Quando sai di non sapere
Mattia non sa che non sappiamo
Mattia era arrivato e mi aspettava davanti alla porta dell’ambulatorio. Aveva portato con sè il suo personale carico di paure, angosce e preoccupazioni. Febbre e tosse gli avevano fatto compagnia da un paio di giorni a casa. Insieme ad una moglie con qualche problema di salute e tre piccoli figli. Tutti da difendere da un mondo improvvisamente diventato infetto.
Mi ricordo i suoi occhi, pieni di terrore. Il panico, quello profondo e cieco, costante e subdolo, di non sapere, e forse di non poter proteggere la propria famiglia. Il timore di un futuro che angoscia ed incertezza rendono improvvisamente più nero e spaventoso.
Inizio a conoscere Mattia. La storia anamnestica è povera di contenuti ed informazioni: 48 anni trascorsi senza alcuna patologia acuta o cronica degna di nota. La febbre era iniziata tre giorni prima associata ad una fastidiosa tosse secca e mialgie diffuse davvero dolorose. Subito era comparsa l’ansia: di far “male” ad i proprio affetti. E dopo la sensazione non usuale di “mancanza di fiato” che accompagnava le sue normali attività di uomo di casa.
Mattia e le sue incertezze
Mattia era incerto anche se venire in ospedale. Aveva approfittato della relativa calma di una alba di una domenica mattina solo apparentemente qualunque dove il giusto sonno dei giusti di famiglia aveva coperto una sua fuga strategica da casa per arrivare a cercare risposte. Precise, giuste e veritiere.
Faccio una cosa che solitamente non faccio mai. Provo a conoscere Mattia ed non solo la sua cartella clinica. E’ laureato in ingegneria, lavora in una azienda statale, ama lo sport. E’ incerto poi mi rivela un segreto: non capisce se la sensazione di fiato corto è una reale manifestazione della malattia o una espressione della ansia di averla contrattata. Poi mi chiede se posso fornirgli risposte certe e rapide perchè dovrebbe tornare a casa dalla sua famiglia senza farli insospettire della sua prolungata assenza.
Normalmente gli iperansiosi richiedenti mi creano un attacco di orticaria e di superficiale retorica e di colpevole superficialità. Mattia, invece, “mi piace”. E’ gentile, pacato, cerca una spiegazione non insistente ma posata al suo bisogno di limitare l’incertezza.
Mattia non sei solo. L’Incertezza personale.
Ma l’incertezza non è purtroppo solo di Mattia. Oramai è un calvario personale che accompagna tutti i miei turni lavorativi e non. C’è, anche se latente, nei giorni e nelle ore di riposo. Poi si ridesta qualche ora prima dell’inizio turno, si acuisce quando sono nei pressi dell’ospedale, continua quando mi sto cambiando la divisa e culmina all’ingresso della aria “sporca”. La paralizzante incertezza. Incertezza su tutto: sulla corretta procedura di vestizione o svestizione, su dove devo buttare al termine dell’utilizzo quel DPI, sul mio collega che travestito come un palombaro non so più riconoscere, sull’approccio e sulla gestione dei pazienti che incontrerò, sulle risposte che non saprò dire al loro bisogno di aver certezze.
Sembra di essere tornato a scuola quando, impreparato per la lezione del giorno dopo, mi svegliavo presto la mattina per ripassare l’argomento. Prima del turno cerco di annacquare i miei dubbi sfogliando il sussidiario (in questo caso l’ultimo articolo pubblicato e condiviso) e mettendomi a leggere. A volte vorrei aprire il diario e pregiarmi di una giustificazione. Cerco mia padre o mia madre, poi capisco che non si può più fare.
Incertezza Obiettiva dei numeri
Cerco di dare risposte alla voglia di conoscenza di certezza di Mattia. Mi rifugio nella obiettività di un esame clinico e dei suoi dati numerici dove ho sempre trovato un porto sicuro ed una affascinante sicurezza.
