Spesso qualcuno mi chiede il motivo per cui a un certo punto della mia vita professionale avessi sentito l’esigenza di “aprire” un blog sulla medicina d’urgenza. La risposta può sembrare banale, ma è molto semplice: condividere esperienze e opinioni su quello che facciamo tutti i giorni. Non sempre, nel nostro lavoro, le cose vanno come vorremmo e a volte non è facile rivedere, anche in modo critico, il nostro operato. Credo però che rivisitare le storie che non sono andate come avremmo voluto, oltre ad avere un significato catartico per i protagonisti, abbia anche un grande valore educativo. Per questo motivo, non senza qualche patema, ho deciso di raccontare la storia di Amedeo.
La notte sembra iniziare sotto i migliori auspici; solo una decina di pazienti in coda, e scorrendo le note del triage, nessuno con problematiche gravi. Dirsi queste cose, anche tra sé e sé, non porta mai bene, infatti di ì a poco , vedo spuntare Reza, un collega del 118, che mi dice: ” Abbiamo portato un paziente con un’insufficienza respiratoria. E’ un grande obeso, da alcuni giorni era dispnoico, ma questa sera è peggiorato. Al nostro arrivo saturava 70 e la pressione sistolica era 80. Abbia dato ossigeno e fatto un po’ di cortisone. E’ in area rossa”.
Amedeo ha poco più di 50 anni ed è un uomo di di dimensioni impressionanti. Arrivato in area rossa, sembra leggermi negli occhi; ” Peso quasi 180 kg. Il fiato mi manca da alcuni giorni, ma questa sera proprio non respiro..” mi dice. E’ in grave difficoltà respiratoria; Carla e Michela le infermiere di turno in area rossa, stanno sudando sette camicie cercando di prendere un secondo accesso venoso e di fare l’emogasanalisi. Senza mezzi termini, Amedeo è quello che siamo soliti definire un “brutto” paziente. Polipnoico, cianotico, la pressione a malapena arriva a quella 80 di sistolica rilevata a domicilio dai colleghi del 118, ma quello che colpisce di più sono l’addome imponente e gli edemi giganteschi degli arti. Mentre l’osservo e senza neanche ad avere iniziato a raccogliere anamnesi e a visitarlo un solo pensiero mi attraversa la mente: ha l’embolia polmonare! Cerco però di liberarmene, procedendo in modo organico.
Comincio a raccapezzarmi con l’anamnesi. Amedeo è vigile e collaborante, ma ha difficoltà a completare le frasi. Guardo la documentazione che ha accompagnato il paziente. Un precedente ricovero per scompenso cardiaco. Nella scheda del 118 leggo anche cardiopatia ischemica, BPCO. Chiedo se avesse avuto febbre o aumento del volume dell’escreato , se a casa utilizzasse abitualmente l’ossigeno e e quale fosse il suo grado di autonomia. “No, niente febbre tosse o catarro, e niente ossigeno. Da tempo mi muovo molto poco…” le sue risposte.
L’esame obiettivo non evidenzia né stasi polmonare nè broncospasmo. Provo a guardarlo con l’eco, il che è una vera impresa. Per via sottocostale non vedo nulla. In asse parasternale lungo il ventricolo destro sembra aumentato di volume, ma in 4 camere non ne sono più così convinto. La cinesi ventricolare sembra discreta Non c’è versamento pericardico, mentre è presente un modesto versamento pleurico sinistra. Nessuna evidenza di pnx e il polmone sembra nel complesso asciutto. Neanche a pensare di fare una CUS. Cominciamo a riempirlo con 1000 cc di soluzione fisiologica. Prendo visione di ECG ed EGA. e radiografia del torace
L’ipotesi embolica è certamente quella più probabile e la trombolisi un’opzione da considerare, ma nelle condizioni attuali posso accontentarmi di quello che ho acquisito. Sarebbe necessario eseguire la TAC, chiedo allora ad Amedeo se ne avesse mai eseguita una. ” No, no non sono mai riuscito ad entrarvi…” Potrebbe pero avere anche un infarto destro, anche se il tracciato non sembra diagnostico. Decido di chiedere aiuto al cardiologo che dopo avere visitato il paziente ed eseguito l’ecocardiogramma (video), concorda che il paziente possa avere l’embolia polmonare e che debba essere iniziata la trombolisi.
Amedeo fatica sempre più e penso a questo punto debba essere intubato. L’intubazione è certamente un’intubazione difficile , per cui, anche in previsione di un ricovero in terapia intensiva, chiedo l’intervento dell’intensivista. Intanto dico a Michela di preparare l’alteplase. Il rianimatore ha però dei dubbi sulla diagnosi ” Non siamo così sicuri che abbia l’embolia, e se poi gli viene l’emorragia cerebrale? E poi non vogliamo tenere conto di quel 432 di glicemia? Non potrebbe invece avere una sepsi? Chiediamo che ci facciano anche la procalcitonina…” e sottolinea la necessità di eseguire la TC come test di conferma. In effetti qualche dubbio rimane pure a me. Nel frattempo infatti era arrivato il risultato della troponina: di poco superiore alla norma. “Strano” osservo, in una situazione come questa mi sarei aspettato valori molto più elevati. Rimane il problema delle dimensioni del paziente. Decidiamo così di misurare il diametro del torace paziente e apertura della TC, che sembrerebbero essere compatibili. Si decide così di intubare il paziente e successivamente portarlo in radiologia per la TC
L’anestesista induce il paziente e, nonostante le paure iniziali, l’intubazione riesce senza particolari problemi al primo tentativo, purtroppo però di lì a poco Amedeo va in arresto. Iniziamo le manovre di rianimazione, il quadro è quello di una PEA. Viene eseguita immediatamente la trombolisi con 100 mg di Alteplase a bolo. La rianimazione cardiopolmonare si protrae a lungo, ma purtroppo l’esito finale è infausto.
Molti credo siano gli elementi di riflessione e alcuni sono il frutto del debriefing fatto successivamente.
Partiamo dall’elemento certo più critico, una trombolisi precoce avrebbe modificato la prognosi del paziente? Non sono sicuro di poter dare una risposta. E’ un argomento che abbiamo già trattato, ma vediamo quali sono le evidenze che supportano l’utilizzo dei trombolitici nei pazienti con ragionevole sospetto di embolia polmonare massiva. per questo sono andato a vedere su Dynamed. Questo quello che ho trovato alla voce Evidence for Thrombolysis for Pulmonary Embolism:
- I trombolitici possono ridurre la recidiva di embolia polmonare e la morte nei pazienti emodinamicamente instabili (livello 2 di evidenza dec Dynamed)
- revisione sistematica e metanalisi di 11 trial per complessivi 748 pazienti con alcune limitazioni (solo 3 trial in doppio cieco, studi caratterizzati da piccoli campioni e da breve durata del follow up( tra 72 ore 2 30 giorni)
- 6.7% del gruppo trombolisi vs. 9.6% di quello eparina andò incontro a una recidiva di embolia polmonare o alla morte, ma questo risuultat onon fu statisticamente significativo. Il 22.7% vs. 10% ebbe un sanguinamento maggiore (NNH 8) Circulation. 2004 Aug 10;110(6):744-9. Epub 2004 Jul 19.
