Cosa sappiamo, oggi, del ruolo analgesico della ketamina?

Ci sono farmaci che hanno un ruolo circoscritto e del tutto limitato; altri, come la ketamina, sembrano stupirci ogni volta con un utilizzo del tutto inatteso e nuovo. Abbiamo parlato della sua azione analgesica in un primo post qualche anno fa, e poi ancora parlando di un caso clinico in cui la ketamina ha svolto un’azione più che egregia, togliendo molte castagne dal fuoco in un paziente difficile.
E nuovi usi stanno emergendo: dalla terapia della depressione refrattaria all’uso nella sindrome astinenziale alcolica.
L’aspetto però più interessante – e per certi aspetti quello meno noto – è la sua azione analgesica.
Cosa ne sappiamo? Poco, sebbene stiano emergendo molti aspetti interessanti.
Qual è l’azione analgesica della ketamina?
potremmo definirla unica, rispetto a molti altri farmaci che utilizziamo abitualmente.
Possiamo sintetizzarla in tre punti fondamentali:
– l’azione di inibizione dei recettori dell’ N-Metil-D-Aspartico, responsabili dell’attivazione del sistema nervoso centrale e coinvolti nella trasmissione del dolore;
– una azione di potenziamento delle vie inibitorie discendenti;
– una azione antiinfiammatoria centrale.

La ketamina sembra avere altri meccanismi d’azione, e di potenziamento nella modulazione della risposta analgesica, ma queste sono, al momento, solo ipotesi:
– presenta un legame con i recettori mu degli oppioidi, ma senza esercitare azione diretta su di essi, potenziando l’azione degli oppioidi endogeni (e dei farmaci oppiacei);
– viene metabolizzata in norketamina, un metabolita con lunga emivita privo di azione centrale sedativo ma in grado di esercitare azione analgesica;
– esercita una azione antidepressiva, riducendo un elemento importante nel dolore cronico.
Un unico farmaco, molti bersagli di azione, ed un profilo farmacodinamico che varia a seconda del dosaggio, come abbiamo visto in un altro post.
Ma la sua azione analgesica ancora ci sfugge.

Gli studi di confronto con gli oppiacei (come quelli di Motov) sono tutti concentrati sulla sua azione analgesica in acuto, che sfrutta principalmente l’azione inibitoria dei recettori NMDA.
Le altre vie, senza dubbio, sono più efficaci nelle terapie prolungate.
Ma cosa sappiamo dell’uso protratto della ketamina a dosaggio analgesico?
Poco o nulla.
Non conosciamo in dettaglio l’efficacia, gli effetti avversi, il tasso di risposta sul dolore.
Cerchiamo di fare chiarezza.
Intanto, quale è il bersaglio principale della ketamina analgesica?

Fondamentalmente, il dolore cronico, ed in particolare quella bestia particolarmente difficile da domare che è il dolore neuropatico, sul quale non abbiamo armi: gli antidepressivi e gli antiepilettici sono efficaci solo su un paziente su tre.
Gli effetti della ketamina sul wind up e sulla rimodulazione della plasticità neuronale sono particolarmente interessanti in questo ambito, ma per essere presenti, la ketamina deve essere utilizzata in infusione continua.
Per quanto?
Ancora, non lo sappiamo: ma alcuni autori hanno evidenziato che l’azione analgesica della ketamina in infusione per 100 ore controlla il dolore cronico fino a 3 mesi dalla sospensione del farmaco. L’azione analgesica dopo il bolo, invece, si esaurisce dopo 45 minuti. Altri autori hanno osservato come simili risposte si possano osservare con cicli infusionali di 4 ore al giorno per 10 giorni consecutivi.
Perché la ketamina analgesica è così interessante in questo setting?

Il dolore cronico è sostenuto da un complesso meccanismo che prevede un incremento dei neuroni NMDA, un blocco della via inibitoria discendente, una alterata risposta inibitoria midollare e uno stato infiammatorio mediato da specifiche citochine. Questo “wind-up” di rimodellamento plastico neuronale porta a sindromi dolorose complesse con allodinia, iperalgesia e infine dolore spontaneo.
Ricordiamo i tre meccanismi principali d’azione della ketamina analgesica, descritti poc’anzi?
Il rimodellamento neuronale con potenziamento delle vie inibitorie discendenti, e la sua azione antifiammatoria centrale, sembrano coinvolgere alcuni dei meccanismi principali che sostengono la cronicizzazione del dolore. Alcuni autori hanno infatti dimostrato come la ketamina sia in grado di riattivare la risposta inibitoria discendente in risposta al dolore, ovvero il blocco di uno stimolo doloroso preesistente quando arriva un nuovo stimolo doloroso.
Questa via inibitoria discendente viene compromessa nel paziente con dolore cronico, e riattivata dalla terapia con ketamina.
Questi effetti, lo abbiamo visto, si perdono quando usiamo la ketamina in bolo, e diventano evidenti nell’infusione continua
(alla dose di 0.2-0.3 mg/kg/ora)
e massimi nelle infusioni protratte.
Ma quali sono i possibili effetti avversi?

