“Pronto Sporco”
È un fine pomeriggio di inizio dicembre quando arrivano. Uno di seguito all’altro. Tre pazienti covid positivi che hanno bisogno di una stanza di isolamento, di una maschera di ossigeno e di qualcuno che li metta proni. Era dalla fine della terza ondata che non collezionavo una siffatta “tripletta”. “L’eccezione torna a essere la regola” penso frettolosamente, uscendo di gran corsa dall’area covid.
“Pronto Pulito”
Disinfettato, sterilizzato, decontaminato e depurato, mi dirigo verso la zona “pulita” del Pronto Soccorso.
Assieme a me, con inaspettata facilità, entra anche un figlio. Quel mattino qualcuno aveva deciso di far morire suo papà in pronto soccorso piuttosto che nella casa di cura in cui aveva vissuto gli ultimi vent’anni della sua vita. Quel mattino lo stesso figlio si trovava in Germania quando, probabilmente con una incolpevole noncuranza, aveva risposto al cellulare senza interrogarsi eccessivamente sull’origine di quella utenza telefonica sconosciuta; un timbro di voce metallico, non dissimile a quella di migliaia di comunicazioni precedenti e future, lo avevo informato delle condizioni tragiche del padre. Un treno, un aereo e un taxi gli avevano fatto attraversare tre confini per abbracciare il padre, malato di senilità e di solitudine.
E con estrema difficoltà riesco a far finta di non sentire l’augurio anticipato di natale condito da un “vaffanculo, ci vediamo in tribunale” che un certo Ahmed qualunque ma poteva essere l’Ettore di turno, mi ha rivolto per una compilazione Inail ritenuta poco generosa in prognosi clinica per una cervicalgia post sinistro stradale accaduto dal luogo di lavoro.
“E’ tutto secondo norma. Tutto secondo regola“, penso.
E qua che mi accorgo di sbagliare. E qua che capisco che questi due anni non mi hanno insegnato niente.
Siamo tutti malati di Covid. Tutti gli operatori Sanitari.
Non penso sia giusto chiamarci reduci, ho sempre detestato la filosofia e la retorica bellica. Ma penso di essere malato. Penso che tutti noi siamo malati. Penso che tutti gli operatori sanitari siano malati. Malati di ricordi che non si cancellano, malati di incubi che ciclicamente riemergono, malati di immagini che periodicamente appaiono. Malati di nomi e di volti che ci tormentano, e di scelte, che appiano, ogni volta ripercorrendole, sempre più opinabili e mai, mai davvero inappuntabili. Scelte che forse faremmo diverse. E che, nella realtà dell’oggi potrebbero essere differenti, almeno fino a domani.
Cambiano i mesi, le stagioni si susseguono; si avvicendano i colleghi e le direzioni sanitarie; ma noi no; non cambiamo questa volta e non riusciamo ancora a guarire. E’ una malattia strana. Ci sentiamo un po’più schiacciati, più vulnerabili, più stanchi, meno pronti e più inclini a cedere. Meno convinti di poter cambiare il mondo. Più arrendevoli.
Il covid ci ha calpestato.
E capiamo che forse il covid ci ha spremuto, schiacciato, spolpato ma infine non ci ha insegnato nulla. O meglio ci ha insegnato molto ma non abbiamo appreso nulla. Perché se continuo o continuiamo a pensare che l’eccezione non possa diventare la regola e che la regola non possa essere un’eccezione significa che il covid è stato invano.
Saremo costretti a convivere con il Covid-19, o, se volete essere aggiornati, chiamatelo con il nome della prossima futura pandemia. Forzata convivenza a cui dovremmo sacrificare una parte della nostra libertà per diventare la norma e non più un’eccezione.
Ma il Covid, anche se lo abbiamo dimenticato, ci ha mostrato la eccezionalità di gesti che ritenevamo scontati, quasi normali: lo stringere le mani di un figlio al padre malato per salutarlo e accompagnarlo, l’attraversare tre confini di stato per poterlo abbracciare in tempo. Il ruolo e il valore dei famigliari. La bellezza di parlare di persona con le persone e non solo guardarle in video e ascoltare il timbro metallico di voci sempre troppo uguali fra di loro e troppo diverse da quelle che ci ricordavamo.