- Insuffciente evidenza per valutare la terapia trombolitica efficace nell’embolia polmonare
- revisione Cochrane basata su 8 studi randomizztai per complessivi 679 pazienti che non hanno dimostrato differenze statisticamente significative nella capacità di ridurre recidive di embolia polmonare o la morte tra trombolitici ed eparina o placebo nè aumento di emorragie di ogni gravità. Vi è stato invece un trend favorevole in alcuni end point surrogati come i parametri emodinamici, l’ecocardiogramma, la scintigrafia polmonare, e l’angiografia. Cochrane Database Syst Rev. 2009
- La trombolisi può ridurre la mortalità e la frequenza delle recidive di embolia polmonare, ma l’evidenza è limitata
- metanalisi di 9 studi randomizzati che hanno messo a confronto trombolisi ed eparina
- mortalità 4.6% vs. 7.7% (non significativo)
- recidiva di embolia polmonare 6.6% vs. 10.9% (non significativo)
- sanguinamenti maggiori 12.9% vs. 8.6% (non significativo)
- qualsiasi evento avverso negativo 23.2% vs. 25.9% (non significativo)
- Recidiva e/o morte 10.4% vs. 17.3%((p = 0.03) Arch intern Med 200212.9% vs. 8.6% major bleeding episodes (not significant)
23.2% vs. 25.9% any of these adverse outcomes (not significant)
10.4% vs. 17.3% recurrence and/or death (p = 0.03)
- metanalisi di 9 studi randomizzati che hanno messo a confronto trombolisi ed eparina
Le evidenze sembrano indicare la trombolisi come un’opzione che ha necessità di ulteriori conferme, sebbene sembri presentare un trend favorevole su mortalità e recidiva di episodi embolici polmonari.
Le linee guida incorporano queste conclusioni e consigliano il trattamento trombolitico in pazienti con:
- embolia polmonare acuta associata a ipotensione ( pressione sistolica < 90 mmHg) e senza un alto rischio di sanguinamento (ACCP Grade 2C)
- embolia polmonare acuta non associata a ipotensione e con un basso rischio di sanguinamento la cui presentazione iniziale o l’andamento clinico suggeriscono, dopo avere inziato il trattamento anticoagulante, un alto rischio di svilypare ipotensione (ACCP Grade 2C)
I dati in nostro possesso non possono essere considerati conclusivi, anche se è prassi clinica comune, in un paziente ipoteso con un sospetto diagnostico di embolia polmonare acuta, procedere alla trombolisi.
A questo proposito considero molto istruttiva la lezione tenuta da Gian Alfonso Cibinel ai Seminari della Scuola di Specializzazione in Emergenza-urgenza dell’Università di Perugia e recentemente pubblicati sul blog SIMEU sulla gestione del paziente in arresto o periarresto cardiaco. La lezione ha una certa durata, ma vale la pena di ascoltarla
httpvh://www.youtube.com/watch?v=fLB8aZ44zcI
Considerazioni finali
Elemento critico, nel caso in questione, è stata la mia non completa convinzione che l’embolia polmonare fosse veramente responsabile del quadro clinico. Questo si è tradotto alla fine in una mancanza di leadership da parte mia , quando un membro dell’equipe ha sottolineato eventuali rischi di un trattamento in assenza di una diagnosi ragionevolmente certa.
Nel nostro lavoro dobbiamo talora prendere decisioni importanti, qualche volta cruciali per il paziente, e dobbiamo farlo in fretta. In ogni decisione diagnostica e terapeutica siamo abituati a soppesare i vantaggi e i rischi cui sottoponiamo, dopo averli correttamente informati,i nostri pazienti. Le nostre scelte sono giustamente condizionate dal primo insegnamento di Ippocrate: primum non nocere anche se questo non sempre trova una reale realizzazione pratica. L’incidenza infatti di eventi avversi sui pazienti conseguenti alle decisioni mediche è un evento tutt’altro che trascurabile, dando ragione di molti decessi secondo alcune statistiche degli Stati Uniti Is US health really the best in the world? JAMA 2000 Si veda a questo riguardo il bel post pubblicato recentemente su St Emlyn’s
Un’ ultima considerazione: sovente quello che ci preoccupa di più in quanto medici, sono i risultati delle nostre azioni , dimenticandoci a volte che anche l’astenzione è un’azione e rientra a pieno titolo nella prima regola di Ippocrate: primum non nocere. In questo senso fare e non fare pari sono.
Come sempre in attesa dei vostri commenti.
Da uno studente che trova utilissimo il tuo blog, davvero complimenti per il coraggio di discutere una decisione così delicata.
Alb, grazie del tuo commento. Credo sia giusto condividere non solo le esperienze positive.
Bellissimo post (come sempre).
Secondo la mia esperienza (comunque limitata) l’embolia polmonare è una diagnosi di “esclusione” che spesso si sospetta quando sono negativi i primi esami, per cui ritengo che probabilmente nessuno avrebbe somministrato trombolitici prima di tutta una serie di altri passaggi che avrebbero per forza di cose allungato i tempi.
Personalmente avrei pensato a uno scompenso cardiaco, o a un possibile infarto (date le T invertite in diverse derivazioni all’ECG). Con l’ecografo magari avrei cercato la presenza di edema polmonare (per confermare la mia idea dello scompenso) e forse – ma dubito che l’avrei fatto, visto che sarei partito per una strada diversa – sempre con l’ecografo si poteva cercare una trombosi venosa profonda che confermasse l’embolia polmonare.
Insomma io personalmente avrei “puntato” su uno scompenso cardiaco (anche se da cause ignote: magari una polmonite in un paziente cronico?) ma ammetto di non essere abbastanza preparato sulla terapia da andare sul sicuro in uno scompenso cardiaco con la pressione così bassa. Si dà la digitale o che altro?
Complimenti ancora!
Simone
Simone, grazie del tuo feedback. Non concordo con te riguardo allo scompenso di cui non vi erano nè segni clinici nè , per quello che ero riuscito a vedere, segni ecografici. (polmone asciutto, cinesi ventricolare ispettivamente normale etc). L’obesità è stato l’elemento obiettivo che ha reso le cose più difficili.
Concordo che la mia non sia la diagnosi corretta. Però con cardiopatia ischemica, bpco, precedente scompenso, edemi degli arti… insomma a me il paziente “suonava” così. Poi il polmone asciutto cambiava le cose, questo è vero.