perchè dell’uso in acuto, ed in bolo, ne sappiamo abbastanza: la ketamina è un farmaco sicuro, maneggevole, che non causa compromissione respiratoria (anzi determina broncodilatazione), non altera i riflessi anche quando usato a dosaggio anestetico, e ha una rapida risoluzione clinica.
Ma quando parliamo di infusioni continue, ancora sappiamo poco.
Un aspetto emerso è l’incremento (episodico, incostante, di lieve entità) delle transaminasi, che regredisce alla sospensione: indubbiamente, studi approfonditi potranno valutare in dettaglio questo rischio specifico, che adesso rimane indefinito.
Una controindicazione nota è l’ipertensione arteriosa severa, insieme alla cardiopatia ipertensiva. La ketamina aumenta la pressione arteriosa e può determinare rialzi pressori: ma in questo caso parliamo per l’esperienza al dosaggio dissociativo. Vale anche per il dosaggio analgesico? non lo sappiamo, e senza dubbio una analgesia efficace, in grado di contrastare l’azione ipertensiva indotta dal dolore, può essere più efficace sul bilancio emodinamico del paziente rispetto al teorico effetto ipertensivo della ketamina.
Teoria, per carità, ipotesi. Tuttavia sugli effetti ipotensivi (o ipertensivi) dei vari analgesici si sono prodotte tonnellate di studi senza avere una risposta significativa. Per esempio, prendiamo gli oppiacei: sebbene abbiano un’azione ipotensiva legata ad una vasodilatazione, studi clinici hanno ampiamente dimostrato come possano normalizzare la pressione arteriosa del paziente ipoteso se questi sia normovolemico e se la sua ipotensione è mediata da uno stimolo vagale.
Esiste però un aspetto su cui non si è riflettuto abbastanza, e che merita qualche considerazione aggiuntiva.
Parliamo di dipendenza. La ketamina è forse la sostanza d’abuso più diffusa in Italia, ma i dosaggi psichedelici per cui viene utilizzata sono maggiori di quelli analgesici. E’ senza dubbio interessante approfondire il grado di dipendenza indotta da questa sostanza rispetto ad altre, ed in particolare rispetto agli oppiacei: anche in questo particolare ambito, una valutazione approfondita e ben ponderata potrà fornirci delle risposte.
Dobbiamo mettere a confronto quello che sappiamo con quello che ancora non sappiamo:
la sicurezza e l’efficacia della ketamina ha creato uno stuolo di prescrittori entusiasti che possono utilizzare un farmaco in acuto per molte condizioni con una sicurezza che pochi altri farmaci possiedono.
Nell’uso protratto dobbiamo fermarci un attimo a riflettere.
Ne vale la pena? dovremmo cercare di capire quale sia il rischio per il paziente: considerando quello che sappiamo sul farmaco basandoci sulla nostra esperienza e sui moltissimi studi clinici, i vantaggi sembrano essere del tutto superiori rispetto ai rischi “teorici” che abbiamo delineato.
Parliamo di dolore cronici o neuropatici difficili, su cui altri farmaci hanno fallito o non agiscono più; credo che l’utilizzo della ketamina in ambiente protetto, con controllo seriato della funzione epatica, possa essere l’unica soluzione possibile.

Perché a volte siamo “bloccati” dal timore di eventi avversi dei farmaci, ma non pensiamo al rischio suicidario che il dolore cronico non trattato o non trattabile porta con sè.
In questi casi, ne sono fermamente convinto, la ketamina come analgesico in infusione continua deve essere presa in considerazione. Non abbiamo, al momento, altre alternative.
Essere cauti, è doveroso, sempre.
Ma a volte, essere coraggiosi è necessario. E di fronte ad un dolore cronico, terebrante, senza appello, come scriveva Sartre “Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere”.
La ketamina è una possibilità.