Il covid aveva eliminato tutto questo, rendendolo preziose. E quando tutto questo inizia a ricomparire, sembra già la normalità: assodato, scontato, dovuto, consueto, ordinario, quasi banale. Perché siamo fatti così. L’umanità ha il vizio di notare le cose solo quando mancano, per dimenticarle quando riesce di nuovo a ottenerle senza ricordare lo sforzo fatto per riconquistarle: la pace in tempo di guerra, la fame in tempo di carestia, la pietà in tempo di pandemia.
E torniamo a vivere e lavorare come prima, senza essere realmente quelli di prima: diamo per scontato e inevitabili gli insulti, le proteste, l’ineducazione, le bruttezze. Solo che siamo più stanchi e “va bene cosi”. Troppo stanchi per indignarci. Troppi esausti per ribellarci.
Per questo siamo non reduci ma vinti.
Per questo siamo stati sconfitti, o meglio, penso di essere stato sconfitto dal Covid; era il nostro appuntamento con la storia. Incontro e possibilità per riemergere come uomini, medici e pazienti migliori. Risorgere. Rinascere. Riaffiorare e Rifiorire.
Io mi alzo ma non mi sento nuovo. Mi sento solo più vecchio e stanco. Per questo temo che il Covid abbia vinto: ci ha messo davanti alla parte migliore di noi ma noi la abbiamo già dimenticata. Dopo non averla scelta.
Io non sono arrabbiato con il Covid.
Io sono arrabbiato con me e con voi, con noi che non abbiamo dato seguito alle parole di Dè Andre: “Dal letame nascono i fiori.”
Eppure.
Eppure vedo quella mano giovane che stringe la mano anziana. Sento la paziente vicino che non chiede ma pretende che Ahmed mi chieda scusa. Sono solo e malato di stanchezza o “di stanchitudine” ma non tutto è perduto. In un deserto basta solo un seme di speranza e di esempio per ricreare un bosco. Sta a noi ricordare di portare l’acqua. Ma non possiamo dimenticarcelo sempre.
Chi dimentica è colpevole.Chi dimentica è complice.
Caro Collega,
si può riassumere tutto in ‘passata la festa, gabbato lo santo”.
Premetto: ho fatto 17 anni continuativi di Pronto Soccorso, ritagliando il tempo per fare e cercare di insegnare qualcosa di Malattie Infettive e Tropicali e di antibiotici. Ho lavorato anni in Medicina interna, anche con qualcuno che diceva (e dice) che gli infettivologi non servono (salvo quando poi servono, ma sono amici che si chiamano al telefono, perché averli nei reparto, ora che il covid è passato (ahahaha)?
E da infettivologo vedo, vivo e ho visto e vissuto il “passata la festa, gabbato lo santo”.
Abbiamo visto gente che non si era mai lavata le mani nemmeno dopo essere andata al cesso, scoprire finalmente il sapone (o il gel).
Abbiamo visto persone che dicevano “non utilizzate i camicini da 25 centesimi, costano troppo”, comprare più costose e inutili tute e scoprire improvvisamente che le Malattie Infettive si trasmettono per contatto.
Abbiamo visto che noi esperti abbiamo fatto comodo all’inizio e ci hanno spremuto come pochi quando facevamo comodo.
(Anche se, tra l’altro, non hanno ascoltato quei pochi di noi quando dicevamo che non c’era solo il covid, che questa malattia (eh, per noi è una malattia, a cui alcuni di noi sarebbero stati pronti a far fronte, se poi non si fossero improvvisati tutti infettivologi solo perché riuscivano a pronunciare “lopinavir-ritonavir” senza incespicare nelle parole) non doveva farci dimenticare gli Acinetobacter, le Klebsielle, i tumori eccetera, che i doppi guanti erano idiozie e che forse avrebbero dovuto ascoltarci dall’inizio e un po’ meglio, ma sto un pochino divagando, e torno al punto fondamentale che tu hai colto:
Passata la festa, gabbato lo santo.
Quello che non capisco è come mai tu sia tanto sorpreso.
Auguri.
Perché Davide magari è un medico in po’ strano, ma non uno vinto dalla vita.
E perché, come ha scritto sopra, perché l’eccezione non può diventare la regola.
Bel post.
Forse sei malato. Ma stai guarendo. Per te l’eccezione può, anzi deve diventare la regola. Lo puoi fare nel tuo quotidiano è una tua scelta e responsabilità, gli altri decideranno per se stessi, bisogna accettarlo.
Ma non sei solo