Simone, non ti crucciare. Certamente lo scompenso rientrava nella diagnosi differenziale, ma lo avevo escluso per i motivi che ti ho detto. L’impressione clinica generale che cosi spesso ci indirizza verso la diagnosi giusta non sempre è facile da trasferire in un post. Ancora grazie per il tuo contributo.
Post interessantissimo!!!
Gestione del caso eccellente e concordo
Nella scelta di non somministrare il trombolitico in quanto comunque la certezza della diagnosi non ci sta!
Da aspirante pneumologa, l’EGA mi fa venire qualche dubbio (meglio note come “pippe internistiche”).
Il deficit di basi e’ molto alto con capnia “normale” (il pz e’ in acidosi metabolica) mentre con un’embolia polmonare massiva mi sarei aspettato una capnia più bassa ed un’alcalosi respiratoria. Tuttavia però ci sta da considerare se quella capnia sia effettivamente “normale” o non sia piuttosto la spia di una iniziale ipo ventilazione su una iper ventilazione nel periodo precedente.
Mi chiedo: può essere che il pz abbia avuto uno shock settico con danno renale (l’insufficienza renale acuta spiega l’acidosi) con edema polmonare ipoteso (che spiega l’insufficienza respiratoria)?
Che ne pensate??
Saluti
SaraC, l’EGA ci aiuta ma non è diagnostico di embolia polmonare, nè lo sono altri test derivati come il gradiente alveolo-arterioso per l’ossigeno. In questo caso ci diceva solo che il fatto acuto era preponderante e non vi erano, visto il livello dei bicarbonati,elementi probanti a favore di insufficienza respiratoria cronica rilevante pre-esistente.
Da studente: Complimenti per il coraggio di discutere un caso così delicato e di condividere l’esperienza con tutti noi Suoi lettori abituali.
Resta il fatto che, da quel che ho capito, il paziente si è arrestato poco dopo l’intubazione, procedura che sarebbe stata compiuta ugualmente a prescindere dalle cause dell’insufficienza respiratoria e nello stesso preciso momento in ogni caso. Pertanto, poco sarebbe cambiato qualunque cosa egli avesse avuto: l’intubazione era da farsi, i tempi sempre gli stessi in qualsiasi ipotesi e comunque prima della trombolisi. La TC poteva essere dirimente e quindi indispensabile ed un paziente di questa mole desta sempre dei problemi immensi al curante, anche nelle più semplici manovre: dalla misurazione della pressione, un prelievo venoso, al posizionamento di un CVC.
Certo, “Primum non nocere” spesso non fa fare bella figura per la “brillante intuizione” (un azzardo bello e buono?), ma ragionevolmente migliora la sopravvivenza dei pazienti su larga scala.
Colgo l’occasione porgendole una domanda: vi sono evidenze che la prima regola di Ippocrate sia fallimentare?
Simone1, la prima regola di Ippocrate è la prima regola da seguire, solo che , nonostante i nostri sforzi, l’agire medico espone sempre i pazienti a qualche rischio. A questo riguardo, come già detto nel post, consiglio di leggere il bel post recentemente pubblicato su St.Emlyns
‘ http://stemlynsblog.org/ethical-dilemmas-in-emergency-medicine-part-3-primum-non-nocere/
Quello che noto a bocce ferme:
– acidosi metabolica (lattica) con sovrapposta acidosi respiratoria: uno insufficienza respiratoria acuta associata ad uno stato di shock in un obeso severo che non può compensare adeguatamente.
– ECG: S1Q3T3 poco specifico, tuttavia, se vedo bene perché l’immagine non è granchè, c’è un ritardo di conduzione destro con un ST sospetto (tende al sopraslivellamento in V3-V4): suggestivo per un impegno destro acuto.
– un quadro clinico ad elevata probabilità per EP
– un’ecografia polmonare che avvalora l’ipotesi di EP
– un ecocardio che mostra un destro enorme in quattro camere, sebbene con una contrattilità della parete libera che non mi aspetterei, sopratutto in relazione a quella dell’apice che sembra minore. Le escursioni sistoliche del piano transannulare tricuspidale, così a occhio, sono pressoché nulle. Le altre proiezioni data la finestra non mi sembra diano altre informazioni. Tuttavia nel complesso fortemente sospetto per EP.
Sì avrei pensato anch’io ad un EP.
Sì avrei messo in sicurezza le vie aeree, dopo avere avviato NORADRENALINA e accuratamente scelto l’induzione: questo è un passo fondamentale per un paziente così critico.
Credo che l’intubazione oro tracheale in previsione della trombolisi sia indispensabile, perché dovere gestire una via aerea non sicura sotto gli effetti dell’alteplase sia l’anticamera di un disastro.
Questo è ovviamente facile a dirsi.
Ne parlo senza sentirmi troppo ipocrita solo perché mi sono capitati pazienti così.
Ho fatto la trombolisi ed è stata la scelta giusta. Per quanto tutti avessero un quadro, quanto meno ecografico, patognomonico, che mi ha permesso di fare la scelta in autonomia. Fortunatamente è andato tutto bene, non senza polemiche di chi, dovendosi prendere carico successivamente del paziente, pretendeva una diagnosi radiologica.
Secondo me quello che ha reso tutto più difficile ed avrebbe messo in crisi anche me, erano le dimensioni del paziente.
In prospettiva di una trombolisi armeggiare su una via aerea difficile è estremamente pericoloso e aggiunge ulteriori incognite al processo decisionale. Non so dirti in tutta onestà se mi sarei avvalso di aiuti esterni. Questo è una scelta che dipende da molti fattori.
Credo che un paziente di quella stazza, con quella presentazione clinica, abbia un destino difficilmente modificabile. Capisco i tuoi dubbi. Penso che ognuno di noi abbia avuto casi clinici in cui non ha perseguito fino in fondo la propria convinzione lasciando margine a dubbi legittimi: io ne ho.
A differenza di te non ne ho mai parlato nel blog. Forse dovremmo tutti iniziare a farlo perché è utile per noi e per i pazienti.
Mattia, grazie per le tue osservazioni con cui concordo completamente. Tra i tanti l’elemento a mio avviso più critico è stata la mia decisione di non gestire da solo le vie aeree e le problematiche legate al rapporto tra team leader e squadra che si occupa della gestione del paziente critico.
Il primo punto è facilmente criticabile. Ha senso che un’intubatore occasionale gestisse delle vie aeree difficili come quelle del paziente in questione? Certo che no. Cosa avremmo detto se avessi fallito la procedura? Hai sottolineato giustamente l’induzione e la preparazione come aspetti fondamentali in una situazione come questa. Una delayed sequence intubation attraverso una fase di ventilazione non invasiva e una adeguata preossigenazione avrebbe reso le cose meno complicate? Forse. Tutti noi sapevamo che avremmo dovuto agire in fretta, ma credo che queste opzioni sarebbero da considerare per un caso futuro. Veniamo al tasto dolente. Non sarà il tuo caso, ma molti medici di pronto soccorso, hanno un atteggiamento reverenziale nei confronti di chi gestisce le vie aeree. Questo è sbagliato. Una mia maggiore assertività, certo con il senno di poi, forse avrebbe cambiato le cose. Io stesso però avevo dubbi che non sono riuscito a superarare, condividerli penso sia stato utile non solo per me.
