebbe optare per la CVE? e perchè il paziente dovrebbe preferirla?

Immaginiamo una bilancia, e mettiamo su un piatto l’approccio classico, che prevede l’infusione di farmaci, e dall’altra l’approccio con CVE: mettiamo sui piatti la sicurezza, l’efficacia e la rapidità delle due procedure e vediamo cosa accade, Se la CVE si dimostra sicura, efficace e rapida almeno come l’approccio classico, allora la risposta sarà ovvia.

SICUREZZA

La CVE è sicura? diversi studi prospettici, alcuni ben condotti, hanno dimostrato tassi di complicanze nella CVE ben inferiori rispetto ai pazienti sottoposti a cardioversione farmacologica (0.8 vs 4.6% come nello studio di Bellone).

Quali sono gli eventi avversi di una CVE?

bradicardia, isolati e transitori blocchi atrioventricolari, che sono in genere più comuni negli anziani e che sottendono una malattia del nodo del seno.

Sono pazienti che potrebbero avere necessità di un pacemaker, e che del resto potrebbero sviluppare bradicardia significativa anche in corso di cardioversione farmacologica.

Tra gli eventi avversi della CVE viene indicata anche l’induzione di tachicardie o fibrillazioni ventricolari, ma soprattutto per errore dell’esecutore: la scarica deve essere erogata in modalità sincro (si veda oltre), per erogarla subito dopo l’onda Q o R.

Una cardioversione non sincronizzata diviene una defibrillazione e può cadere nel tratto ST, momento inerte e a rischio di induzione di aritmie maligne. Nella malaugurata ipotesi di un evento simile, non facciamoci prendere dal panico, ed eroghiamo una nuova scarica non sincronizzata di defibrillazione.

Ad essere obiettivi, anche gli eventi avversi degli antiaritmici sono poco significativi (con l’eccezione dell’amiodarone): anche qui parliamo di bradicardia, talvolta qualche ipotensione, però innegabilmente gli antiaritmici possono essere proaritmogeni, e non si dovrebbe mai associare un antiaritmico ad un altro.

Inoltre gli antiaritmici devono essere diversificati a seconda della presenza o meno di una cardiopatia: se nel paziente a cuore sano possiamo somministrare propafenone o flecainide, nel cardiopatico rimane l’amiodarone, con notevoli problemi di lesività polmonare e tiroidea, e che richiede una infusione in una via centrale.

La CVE, invece, è erogabile in entrambi i gruppi di pazienti, essendo ugualmente sicura nel cardiopatico.

Perchè la CVE è così sicura? 

La CVE comporta la depolarizzazione di tutte le cellule cardiache, permettendo alle cellule del nodo seno atriale di riprendere la loro normale attività ripristinando il ritmo sinusale.

Semplice, pulito, essenziale…

Come agiscono i farmaci antiaritmici? modificano il potenziale elettrico delle cellule agendo sui canali del sodio, del potassio o del calcio, a seconda della classe.

Un’azione meno prevedibile, più lenta, e che riconosce diverse interazioni a seconda delle terapie assunte dal paziente.

William Osler, il più citato medico della storia, ha definito il Medico come “colui che infonde sostanze che non conosce in organismi che conosce ancora meno“: probabilmente, aveva in mente gli antiaritmici (non è vero, sarebbero arrivati molti anni dopo, ma ben si adatta a questa classe di farmaci)…

Possiamo essere impressionati dall’idea di erogare una scarica elettrica al nostro paziente, ma quanta energia raggiunge realmente il cuore? con un defibrillatore monofasico circa il 5%, ancora meno con quelli moderni difasici.

Grazie alle galline… ed al dottor Abildgaard,

prode scienziato danese che nel 1775 passava le giornate ad applicare scariche elettrice alle galline per renderle apparentemente morte e “rianimarle” con una seconda scarica.

Da lui sono nati gli studi sull’elettrofisiologia cardiaca (un po’ di anni dopo) che hanno permesso nel 1947 a produrre il primo defibrillatore a corrente alterna, monofasico, ben lontano dai nostri attuali standard, ma funzionale.

La CVE è sicura anche per quanto riguarda il rischio tromboembolico: in alcune casistiche si parla di un rischio tromboembolico di 0.06%, anche a 30 giorni dalla procedura. Dobbiamo sottolineare però che questo rischio non è esclusivo della CVE, ma proprio del ripristino del ritmo sinusale, ed è condiviso con la cardioversione farmacologica.