I parametri vitali sono buoni ma non ottimali. Una saturimetria oscillante fra il 94 ed il 95% in un 48enne non soddisfa il mio innato ottimismo. Alcuni rumori polmonari alle basi toraciche mi induco dubbi e domande e mi richiedono un approfondimento.
La frequenza respiratoria è 20 atti/min. Un bene o um male?
Lo faccio camminare. La frequenza respiratoria sale a 25 atti/min, la frequenza cardiaca raggiunge i 110 battiti al minuti, la saturazione in posizione ortostatica da 96% arriva a 94% alla fine della sua passeggiata, arrivando al limite di significatività di un test rapido del cammino che appare in quel momento quanto mai empirico senza evidenza se non la esperienza. Esperienza che per una malattia nota da due mesi sarà sempre limitata.
La certezza delle E
L’Emogasanalisi mi rivela un alcalosi respiratoria con un rapporto P/F di 350. Buona se non fossimo in tempo di COVID. E poi quella po2 non è “dopata” da un co2 così bassa? Quale sarebbe la sua pO2 standard?
L’Ecografia toracica mostra una sindrome intertiziale costituita da 3 linee B isolate ma vicine fra loro in campo polmonare posterobasale destra con linea pleurica normale a cui non so attribuire con certezza un significato preciso. L’esecuzione della rx torace non aumenta la mia conoscenza a riguardo.
Gli Esami Ematici mostrano una relativa tendenza alla linfopenia ma con linfociti maggiore di 1000 ed un rapporto neutrofili/linfociti di 5 a cui non so dare un senso compiuto. Nulla altro di significativo.
Eseguo il tampone ma so che anche che una sua negatività non dovrebbe cambiare il mio percorso.
Incertezza Generale
Mattia mi chiede ed io Provo ad infondergli certezza.
Mi chiede la diagnosi. Io rispondo che forse…
Si informa sulla prognosi. Io rispondo che magari…
Mi domanda la terapia. Io rispondo che potrebbe…
Ecco cosa ci ha fatto il virus. Ci ha tolto tutto e fatto sentire nudi: i nostri affetti, i nostri ospedali, i nostri ritmi, le nostre giornate, il nostro sonno, i nostri contatti, i nostri pazienti ed i loro famigliari. Ha reso invisibili e scomode le altre malattie. Infine è riuscito anche a toglierci le nostre certezze.
Incertezza Diagnostica
Partiamo dal quadro clinico. La tabella riporta la tipologia del quadro clinico e la sua relativa frequenza. E niente, vediamo il nostro sintomo cardine, dal quale spesso inizia il nostro processo diagnostico e senza il quale spesso non si innesca, è presente nel meno del 50% dei paziente al momento della visita di Pronto Soccorso.
Ci affidiamo allora al tampone. Con limiti evidenti, lo studio di Wang ha il merito di oggettivare la nostra sensazione della scarsa sensibilità del tampone rinofaringeo, che oggettivamente continua ad essere il principale responsabile dell’eventuale isolamento o meno del paziente, del percorso ospedaliero, del luogo di ricovero pulito/sporco e della prescrizione terapeutica dei nostri pazienti.
Ma non è che quel dato di sensibilità è un pò colpa mia? So eseguire la procedura in modo corretto?
Link al bel video del NEJM qui.
Allora abbiamo invocato il potere taumaturgico della TAC di risolvere tutti i problemi e darci solo risposte. Piene, definitive, facili.
E un pochino ci siamo traditi dai radiologi. Non tanto, ma un pò si.
Incertezza Prognostica
Forse l’incertezza più grande. Responsabile della gran parte dei pazienti che tratteniamo e dei ricoveri che facciamo. Non sappiamo come evolverà la malattia. Abbiamo paura che a casa soggetti giovani peggiorino senza accorgersene, affetti da una ipossia silente e “felice” (“happy hypoxia”) che ne determinerà un ritorno tardivo in pronto soccorso. Quando il danno è ormai è già fatto e la tempesta citochimica già in corso.