La NIV, se tollerata, sarebbe servita, forse, a sollevare, almeno in parte, il paziente dalla fatica respiratoria considerando anche il precoce esaurimento muscolare cui vanno incontro gli obesi severi. Avrebbe, forse, permesso di guadagnare tempo e portare il paziente alla condizione respiratoria migliore possibile.
Questa comunque si voglia vederla è una intubazione che va fatta e con una induzione che abbia il minimo impatto cardiovascolare possibile, tenendo conto che è ad elevatissimo rischio di arresto post procedurale.
Per questo dicevo che avrei iniziato la noradrenalina a priori. La mia scelta sarebbe ricaduta su Ketamina senza miorilassanti utilizzando da subito l’airtraq (perché questo ho a disposizione).
Sul chi è il come fare l’intubazione dipende dalle risorse e ovviamente richiede la massimizzazione degli sforzi per ottenere un successo al primo tentativo (e con il minimo traumatismo possibile). Penso sia giusto pertanto che tu ti si avvalso dell’aiuto di un esperto. Questo è giusto sempre perché l’interesse è solo il bene del paziente.
La gestione delle vie aeree rimane un tema difficile. Sono convinto che la generazione degli specialisti MEU farà progredire di gran lunga le competenze del PS. Questo purché la scuola di specialità sia effettivamente formativa in tal senso. Direi che da quella che è l’esperienza dei colleghi in formazione con cui lavoro (di fatto lavorano e sodo ci tengo a dirlo), l’acquisizione della skill è possibile durante la formazione, come dovrebbe essere.
Loro avranno titoli e meno reverenze per usare le tue parole.
Però c’è un problema di fondo che rimane irrisolto. Anche una via aerea apparentemente semplice può rivelarsi un incubo. Quindi anche l’intubatore occasionale deve avere le risorse culturali e pratiche per saper gestire una via aerea difficile, anche perché in PS non si può risvegliare il paziente e dirgli di tornare la prossima volta.
Quindi ci si trova in una apparente ipocrisia comunque la si pensi: gestire la vie aeree richiede una presa di responsabilità enorme nella realtà italiana. È stato così, ed in parte è ancora, negli Stati Uniti. È, tuttavia, dalla realtà dell’emergenza che si sono sviluppate maggiormente la consapevolezza e le risorse culturali per minimizzare il rischio e il successo di questa procedura nei pazienti critici (consiglio a tutti l’ultimo podcast di ERCAST http://ercast.libsyn.com) . È inevitabile perché il paziente critico arriva nelle mani dell’emergentista ed é li che deve trovare la risposta definitiva. Non si può pensare di appaltare la gestione dell’emergenza a più figure. Ovviamente, lo dico con realismo e umiltà. Tutto ciò in Italia è un percorso ancora lungo e lontano dall’essere consolidato, non solo per antagonismi tra specialità, ma perché è mancato un serio percorso formativo e quello appena avviato già viene minato per motivi di cassa.
Mattia, non posso che condividere il tuo pensiero.Avere la consapevolezza di essere parte di un cambiamento è il presupposto perché questo si realizzi. Questo credo debba essere il nostro obiettivo.
Sono specializzanda in medicina interna in un piccolo ospedale all’estero e, da mesi a questa parte, sono in PS, spesso la notte o comunque con il supporto telefonico di uno strutturato, quindi seguo questo blog con grande interesse!
Avrei un paio di domande/confronti, riguardo questo caso:
– era stato fatto un D-Dimero? O sarebbe stato inutile in quanto la PCR era alta? Personalmente, avrei richiesto quell’esame è valutato il Wells-Score per il rischio di embolia polmonare come procedimento standard. Nel suo caso, lo score sarebbe comunque incerto (verosimile diagnosi di LE, 3pti+immobilizzazione nelle ultime settimane, 1.5pti).
Altri elementi a favore della diagnosi di EP erano l’ipossia normocapnica (ma è anche vero che se aveva BPCO…), l’ecg con segni di sovraccarico ventricolare dx e l’ecocardio stesso (ecocardio in PS… Ah, che bello!).
Probabilmente data l’instabilità clinica iniziale avrei chiamato subito l’anestesista e quindi si sarebbe andati in direzione intubazione-catecolamine.
– riguardo la terapia: qui trattiamo con eparina UFH in bolo e poi in dosi terapeutiche con monitoraggio in ICU, niente trombolisi. Mi chiedo se l’efficacia sia la stessa, pur trattandosi di principi differenti.
– È stata poi effettuata un’autopsia per confermare la diagnosi?
Grazie!
Valentina, grazie del tuo commento e che tu segua il blog. Hai ragione lo score di Wells ci dava 6 , quindi una probabilità moderata, ma la gestalt. l’impressione clinica che vale come uno score, era a mio giudizio a favore di una EP, che è stata confermata al tavolo autoptico. Non ho chiesto il D Dimero per lo stesso motivo, non avrebbe aggiunto molto alla nostra valutazione iniziale, ma soprattutto, vista la sua bassa specificità, non ci avrebbe sostenuto in una diversa scelta terapeutica. A completamento dico che PCR e procalcitonina risultarono solo lievemente alterati.
Pur con tutti i dubbi derivanti dalla attuale mancanza di evidenza soprattutto sulla sopravvivenza a medio termine della trombolisi, credo che fosse l’opzione terapeutica migliore da considerare in una situazione come quella.
Carlo, post-bellissimo. Ti scrivo in preda al sonno durante una notte in PS in cui armeggio con un ragazzo caduto in mare con severa ipotermia (TC all’ingresso 27°C).
Come dice il saggio Mattia, “a bocce ferme”, aveva l’embolia polmonare? Molto probabile. Non tanto per l’ECG, la presenza di q in tutte le precordiali ed il crollo della R da V1 a V2 potrebbe stare anche con un quadro di pregressa necrosi anteriore, quanto per l’eco: ventricolo destro enorme ed impallato senza segno di McConnell, ma con un atrio destro troppo piccolo per quel ventricolo che suggerisce l’acuzia del problema.
Quello che incasina tutto è l’obesità. Avremmo trombolisato senza problemi lo stesso quadro ecografico/emodinamico senza conferma TC in una giovane donna con dispnea acuta? SI, perchè non avremmo mai pensato a diagnosi alternative e perchè non c’erano elementi confondenti. Ma un grande Obeso, con possibilità di OSAS ed insufficienza respiratoria cronica (cpt ischemica, sindrome da ipoventilazione del grande obeso, sindrome ventilatoria restrittiva del grande obeso) molto spesso presenta già quadri di ipertensione polmonare anche severa con quadri ecografici sovrapponibili a quello che abbiamo visto.