Quindi la CVE è sicura, ma non basta.

La sicurezza è essenziale, ovviamente, ma una procedura sicura deve essere efficace, altrimenti non potremmo giustificare il suo utilizzo.

EFFICACIA

La CVE è efficace? almeno come la cardioversione farmacologica?

Devo fare una premessa: analizzando la letteratura, le percentuali di risposta ad una cardioversione variano notevolmente, perché cambiano i criteri che definiscono il successo della procedura da studio a studio. Per intenderci, alcuni lavori definiscono “successo” una CVE che ripristini il ritmo sinusale, anche se recidiva dopo pochi secondi; altre definiscono “successo” un paziente ancora in ritmo sinusale a 24 ore. Ma gli stessi criteri variano anche per la cardioversione farmacologica.

Il range di efficacia per la CVE in letteratura è di 85-97%, contro il 50-75% di quella farmacologica.

(altra questione di lana caprina: è innegabile che la cardioversione farmacologica sia efficace e che molti pazienti abbiano un ripristino spontaneo, ma questa percentuale non supera il 50% e secondo alcuni lavori non raggiunge il 30%. Il punto focale è un altro: la CVE è almeno efficace come quella farmacologica se non di più, e su questo la letteratura è unanime).

Quindi sicura ed efficace. Ma è rapida? 

RAPIDITA’

Rapida è rapida: la scarica dura pochi millisecondi, e se ha successo, il ripristino del ritmo è immediato. Il problema è che il paziente deve essere sedato, perché la procedura è estremamente dolorosa.

Anni fa, quando ho iniziato a lavorare in Pronto Soccorso, la procedura di una CVE era bizantina, perché dovevi sincronizzare gli interventi del cardiologo e del rianimatore, con il medico del pronto soccorso a fare da vigile. 

Perché tutto questo possa funzionare, ed essere funzionale per il servizio, tutti i passaggi della procedura devono essere gestiti dal medico d’emergenza.

E allora sì, che diventa rapida, senza possibilità di confronti con la cardioversione farmacologica.

Non voglio entrare nel profondo della questione, già affrontata in altri post, ma la sedazione procedurale eseguita dal medico d’emergenza è sicura se: 

– la esegue un medico competente ed esperto nella procedura, consapevole di svolgere una procedura sicura ma potenzialmente foriera di complicazioni, che deve saper prevedere e gestire

– viene eseguita nei pazienti con basso rischio anestesiologico (classe ASA 1 e 2).

In questi casi, la CVE con sedazione procedurale, svolta dal medico d’emergenza, è davvero sicura, efficace e rapida

Con quali farmaci?

Direi che ci sono tre opzioni differenti:

1) PROPOFOL:

che ormai utilizzo preferenzialmente, al dosaggio di 1 mg/kg (da dimezzare nel paziente anziano), con boli successivi dimezzati rispetto alla dose iniziale ogni 2-3 minuti, fino al raggiungimento del livello di sedazione profonda.

ACCORGIMENTI:

ha ovviamente un impatto maggiore sulle vie aeree e richiede una persona che stia alla testa del paziente pronto ad intervenire nell’apertura delle vie aeree con iperestensione del capo in caso di ipoventilazione. Avere il capnografo può aiutare, ma in assenza un occhio attento sulla dinamica respiratoria permette di anticipare la desaturazione non appena si identifica un cambiamento della dinamica respiratoria.

Rispetto ad altri farmaci, ha un effetto ipotensivo maggiore, per cui si consiglia cautela nel paziente ipoteso (se vuoto). Nel caso di ipotensione da instabilità emodinamica per la alta frequenza, la sua alta rapidità di azione permette di correggere il problema e rendere stabile il paziente, senza causare ipotensione.

VANTAGGI:

la sua grande rapidità di azione, che fa sì che un eventuale evento avverso come la desaturazione si risolva in pochi minuti. Per questo, il propofol viene preferito da molti autori, anche in assenza di un antidoto.

2) MIDAZOLAM – FENTANYL:

il midazolam alla dose di 0.1 mg/kg (anche qui, dimezzata nell’anziano) associandola al fentanyl (1 mcg/kg), con boli ulteriori di midazolam ogni 5 minuti, dimezzati rispetto alla dose iniziale, fino al raggiungimento del target di sedazione profonda.