Il covid è una malattia multifasica: noi non sappiamo intercettarla e non sappiamo prevederne la traiettoria.
Ci sono turni in cui si intrufola nella mente l’idea di eseguire la tac torace in tutti i pazienti che mando a casa per davvero quantificare in modo esatto il peso della malattia. Poi desisto ma continuo a pensare che non sia una pensata così malsana.
Mi hanno detto di fare il test rapido del cammino per stratificare meglio i pazienti. Ma me lo hanno spiegato bene? Sono sicuro di eseguirlo correttamente? Ho visto pazienti diventare maratoneti nei locali del DEA. Ma ho capito che non si tratta di quanto o per quanto tempo faccio camminare il paziente ma che il concetto chiave alla base del test è affaticare il paziente per capire se desatura?
Ci servirebbero score che predicano l’andamento della patologia e non un semplice indicatore di severità attuale di malattia. Score che possano dirci, con un’affidabilità almeno lievemente maggiore rispetto al caso, chi dimettere, chi osservare, chi ricoverare; chi non richiede terapia, chi ne potrebbe beneficiare e chi nonostante la meriti potrebbe comunque non avvantaggiarsene; a chi e come allocare le risorse.
Il MulBSTA Score è un facile strumento clinico a 7 item validato su una coorte di pazienti con polmonite virale. Può effettivamente stratificare accuratamente il rischio di mortalità a 90 giorni.
Tuttavia non è validato per la polmonite Sars-CoV-2 e non presenta alcuni dati oggettivi (PCR – didimero) che recenti studi hanno evidenziato correlare fortemente con la severità di patologia. Non esiste una applicazione clinica terapeutica di tale score che potrebbe realmente servirci. Ma forse è il meglio che abbiamo a disposizione.
Incertezza Gestionale
Non so bene con certezza chi dimettere, chi osservare, chi ricoverare.
Cosa fare?
Come valuto la bontà della funzione respiratoria? E’ affidabile il rapporto su P/F con alcalosi respiratorie così spinte? Devo calcolare il P/F con la po2 standard? Meglio il gradiente alveoloarterioso? Non trovo un valore di P/F cut off definito di un possibile ricovero vs dimissione vs osservazione. Alcuni suggeriscono 450 che temo di non avere neanche io se in questi periodo al lavoro qualcuno mi facesse un emogasanalisi arterioso a tradimento.
Ed i pazienti il cui rischio ricade fra il minimo ed il lieve (che nella mia esperienza personale sono una considerevole entità), che rischio hanno davvero?
Fonti diverse suggeriscono che con un P/F di 300 il paziente vada trattenuto. Eppure fino a due mesi prima non avrei mai tentennato a dimettere questa tipologia di pazienti con una appropriata antibioticoterapia. Forse è questa ultima effettivamente che fa la differenza. Apro il calcolatore automatico di score sul cellulare, seleziono il mio amico PSI e lo cancello dai “preferiti”. Sapendo che per qualche mese non mi potrà più aiutare.
Dove farlo?
A volte non so neanche dove metterli. In un percorso sporco o pulito? Se il tampone è negativo ma la clinica è sospetta? Faccio la TAC ma se risulta negativa? Se la tac è positiva ma due tamponi a distanza di 24 ore sono negativi?
Jahouib l’altro giorno è caduto in casa. Ha battuto la testa e la tac del massiccio facciale ha mostrato che il suo pavimento orbitario deve essere operato urgentemente. Nega di avere avuto negli ultimi giorni febbre o sintomi sospetti per COVID 19. Esegue un tampone che risulta negativo. Sospiro di sollievo. “Posso ricoverarla nei letti della “chirurgia pulita”. Eseguo la normale routine preoperatoria compresa di radiografia del torace. Che risulta sospetto per polmonite interstiziale. Mi gioco la TAC: polmonite organizzata ai campi inferiori basali. Jahouib mi racconta di avere avuto la febbre un mese e mezzo fa e di avere eseguito la quarantena al domicilio senza tampone come indicato dal suo curante. Jahouib, come ti devo considerare? Contagioso o no? Guarito o meno? Infetto o convalescente?