Avrei trombolisato Amedeo, non so dirti… ma avrei condiviso i tuoi dubbi
Mauro, grazie delle tue osservazioni e di avere condiviso i miei dubbi.
Complimenti per la presentazione del caso.
Credo che tutti avrebbero avuto i tuoi dubbi in quel frangente, e anche se la diagnosi di embolia polmonare era la più probabile, la maggior parte di noi (me compreso) avrebbe avviato il paziente alla tac. Le linee guida stesse la raccomandano a meno che non sia difficilmente accessibile e questo comporti un significativo ritardo nell’iter. Nei DEA dove ho lavorato io la tac è a 10 metri dalla sala rossa…
Un punto critico mi sembra però quello dell’intubazione. L’intubazione e la ventilazione a pressione positiva peggiorano anche nella persona sana la dinamica delle camere destre, riducendo il precarico perchè in inspirazione manca la pressione negativa intratoracica data dall’attività del diaframma e vi è invece la pressione positiva data dal respiratore. Aumenta inoltre il postcarico perchè nelle vie aeree vi è una pressione positiva che agisce sui capillari polmonari.
Tutto questo agendo su un circolo estremamente dipendente dalla minima funzione ventricolare destra residua può far precipitare la situazione portando da un periarresto a un arresto.
Queste riflessioni vengono dalla fisiopatologia dell’interazione cuore-polmone ma soprattutto dall’esperienza di 2 pazienti simili, che a pochi minuti (o secondi) dall’intubazione sono andati in arresto cardiaco.
Credo che in casi simili l’intubazione sia da procrastinare il più possibile. Vero che siamo tutti più tranquilli se portiamo in tac un paziente con una via aerea sicura, ma forse non si ha la percezione di quello che la ventilazione comporta a livello di circolo. Astenersi da questa procedura o rimandarla il più possibile in paziente simili potrebbe rientrare nel concetto di Primum non nocere.
Luca, grazie del contributo alla discussione. Il tuo ragionamento fisiopatologico è corretto, rimango però dell’idea che portare in TAC un paziente instabile e comunque a rischio di arresto cardio respiratorio non sia il male minore nè un rischio calcolato ma un vero azzardo. Uno spunto comunque per un ulteriore approfondimento di cui ti ringrazio.
Quello che rende “speciale” questo caso clinico non è tanto, a mio avviso, il condivisibile dubbio diagnostico, quanto la bellezza della condivisione che Carlo ne ha fatto. Nel leggere la clinica la TEP sarebbe stata in cima alle mie differenziali, ma credo che anche io avrei fatto i ragionamenti ed avrei avuto i dubbi di Carlo. Ed il bello di questo post è proprio il vivere il caso clinico con tutti gli aspetti del protagonista e non solo la fredda parte clinica. La medicina d’urgenza è fatta di uomini che hanno emozioni , dubitano , tentennano e poi decidono ; Carlo ci ha fatto vivere tutto questo attraverso i suoi occhi . GRAZIE amico mio .
Grazie Felice, hai perfettamente centrato lo scopo di questo post. Condividere per me è fondamentale, dalla condivisone può derivare anche la formazione, ma solo in un secondo momento e non sempre questo è fondamentale.
L’EBPM era stata somministrata? Può essere d’aiuto una dose di eparina (immagino molta, data la stazza del paziente) o risulta inutile? E l’ipotesi di una Insufficienza renale, ad esempio da DM?
Chiedo da medico alla prime armi.
Martina, grazie del tuo commento. L’eparina a basso peso molecolare in effetti non era stata iniziata. In questi casi è preferibile utilizzare l’eparina frazionata che comunque andrebbe sospesa durante il trattamento trombolitico. Un’acidosi metabolica conseguente all’insufficienza renale era un’ipotesi plasusibile, ma non è era presente nel paziente.
ciao Carlo
io (ovviamente da casa sul divano) avrei insistito di più nel tentare la CUS che avrebbe potuto confermare L’EP e anche la valutazione della VCI che avrebbe potuto escluderla come causa dello shock
Ciao Gigi, giuste osservazioni ma:
– gambe e addome veramente enormi e onestamente credo che anche un esperto come te non sarebbe riuscito a vedere qualche cosa
– lo stesso vale per la cava.In questo caso ho provato ma non ho visto nulla
Saluti
Buongiorno a tutti. Caso tanto interessante quanto purtroppo tragico. Mi balza all’occhio , leggendo, un particolare che mi capita spesso di vedere quando chiamata in PS. Spesso noto che ilcollega del PS è concentrato sul fare esami di vario tipo (soprattutto ecografie – utili per l’amor del cielo…) , ma per nulla o poco affaccendato sulla gestione della clinica del paz. Il paz satura male…gravemente dispnoico…decisamente ipoteso…immagino cianotico, marezzato ecc, ma non viene fatto nulla per migliorare o provare a migliorare la dispnea e soprattutto supportare l’emodinamica con un inotropo ( o meglio mettere intanto su una NIV e una noradrenalina). Andrebbe fatto tutto in contemporanea….trattamento e esami diagnostici…anzi prima si inizia il trattamento sintomatico e clinico e a seguire il resto. Non ritengo corretto aspettare e non trattare. Prima di pensare alla fibrinolisi, bisogna trattare la clinica acutissima (dispnea e ipotensione). Prima di intubarlo , secondo me andava fatto questo. Cosa ha usato il collega per intubarlo (farmaci?) ” L’ intubatore occasionale” , come avete scritto, chi sarebbe? Il rianimatore? Io credo che la collaborazione tra figure professionali sia la piu bella cosa nel nostro lavoro, ma il team leader deve essere sempre ben identificato. Arianna Solidoro (anestesista – rianimatore)
Detto questo, probabilmente il signore avrà avuto un’embolia massiva e sarebbe finita assolutamente così come purtroppo si è verificato. Se posso in qualche modo esprimere il pensiero dell’altra faccia della medaglia (noi anestesisti), spesso noi pensiamo di essere chiamati all’ultimo minuto e ci troviamo a gestire una situazione che ormai ha varcato la “soglia”. È un peccato , oltre a trovarci davanti a situazioni certamente più difficili (parlo della clinica)rispetto a quando il paz è giunto in Ps.
Arianna, grazie del tuo contributo alla discussione. Mi rendo conto che il post di per se lungo è diventato lunghissimo, visti i numerosi commenti e così non lo hai letto con attenzione. Il paziente effettivamente ha avuto un’embolia polmonare e quando ho parlato, in un commento, di”intubatore occasionale” facevo riferimento alla mia persona e non a qualsivoglia intensivista, men che meno al collega che ha gestito le vie aeree del paziente. Peraltro come si potrebbe dare dell’occasionale a un professionista che esegue centinaia di intubazioni in un anno? Sarebbe un ossimoro. Concordo con te che nella gestione di un’emergenza tutto debba essere fatto contemporaneamente e rapidamente, ma se non capiamo cosa sta succedendo non potremmo fornire le cure adeguate.