L’associazione con il fentanyl ha la funzione primaria di potenziare l’azione sedativa del midazolam, e non serve come analgesico: gli oppiacei, per loro natura, non controllano i picchi di dolore, ma solo il dolore sordo, e sarebbe pertanto inutile sul dolore evocato dalla scarica.

La sedazione con il midazolam tende ad essere solo superficiale, a meno di adeguata titolazione, e il fatto che il pazienti non ricordi la procedura per effetto amnesico del farmaco non significa che non abbia provato dolore. Il fentanyl mi permette una sedazione più profonda a parità di dosaggio.

ACCORGIMENTI:

la relativa “morbidezza” del midazolam sulle vie aeree e la presenza di un antidoto NON deve farci abbassare la guardia, soprattutto per la sua emivita nettamente superiore a quella del propofol: ricordiamoci che il paziente non viene più stimolato e dopo la procedura il livello di coscienza può approfondirsi con possibile comparsa di eventi avversi. Il paziente deve essere controllato clinicamente almeno fino a mezz’ora dal termine della procedura (45 minuti nei pazienti anziani).

3) KETAMINA:

alla dose dissociativa di 1-2 mg/kg. La ketamina è un ottimo farmaco, sicuro ed efficace (ne abbiamo già parlato), ma in questo particolare ambito la vedo come una terza scelta, soprattutto per la durata della sedazione (almeno 20-30 minuti).

Il suo principale vantaggio è l’azione sulla pressione arteriosa, rendendola particolarmente sicura nei pazienti ipotesi.

Una volta raggiunto il livello di sedazione necessario, si eroga la scarica, con l’accortezza di premere il tasto di SINCRONIZZAZIONE sul dispositivo, per i motivi che abbiamo già descritto: il livello di energia richiesto per una cardioversione elettrica è di 100J, incrementabili a 150 e 200J in caso di mancata risposta (in genere, non supero mai i tre tentativi).

Una precisazione: parliamo di fibrillazione atriale, perchè il flutter atriale richiede generalmente energie minori (50-75J). In caso di pazienti obesi, alcuni autori suggeriscono la doppia cardioversione sincronizzata, con due operatori e due defibrillatori.

Una volta sono stato chiamato da un collega perché il defibrillatore non erogava la scarica: era dovuto a complessi particolarmente bassi del QRS nella traccia del monitor, così la macchina non leggeva un’onda Q o R e non erogava la scarica. In questo caso, consiglio di cambiare la derivazione per migliorare la traccia, e quindi permettere la sincronizzazione della CVE (non deve essere invece disattivato il tasto sincro, come già accennato).

Dunque la CVE è una procedura sicura, efficace e rapida,

che permette di gestire in modo autonomo i pazienti con fibrillazione atriale e dimetterli direttamente dalla sala di pronto soccorso, a patto di utilizzare un percorso logico e basandosi sulle competenze che un medico d’emergenza deve possedere.

La stesura di un protocollo, e di un consenso informato per i pazienti, è essenziale, ma rimane la questione di fondo: la CVE è una procedura più semplice di quello che abbiamo sempre pensato e dovrebbe essere più diffusa.

Perchè non dobbiamo mai dimenticarci, come scriveva Leonardo da Vinci, che

“la semplicità è la suprema sofisticazione”

Alessandro Riccardi
Alessandro Riccardi
Specialista in Medicina Interna, lavora presso la Medicina d’Emergenza – Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Savona. Appassionato di ecografia clinica, è istruttore per la SIMEU in questa disciplina, ed è responsabile della Struttura di Ecografia Clinica d’Urgenza . Fa parte della faculty SIMEU del corso Sedazione-Analgesia in Urgenza. @dott_riccardi

19 Commenti

  1. Sono un infermiere di anestesia. In sala utilizziamo spesso la ketamina in determinate categorie di pazienti. Al suo uso viene associato anche un bolo di atropina a causa della scialorrea che ne consegue. La mia domanda è: nel caso venga utilizzata la ketamina nella preparazione di un per una CVE è consigliabile utilizzare l atropina, considerata la sua incidenza sulla frequenza cardiaca? Grazie