Come metterli?
A volte non so neanche come metterli. Supini, proni, in trendenburg, in posizione laterale o in posizione laterale? Ma funziona?
Come fare?
Non so neanche bene come e chi monitorare. La pandemia ha acuito l’ingegno di intensivisti lombardi con lo sviluppo di un personale algoritmo – Brescia COVID Respiratory Severity Scale (BCRSS).
Tale score/algoritmo a step non è stato validato esternamente ed è applicabile a paziente covid o sospetti tale con sintomi di durata superiore ai sette giorni. Lo scopo è di favorire la gestione di questi pazienti con la risposta a 4 domande semplici. Senza un valore prognostico, la forza di tale score dinamico, a mio avviso, risiede nella sua semplicità e ripetibilità di applicazione, che lo rende un algoritmo di notevole importanza nel monitoraggio periodico di tale pazienti. Il percorso dell’algoritmo offre anche risvolti terapeutici, a mio avviso, da seguire soprattutto per quanto riguardo il supporto ventilatorio piuttosto che la componente terapeutica.
Incertezza Terapeutica
Voi pensate che la mia incertezza terapeutica sia solamente farmacologica. Invece no.
A volte non so nenche quale sia il presidio di ossigenazione più indicato. Le cannule nasali perché aerosolizzano di meno? No guarda che con la venturi l’espirato del paziente è più contenuto. No alle HFNC si diceva all’inizio. Si alle HFNC si dice alla fine. CPAP ma solo in casco ma forse anche magari con le maschere di Decathlon. Ma se usa la venturi al 50%, anche se è un responder (rischio lieve-moderato) non varrà la pena di provarlo a “Cpapparlo” precocemente? Boh, mah e bah.
E quali farmaci? Antivirali? Antinfiammatori? Immunomodulanti? Antiobioticoterapia? Quali eparine a quali dosaggio? Ed il Plasma Iperimmune?
Le raccomandazione IDSA e la review di JAMA di aprile 2020 ci tranquilizzano.
Non possiamo sbagliare perché non si sa cosa sia giusto o sbagliato.
Dozzine di linee guida ed in ognuna di queste ho scoperto cose nuove. O leggendole con una prospettiva diversa, ciascuna diceva cose differenti rispetto le altre.
La verità è una sola: non sappiamo. La medicina di esperienza si affida a farmaci a scopo compassionevole ed alla esperienza di ciascuno, che tuttavia proprio perchè è individuale, è fallace ed effimera. Solo la medicina basata su prove concrete ci può guidare in questo percorso. Solo noi, insieme, possiamo guidarla su questo percorso di ricerca e costruzione.
Poche storie, non esistono scorciatoie: risposte precise necessitano di rigore e metodo scientifico, di risorse, di dati e pertanto di tempo. Ricerca scientifica rigorosa e seria: sicuramente non mancano i pazienti. E non di fake news, di assurdi studi clinici da un punto di vista metodologico infondati o di annunci mondiali sensazionalistici o imbarazzanti. E di necessarie paradossali smentite.
Nel frattempo ci affidiamo al buon senso, al senso clinico, alla onestà ed alla ragionevolezza. Per il momento ci affidiamo alla speranza ed ad un foglio di consenso informato in cui l’ignaro paziente firma acconsentendo ad una terapia che neanche noi sappiamo con sicurezza cosa determinerà.
Incertezza Etica
E poi il dubbio peggiore. La decisione che speri di non dover prendere e che una che una volta presa ti accompagna sempre, con il suo enorme dubbio di correttezza o meno. Non si può dire molto di più rispetto allo splendido post di Alessandro Riccardi. Forse che alla fine non esistono scelte giuste o sbagliate ma solo scelte fatte di impegno, dedizione, cuore e cervello. Se usate tutte senza parsimonia, ogni scelta sarà una scelta corretta.