Venendo al caso, l’anestesista rianimatore è stato coinvolto quasi subito nella gestione del paziente, così come descritto nel post. Credo che poco importi quale farmaci abbia usato o se è stata usata la noradrenalina o la NIV, la discussione che ne è derivata ha fornito molte interessanti opinioni e suggerimenti, ed è questo quello che conta. Questo lo spirito di questo blog che spero tu voglia continuare a seguire, nel rispetto delle opinioni di tutti, soprattutto di quelle che non condividiamo.
la “vexata quaestio” si ripropone… negli USA c’hanno messo vent’anni… per noi basterà un secolo?
Spero non si torni alle carte bollate (v. TAR) …
Ma intanto la “Specializzazione in Medicina d’Urgenza” ha subito due sconfitte: la prima qualitativa (troppo subordinata a certa “baronile” Medicina Interna); la seconda; borse ridotte…
Facile capire, a questo punto, come andrà a finire… esclusi i pochi e coraggiosi “testardi”!
Scusa Carlo… per l’OT – ma son certo che hai capito… con affetto, mauro
Mauro, non credo di essere coraggioso, ma testardo sì. Chi vivrà vedrà. Noi per il momento mettiamo il nostro impegno in una giusta causa.
Credo che noi impiegheremmo molto di meno di 20 anni. Siamo in parecchi a metterci la faccia (e la coccia dura!)!
Me lo auguro con tutto il cuore, Matteo! La Medina d’Urgenza NON deve più essere il luogo del “riciclo” di chirurghi geriatri cardiologi gastroenterologi etc. etc…
Troppi DM hanno confezionato inesistenti “affinità elettive” e per molti anni segneremo il passo su queste (nella mia realtà, ma non credo solo nella mia) il turn-over è parossistico! Giusto il tempo per la conferma in ruolo e poi… via… nella “specialità” d’origine… ripeto, spero tu abbia ragione, ma la situazione è talmente composita (a macchia di leopardo) che al momento non consente di far “massa critica” e ottenere risultati di maggior rilievo… prova ne è, pur nel pacatezza della discussione, la considerazione finale di Arianna… prova ne è quello che mi ha detto stamani un Pz. da me cardiovertito (previa, tra l’altro, valutazione “focused” del cuore): “ma lei è cardiologo?” “no, sono emergentista” … “ah…ma di preciso…cosa fa?”….
Un caro saluto a te e un ringraziamento a Carlo che mi consente un secondo intervento OT…
(non me la sento di discutere il caso clinico, è comunque un “vissuto”…anche per me)
Carlo, magari si potesse sempre fare diagnosi immediata e naturalmente corretta a cui poi fare seguire il trattamento ad hoc. Ma spesso non e’ così. Spesso la diagnosi arriva dopo o non arriva (se non con autopsia). Il problema è , secondo me, che non si può far stare un paziente con quella clinica e quei parametri (saturaz-press art – e aggiungo in ultimo glicemia anche se meno importante rispetto i primi due) fino a quando hai la diagnosi in mano. Uno stato di shock e una grave ipossiemia vanno trattati immediatamente o quanto meno si inizia subito. Prima di intubare , se c’è il tempo, e prima di andare in TAC. In qs caso avendo fatto tutte le varie eco e consulto cardiologico con ecocardio, il tempo ci sarebbe stato sia per mettere su un’amina , che per provare una NIV che fare insulina. Tu dici che “poco importa quale farmaco è stato usato o se è stato usato” . Secondo me , invece,ai tessuti centrali e periferici soffocati da uno stato di grave ipossiemia , acidosi metabolica, ipotensione e sicuramente ridotta estrazione di ossigeno…per un “tot” tempo persistito dal domicilio fino all’arresto (non so quanto ma sicuramente non pochi minuti)…beh…credo che importi eccome se e quali farmaci/trattamento fai per migliorare lo status di shock e ipoperfusione.. Sicuramente , in quei momenti, molto più di un alteplase.
Sono contento che vi sia la prospettiva di un Anestesista. L’esercizio della critica è una caratteristica fondamentale di questo blog. Esprimere disaccordo è essenziale a fini ultimi dell’obiettivo del progetto: condividere esperienze e informare. I commenti critici sono stranamente rari, per sfortuna. Pertanto particolarmente bene accetti, sopratutto quando modi civili e l’amore per il dibattito clinico, li caratterizzano. Come hai fatto tu. Condivido la maggior parte delle tue perplessità che avevo espresso in un commento precedente.
In effetti avrei avviato la NIV e contemporaneamente la noradrenalina per guadagnare lo stato cardiovascolare migliore possibile. Avrei messo in sicurezza le vie aeree precocemente sotto gli effetti auspicabili di questi provvedimenti, coinvolgendo, data la mole del paziente, il migliore esperto disponibile come ha fatto Carlo.
Ma, e qui sono in completo disaccordo con te, il tutto per dare luogo speditamente alla trombolisi.
C’è una ragione fisiopatologica in tutto ciò. Curare i numeri, passami questa semplificazione, può essere un esercizio rassicurante. Aumentare la pressione arteriosa media, possibilmente migliorare il pH e, nei limiti di uno shunt, la pO2, sono fini a sé stessi ed, in ultima analisi, inutili se non teniamo in considerazione il fatto che un ventricolo destro sovrapposto a quel sovraccarico diventa precocemente ischemico. E dopo un po’ difficilmente recuperabile. Risolvere la causa in questa circostanza deve avere la stessa enfasi del trattamento “sintomatico” per citarti. Ma il trattamento sintomatico principe è il trombolitico. Sarebbe stato l’unico rimedio e con un esito comunque non scontato. Da qui la necessità di fare una diagnosi a letto del paziente tramite l’ecografia, come dettato dalle linee guida, con cui per una volta mi trovo d’accordo. Certo è una scelta, non priva di rischi, come tutte le scelte in queste circostanze, ma giustificabile per la contingenza del caso.
Un appunto. Spesso troverai i medici di medicina d’urgenza ed emergenza indaffarati a perseguire la diagnostica ecografica. Una diagnosi precoce e adeguata allo stato del paziente deve essere perseguita. Per quanto un supporto pressorio e ventilatorio siano imprescindibili possono essere, altrettanto spesso, fraintesi come il rimedio. La gestione dell’emergenza, a mio modesto avviso, non può prescindere dalle risorse biologiche dei pazienti e non vi è alcuna dimostrazione che queste terapie rianimatorie da sole cambino la prognosi ultima di un paziente con un’embolia massiva.
La prospettiva del medico di medicina d’urgenza e emergenza deve essere questa.