    • Grazie per il commento! Alla tua domanda sull’atropina… Direi di no, non è consigliabile somministrare atropina, non tanto per l’effetto in acuto, quanto per il rischio di far recidivare la fibrillazione atriale. Vorrei però sapere quale dosaggio di ketamina somministrate e se associate altri farmaci. Una scialorrea (che vedo raramente quando uso la ketamina da sola a dosaggi dissociativa) non mi preoccupa eccessivamente per due motivi: 1) la ketamina ti preserva i riflessi faringei e 2) non vado a stimolare le vie aeree… Però, nella mia personale esperienza, preferisco usare il propofol o il midazolam come seconda scelta, lasciando la ketamina come riserva di lusso da usare quando hai bisogno di lei. A mio avviso, l’ambito in cui la ketamina agisce da regina è la sedazione della psicosi acuta e del delirio eccitato

  2. Ottimo post! Che fa notevole chiarezza sull’argomento CVE e FAP.

    Mi permetto tre osservazioni:
    1. rendere edotto il Paziente sulle complicanze (st tromboembolismo) della cardioversione (anche farmacologica) e ottenere sempre il consenso informato scritto (anche da tutore legale, se è il caso);

    2. recentemente alcuni esperti indicano tempi più ristretti per tentare con sicurezza la cardioversione della FAP a RS (=<24 ore). Restiamo in attesa di ulteriori conferme o smentite.

    3. "L'Elettricità Non Inquina!"

    Cordialmente

    • Grazie per le precisazioni, sempre gradite, e per il commento. In particolare
      1) la raccolta del consenso e la attenta compilazione della cartella sono fondamentali, è vero!
      2) sul limite temporale, sono ancora d’accordo. Non amo cardiovertire dopo le 24 ore perché i dubbi sono tanti: perché il paziente non è venuto prima? Perché non era preoccupato o non aveva sintomi significativi? Quindi, con quale certezza posso ipotizzare una insorgenza certa? Però comprendo il punto. Finché le linee guida non lo chiariranno, entro le 48 ore potrei (o dovrei?) tentare un ripristino del ritmo sinusale…
      3) l’elettricità non inquina. Bellissimo… Posso usarlo?

      • Condivido assolutamente la preoccupazione della cardioversione (con qualunque mezzo) dopo le “24 ore”. Anch’io mi pongo sempre il dubbio sull’insorgenza temporale certa della aritmia e, a prescrindere dalle LL.GG, confesso che non mi sento affatto tranquillo (per il Paziente, ovviamente).

        Per quanto riguarda l’aformisma, che dire?

        E’ sovente la “chiave di volta” per convicere i Paziente a sottoporsi alla CVE : un approccio “ecologista” paga e soddisfa! 🙂

        Non ho il copyright, quindi chiunque può usarlo senza problemi!

        Grazie dell’attenzione, Alessandro.

        Continua (continuate) col il VS autorevole ed apprezzato lavoro di approfondimento e divulgazione in MEDURG!

  3. Complimenti per la chiarezza e l’efficacia di questo post, come di tutti gli altri di questo ottimo sito.
    Sono un neolaureato e devo dire che ho sempre trovato tutti i post estremamente utili, didattici e spunto di riflessione e di approfondimento per argomenti non sempre trattati così bene sui libri.
    Argomenti che vengono affrontati da voi con grande chiarezza e praticità così da poterli applicarli nella pratica clinica.
    Grazie

    • Grazie a te per il tuo commento e per l’interesse! Comunque, nell’ambito della medicina d’emergenza, parliamo generalmente di quello che facciamo… La chiarezza viene da sé!

  4. Bellissimo articolo, da leggere e rileggere. Complimenti. Una riflessione. “Bene, abbiamo appurato con sicurezza che il paziente ha una fibrillazione atriale ad altra frequenza da meno di 48 ore”: secondo me la cosa più difficile è proprio questa. Come fare? Basta l’anamnesi? Nei casi dubbi come vi comportate? Grazie.

    • Grazie mille! Per rispondere alla tua domanda, non c’è altro criterio se non una anamnesi attenta, e la valutazione attenta dei sintomi. Se nel giovane con sintomi da poche ore, dubbi non ne ho, qualche riserva la ho nei pazienti anziani, e cerco comunque di non superare il limite delle 24 ore. Vedi anche lo scambio di idee con Mauro, qui sopra. Sopra le 24 di durata, i dubbi prevalgono e cerco di evitare. Il riscontro di un ecg in ritmo sinusale poco tempo prima può aiutare… Se il paziente, anziano, ha una storia di xx recidive, allora desisto perchè è facile che possa avere episodi silenti ed essere in fa da più tempo. Ma non esistono criteri certi