Le principali società scientifiche relativa alla emergenza-urgenza italiana, la SIAARTI e la SIMEU, hanno realizzato documenti per aiutare a non naufragere in questo mare desolante di dubbi ed incertezze.
Nel mare della incertezza, forse una sola certezza
Incerto su tutto, so cosa bisogna fare.
Raccolgo tutti i dati e parlo a Mattia.
Gli espongo quanto sappiamo (poco), quanto crediamo di sapere (forse troppo) e quanto non sappiamo (moltissimo). Gli spiego che quella è la medicina, scienza non perfetta, declinata in un tempo di pandemia con un “nemico” che non si conosce ancora così bene. Gli elenco i miei consigli, la mia prudenza ed le mie avvertenze. Gli elenco anche i nostri dubbi e le nostre incertezze, le nostre paure ed i nostri timori. Senza vergogna, senza timore, con verità e professionalità.
La comunicazione di incertezza diventa alleanza terapeutica. Mattia esce dal pronto soccorso con qualche dubbio in più ma forse con qualche paura in meno. Anche con qualche farmaco in tasca, sperando di aver scelto quelli giusti. Sapendo di non essere un numero ma una persona seguita da altre persone che insieme cercano, sperano e combattono sfide che da soli sarebbero perse ma che uniti si possono anche vincere, o perlomeno, fare arrivare ai supplementari.
E’ possibile non fidarsi di medici che ti regalano la verità?
Bibliografia
- Jamil S, Mark N et al. “Diagnosis and Management of COVID-19 Disease”. Am J Respir Crit Care Med. 2020 Mar 30
- Wang W, Xu Y et al. “Detection of SARS-CoV-2 in Different Types of Clinical Specimens”. JAMA. 2020 Mar 11
- https://www.sirm.org/2020/03/24/24-33-2020-comunicato-stampa/
- Siddiqi HK, Mehra MR. “COVID-19 Illness in Native and Immunosuppressed States: A Clinical-Therapeutic Staging Proposal”. Journal of Heart and Lung Transplantation
- Wen Z, Yao Z et al. “The use of anti-inflammatory drugs in the treatment of people with severe coronavirus disease 2019 (COVID-19): The experience of clinical immunologists from China”. Clin Immunol. 2020 Mar 25;214:108393
- Lingxi G, Dong W et al. “Clinical Features Predicting Mortality Risk in Patients With Viral Pneumonia: The MuLBSTA Score”. Front Microbiol. 2019 Dec 3;10:2752.
- Grein J, Ohmagari N et al. “Compassionate Use of Remdesivir for Patients with Severe Covid-19”. N Engl J Med. 2020 Apr 10
- Wakam GK, Montgomery JR et al. “Not Dying Alone — Modern Compassionate Care in the Covid-19 Pandemic”. N Engl J Med. 2020 Apr 14
Capacità letteraria e dono di sintesi rigorosa. Tra le cose belle di questo tempo nefasto, sicuramente ci sono le tue splendide foto. Anche io, nel mio piccolo, utilizzo restituire ai pazienti (ed é sempre possibile) “l’atroce verità” condita di tutta l’umanità che posso. E anche se mi sembra di svuotare il mare con un bicchiere, stringo le spalle e tutte le volte affronto l’impossibile. Grazie.
L’atroce verità umana. Se tutti insieme svuotiamo il mare con un bicchiere, riusciremo a non affogare in quel mare. E rendere l’impossibile un pò più possibile. Grazie mille per l’apprezzamento ed il commento.
Ciao Davide e grazie.
Hai riassunto il nostro animo e umore degli ultimi mesi.
Condividere ci rende meno soli
Buona giornata e buona fortuna
Paolo
Grazie Paolo. La condivisione, anche con i pazienti, è forse la unica arma diagnostica-terapeutica davvero efficace.