Un’esperienza come quella di Carlo, raccontata certo non per vanità, rimane un caso clinico, peraltro condiviso con l’anestesista. Una esposizione di questo genere è facilmente soggetta a speculazioni. Ma tanta trasparenza merita commenti nel merito del caso, non generalizzazioni sull’operato dei medici di PS. Pertanto mi concedo una chiosa per fare pulizia, da qualche velo che traspare nelle tue osservazioni, e la mia è più di una operazione ecologica. Sono certo che la nostra realtà sia sufficientemente variegata. Proprio per questo non si presta a conclusioni grossolane. Anche a me è capitato, sebbene raramente, di incontrare sia “medici di PS” che Anestesisti ed in entrambi i casi non si comportavano da rianimatori.
Detto questo spero sinceramente tu abbia voglia di darci più spesso le tue opinioni.
Mattia , nel mio commento ho voluto solo esprimere quella che secondo me doveva essere il trattamento appena constata la situazione clinica del paz, senza aspettare a fare eco su eco e consulenze. È chiaro che come cominci a vedere il paz , cerchi di inquadrarlo e “annusare” la diagnosi: in qs modo ti indirizzi verso gli esami da fare. Ma qs non deve post-porre il trattamento di uno stato di shock e di una grave ipossiemia, presentatisi da subito. Non mi sono poi addentrata nelle altre questioni (tac o non tac…intubare o non intubare…alteplase o non alteplase) , sia perché non essendoci stata e non avendo visto e vissuto il caso , non mi sento né di esprimere opinione né tantomeno di giudicare , sia perché il mio commento si trasformerebbe in un poema e non ritengo sia il caso. Quindi in realtà non ho espresso diniego sulla trombolisi, ho solo detto quale a parer mio doveva essere il primo e immediato trattamento. Sono però anche certa che anche se fosse stato fatto, non avrebbe modificato l’esito purtroppo tragico. Ho riletto attentamente tutto il post e mi scuso per aver interpretato scorrettamente la frase sull'” intubatore occasionale”. La prima lettura era stata veloce, troppo veloce, e superficiale.
Grazie per la chiarificazione. Allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Ti ringrazio ancora per avere partecipato e ti rinnovo il nostro invito, non di forma, a partecipare ancora.
A presto.
Mattia ti ringrazio. Questo caso , volendo, darebbe spunti per aprire molti argomenti di discussione, come già in parte emerso nei commenti . Fermo restando che per poter discutere in modo “realistico e congruo” al caso , con tutte le difficoltà di gestione causa grave obesita’ , avremmo dovuto tutti trovarci lì con Carlo. Mi permetto di fare ancora una piccola considerazione riguardo l’intubazione. Ho letto che qualcuno ha evidenziato la scelta non facile di intubare questo signore causa lo stato di shock e immagino l’obesità. Vero, ed è per questo motivo che nel mio commento iniziale mi sono permessa di criticare sul fatto che noi siamo spesso chiamati per ultimi e all’ultimo minuto. Questo , non è difficile da pensare, ci pone sempre davanti a situazioni drammatiche che se invece venissero gestite (da noi) in anticipo rispetto il momento effettivo della chiamata, ci faciliterebbe per metterci nelle migliori condizioni di operatività. Quando precedentemente avevo chiesto quali farmaci sono stati usati per intubarlo, senza ottenere risposta, era solo per questo. Perché mi posso immaginare il collega che si è trovato davanti uno senza pressione, ormai nero e per giunta superobeso….quando se avesse avuto almeno su l’adrenalina e avesse avuto la possibilità di vederlo prima, avrebbe potuto mettersi in condizioni migliori per intubarlo (mi riferisco anche al posizionamento corretto del paz stesso in preparazione all’intubaz, come da grande obeso).
Insomma quello che sto cercando di dire è che chi gestisce l’urgenza/emergenza o dovrebbe farlo fino alla fine senza chiamare, oppure annusando la complessità del caso, dovrebbe chiamare subito. Non si può pensare di gestire il tutto fino quasi alla fine per poi passare all’ultimo “la palla”. Non è corretto soprattutto perché chi arriva dopo non ha fino a quel momento visto , fatto e quindi gestito niente, e si trova “il casino” che è precipitato. Siccome questo caso mi ha fatto rivivere diversi casi simili che ho vissuto, con mio grande fastidio, perché noi non siamo “intubatori advanced”, ma siamo anestesisti/rianimatori (che è diverso), mi sono immedesimata nel collega. Lo dico per far riflettere anche sulla nostra posizione.
Arianna, sono d’accordo con te il nostro vissuto è fortemente condizionante. Ricordo che molti anni fa, quando la trombolisi nello STEMI era considerata la terapia di elezione che un mio collega mi disse” non farò mai più una trombolisi in vita mia!” Il primo paziente che aveva trombolisato era morto a causa di un’ emorragia cerebrale, ma vorrei tornare al caso, proprio perché le generalizzazioni non sempre sono di aiuto.
Il paziente all’arrivo dell’intensivista non era “nero” né in periarresto. La pressione arteriosa 90/60 la So2 in reservoir 90% , anche se in palese fatica respiratoria. Vi è stato il tempo di discutere il caso, di assicurarci che il paziente potesse entrare nella TAC e di optare per la conferma diagnostica e l’intubazione e non per la trombolisi immediata , di informarlo su quello che stavamo facendo e avremmo fatto.
Il collega rianimatore non è stato chiamato per eseguire la procedura, ma per dare al paziente le migliori opportunità.
Nessuno dei medici presenti: medico di pronto, cardiologo, e 2 rianimatori, ha pensato fosse preferibile prima dell’intubazione ventilare il paziente in modo non invasivo o avviare una flebo di noradrenalina.
Credo che nulla quindi sarebbe cambiato se avessi chiamato prima il rianimatore, il quale avrebbe chiesto l’aiuto del cardiologo per un eventuale supporto diagnostico non invasivo e avrebbe fatto le stesse cose che ha fatto in realtà.
I farmaci usati per l’intubazione sono stati basse dosi di fentanyl, propofol e succinilcolina e credo che su questa strategia si potrebbe aprire una lunga discussione. Non ne ho parlato prima solo per evitare inutili sterili polemiche.
Lo scopo di questo post non era criticare alcuno né offendere, ma solo condividere un’esperienza in modo che in qualche modo potesse servire per il futuro.
Ora sappiamo che in una situazione come questa Arianna e Mattia si sarebbero comportati diversamente e credo che i suggerimenti che avete dato siano importanti, anche se, come voi, sono convinto che il risultato finale non sarebbe cambiato.
Capita tutti giorni ahimè, di sentire critiche sull’operato dei colleghi, di come, a bocce ferme, si sarebbe dovuta gestire diversamente e meglio quella particolare situazione clinica, senza un’aperta discussione,o ancora peggio basando le nostre opinioni sul pregiudizio, nella fallace idea che a noi non possa capitare mai di non essere al 100% e di commettere errori. Sappiamo bene che non è così.