  5. Ti chiedevo cosa pensi di un dosaggio fisso di 5 mg di midazolam associato a 20-40 mg di propofol da aumentare progressivamente sino ad ottenere la risposta desiderata con ulteriori boli di 20 mg. Di recente, su consiglio di un collega, ho utilizzato tale associazione con notevole risultato.
    Non posso omettere i complimenti per il vostro blog: alimenta la nostra passione che resta l’unico motivo, a mio avviso, per sostenere il nostro lavoro e le condizioni in cui lo svolgiamo.
    Nicola Ragone
    PS Reggio Emilia

    • Grazie per il tuo apprezzamento! Per risponderti… Io non amo le associazioni, non ho mai amato il ketofol per esempio: due farmaci, due profili diversi, due eventi avversi che si sommano. Sicuramente, quello che proponi è efficace e ti raggiunge il target rapidamente, con basso dosaggio di entrambi,ma non posso consigliarlo a tutti. La sicurezza di un farmaco da solo, come il propofol, la sicurezza della titolazione fino al raggiungimento del livello desiderato di sedazione: sono questi gli aspetti da sottolineare, per diffondere la cultura della sedazione procedurale. Che non significa non usare la tua associazione, se la conosci e sai cosa aspettarti…

  6. Ciao Alessandro, complimenti per il post esaustivo come sempre. Nel mio p.s. utilizziamo la cve ormai da diversi anni , nonostante gli atteggiamenti avversi di molti colleghi e infermieri, ( è dura quando devi proporre e attuare novità) . Siamo sempre attenti alla probabile origine dell’insorgenza, alle comorbilita’ eventuali. In 10 anni non abbiamo mai avuto eventi di tromboemboliamo , almeno così ci risulta. Il nostro limite , ancora , è la paura di utilizzare in autonomia il propofol , ma chiamiamo sempre il.rianimatore che vuole il cardiologo. Il tutto dettato dallaannaia della.medicina legale. Spero , anche qui , di un ulteriore sforzo verso il rinnovamento.

    • Grazie Antonio, del tuo commento e del tuo impegno, in particolare sul fronte della sedazione ed analgesia (oltre che essere un maestro nello story telling!). Per quanto riguarda il propofol, è ora di abbandonare tutti i timori: per l’AIFA lo può usare un medico esperto in medicina intensiva – e l’urgentista lo è… ma non è solo l’AIFA a determinare il nostro lavoro, e con le riforme più recenti (la legge Gelli), se un medico opera nel rispetto delle linee guida, con le indicazioni e le modalità corrette, non è penalmente perseguibile. Il propofol è nelle linee guida? eccome. Il propofol è sicuro? eccome… lo dice la letteratura, ormai ben consolidata. E se ci pensiamo, il propofol (al dosaggio di 1mg/kg, dimezzandolo nell’anziano, e titolandolo fino al raggiungimento del livello di sedazione) è ancora più sicuro del midazolam: non ha antidoto, ma la sua rapidità è tale che l’effetto avverso regredisce dopo pochi minuti se stiamo attenti e controlliamo il paziente, consapevoli di quello che può accadere; e il fatto che possa dare effetti avversi, ci pone in un atteggiamento di estrema attenzione, che a volte con il midazolam non abbiamo: la presenza di un antidoto, e gli effetti più morbidi ci fanno abbassare la guardia, che può essere un guaio soprattutto per i suoi effetti protratti (quando il paziente non viene più stimolato e può comparire depressione respiratoria). Per questi motivi, il propofol dovrebbe essere la prima scelta… nelle mani del medico d’emergenza, la sua sicurezza è stata dimostrata in molti studi.

  7. Buongiorno, ringraziando per il post esauriente volevo chiedere quali sono i tempi di osservazione in PS che seguite dopo una cardioversione elettrica preceduta da sedazione procedurale con propofol, se seguite una particolare linea guida aziendale o internazionale.

    • Grazie del commento! Ci appoggiamo alle indicazioni internazionali e in sostanza: la dimissione non deve avvenire prima dell’esaurimento dell’emivita del paziente, e comunque non prima che il paziente abbia recuperato le normali funzioni precedenti la sedazione. Se il paziente deambulava, quando tollera la posizione ortostatica, deambula e appare vigile. La questione dell’emivita è molto importante per il midazolam, per cui la dimissione non deve mai avvenire se non dopo 45 minuti dalla procedura (o 60 minuti negli anziani), mentre diventa trascurabile per il propofol, che in bolo ha un’emivita di 6 minuti. In linea di massima, se ho richiesto gli esami ematochimici, attendo la loro refertazione (circa 45 minuti) anche per osservare eventuali recidive di fibrillazione atriale (in realtà, mai osservate). Se con il propofol il paziente può essere virtualmente dimesso dopo dieci minuti, non dobbiamo dimenticarci di indicare l’astensione dalla guida o da attività che richiedano attenzione fino a 24 ore dalla dimissione, per la possibile lieve sedazione causata da metaboliti del propofol che possono conservare una minima attività.

  8. Complimenti per l’articolo. Una domanda medico-legale: quale di questi farmaci è a uso esclusivo di anestesista/urgentista? Quale farmaco può essere usato dal cardiologo per CVE elettiva senza assistenza rianimatoria? Grazie.

    • Grazie per il tuo commento. Per rispondere, in tema medico legale, si apre un sistema bizantino.
      Premessa: gli unici due farmaci o dispositivi che sono limitati per legge ad una specialità sono i gas medicali e le radiazioni ionizzanti – legge peraltro del 1932, quindi molto datata. Il che significa che tutto il resto, può essere utilizzato o prescritto da chiunque sia laureato in medicina e abilitato all’esercizio della professione.
      Il gradino successivo sono le indicazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che non fanno legge (pensa, per esempio, che l’AIFA autorizza l’utilizzo del protossido d’azoto per i medici d’emergenza-urgenza e per i dentisti quando una legge lo vieterebbe), ma solo indicazioni. Il propofol, il fentanyl, possono essere utilizzati anche da non specialisti rianimatori, dunque. Tecnicamente, però, si rientra nell’off label, ovvero una prescrizione con assunzione di responsabilità del prescrittore (ti riporto il link in cui parliamo di off label  – https://www.empillsblog.com/uso-dei-farmaci-off-label/  )
      Ad abbassare l’asticella, ci pensa la Legge Gelli, che di fatto depenalizza l’atto medico se svolto con competenza e con accordo con linee guida.
      Questi farmaci sono nelle linee guida, e quindi sì, possono essere usati, ma a patto di aver fatto un percorso formativo adeguato per poter possedere le competenze adeguate. Un cardiologo può utilizzare da solo questi farmaci se lui e il suo team hanno consapevolezza della procedura che stanno eseguendo, dei rischi che può nascondere e che devono essere anticipati/gestiti, e se l’organizzazione lo prevede. Quindi formazione, preparazione, organizzazione adeguata. In tal senso, combattiamo da tempo su un punto: non ha senso non utilizzare il propofol perché offlabel e ripiegare sul midazolam perché considerato più sicuro (quando le metanalisi confermano che il propofol e la ketamina sono più sicuri quando usati con perizia): noi, e tanti come noi, affermiamo con forza il continuum della sedazione e il concetto che ogni sedazione (anche quelle moderate, eseguite con midazolam a basso dosaggio) debbano essere gestite con la stessa attenzione e consapevolezza di una sedazione profonda con propofol.

  9. Ciao
    Ti chiedo su come vi regolate sull’ utilizzo dell’ anticoagulante prima di eseguire CVE nel pz. con FA sicuramente databile.
    Lo fate o non lo fate?
    Se affermativo a quale linea guida fate riferimento
    Grazie

    • Grazie per il commento. Secondo le linee guida ESC 2020 (a cui faccio riferimento), nella FA databile e nel paziente stabile, non in terapia anticoagulante, dovrebbe essere iniziato un trattamento anticoagulante PRIMA della CVE (eparina non frazionata, sebbene questa sia per le forme instabili e non databili, eparina a basso peso molecolare, che di solito prediligo, o VKA, ma che non ha senso, dato che l’effetto non è immediato e anzi può avere una azione protrombotica all’inizio, o i DOACs – e ci sono studi su DOACs, per esempio l’apixaban, utilizzati a questo scopo), e poi seguire con la prescrizione per 4 settimane nei pazienti a basso rischio trombotico (il rischio trombotico sembra legato allo stunning post fibrillazione atriale), o indefinito se il rischio è alto.
      Quanto prima della CVE? non è dato saperlo, ma il punto è: inizialo subito, e poi fai la CVE. Tu non contrasti il rischio di eventi ischemici immediati dopo la CVE, perché è databile e non ci sono trombi endoatriali, ma lo somministri per evitare formazione di trombi successivi, per l’effetto dello stunning.

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