Lo scopo del post era proprio l’opposto, aprire un onesto dibattito, su una situazione complessa e di non facile gestione per nessuno e credo che questo obiettivo sia stato raggiunto.
Ho letto un pochino il tuo blog. Mi complimento per come è strutturato e perché dai tuoi post ho percepito una sensibilità e passione verso il proprio lavoro ed i pazienti, di non comune riscontro nei colleghi. Per questo motivo mi fermo qua, perché non voglio “generalizzare” nei miei commenti, come forse è sembrato (perche’ basati anche su mie esperienze ). A volte però ,se l’obiettivo e’ andare anche alla ricerca di un confronto, oltre che ad una condivisione, può forse essere utile anche un parere e un punto di vista diversi.
Arianna, ti ringrazio dei complimenti. Tutti noi abbiamo in comune la passione per il nostro lavoro e l’intento di ottenere il meglio per i nostri pazienti. le nostre idee divergono sul modo di raggiungere lo scopo, ma concordo con te, il confronto è l’unico strumento utile per migliorarci. In modo sentito e non formale, ti ringrazio delle critiche e dei commenti, e ti rinnovo l’invito a darci il tuo punto di vista in futuro.
Grazie, se avete piacere sarò dei vostri.
io non avrei fatto 1000 ml di fisiologica ad un paziente con un destro così che ne pensate?
Ciao Giuseppe, perché non avresti dovuto riempire un paziente ipoteso con ventricolo destro dilatato e se vuoi anche ipocinetico? Quali sono le controindicazioni?
Ciao Carlo, io non avrei riempito il paziente proprio perché secondo me un cuore destro acutamente scompensato come quello non può reggere un aumento del precarico. E’ vero che il paziente è ipoteso, ed è altrettanto vero che i tessuti soffrono la bassa portata (Acidosi lattica): quindi probabilmente io avrei provato subito con la NIV (pur sapendo che anche la ventilazione a a pressione positiva non giova ad un cuore del genere) e poi con inotropi e/o vasopressori (la dobutamina avrebbe potuto aiutare il destro a pompare, e nel caso che la pressione fosse crollata a seguito della vasodilatazione ci avrei aggiunto anche la noradrenalina). Il tutto con l’obiettivo di migliorare l’ossigenazione tissulare, indipendentemente dalla diagnosi certa. Fermo è che se tu hai sospettato l’embolia polmonare (normocapnica, e pensare che il mio professore buttava fuori all’esame chiunque sostenesse che potesse esistere questo tipo di insufficienza respiratoria nel caso di embolia persino in un BPCO grave – eppure esiste evidentemente) hai fatto bene a fare la trombolisi prima ancora dell’angioTC. Ho la vaga sensazione che NIV o IOT, dobu dopa nora etc etc l’epilogo sarebbe stato lo stesso. Però boh io proprio quei mille di fisiologica non li avrei fatti 🙂
Da un punto di vista fisiopatologico il modello di interpretazione più spesso considerato vorrebbe un incremento della pressione media di riempimento e dello stressed volume.
La scelta dell’infusione di 500/1000 ml di salina in bolo ha questo obiettivo. Esistono alcune evidenze a proposito (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/m/pubmed/10199533/). Le tue remore sono in parte fondate: l’aumento delle pressioni ventricolari tramite il precarico può aumentare le pressioni transumurali e ridurne la funzionalità. Infatti un calo pressorio dopo somministrazione di liquidi è tipico dell’embolia polmonare. Però quella di incrementare il gradiente del ritorno venoso è una prova da intraprendere. Questo perché si può fare scarso affidamento sull’effetto inotropo dei farmaci sul ventricolo destro data la sua massa muscolare. La dobutamina da sola è sconsigliabile anche perché oltre all’effetto vasodilatatore è un farmaco relativamente lento ad agire.
La noradrenalina invece ha un profilo teoricamente ideale. A parte l’effetto beta adrenergico modesto agisce come vasocostrittore. Interessa particolarmente l’azione sul versante venoso per cercare di ristabilire un gradiente pressorio che favorisca il ritorno venoso (leggi questo bellissimo articolo http://www.ncbi.nlm.nih.gov/m/pubmed/11888976/).
Per quanto riguarda l’EGA: non esiste alcuna combinazione di assetto che sia sufficientemente specifica o sensibile per l’embolia e in genere per qualsiasi patologia. Già il PIOPED aveva evidenziato questo limite. Nella realtà clinica questo ha avuto ulteriori dimostrazioni http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3219017/.
molto interessante. si io magari gli avrei fatto un eroico 250 di emagel 🙂 ma ripeto sono certo che sarebbe cambiato poco a livello “pratico”
Ciao Carlo,
innanzitutto ti sono vicino per questo caso clinico che, in relazione alla sensibilità che dimostri in tutti gli articoli che scrivi e che leggo con interesse, deve esserti costato molto.
Esaminando in maniera asettica dall’esterno noto che il problema principale del paziente è un problema RESPIRATORIO associato ad un ipotensione SEVERA. Gli organi colpevoli dovrebbero essere cuore e/o polmone. L’ECG mostra poco o nulla che giustifichi il quadro di ipotensione, in particolare la frequenza è < 150 e non sono presenti chiari e inequivocabili segni di ST-sopra. L’ecocardiogramma da te effettuato non mostra una dilatazione importante ed inequivocabile del ventricolo destro che spesso si accompagna ad un embolia polmonare massiva con implicazioni emodinamiche (il paziente inoltre ha una BPCO che potrebbe giustificare un sovraccarico cronico del ventricolo dx). E’ presente un versamento pleurico che potrebbe spostare l’ago della bilancia verso il polmone come responsabile della dispnea.
Passiamo all’emogasanalisi che qualche informazione ce la fornisce. E’ presente un disturbo misto dell’equilibrio acido base, ci troviamo di fronte ad un’acidosi metabolica (disturbo primitivo preponderante) associata ad una lieve acidosi respiratoria (il compenso atteso della pCO2 per i valori di HCO3 sarebbe 31,2 mmHg mentre qui abbiamo 39,5 mmHg). E’ presente un anion gap aumentato (Circa 20) che potrebbe trovare giustificazione in un acidosi lattica (confermata dagli alti valori di lattati) o da una chetoacidosi diabetica (sospettata dai valori elevati di glicemia). E’ presente ipossiemia severa. I valori di emoglobina e di pCO2 non sono cosi alti come potremmo aspettarci in un BPCO severo.
Il quadro EGA è essenzialmente compatibile con: scompenso cardiaco, embolia polmonare, focolaio broncopneumonico. L’assenza di linee B alle basi e la presenza di versamento monolaterale tende ad escludere il primo caso e lascia aperti gli altri due.
Direi che shock settico severo da sospetto focolaio polmonare sn ed embolia polmonare sono le ipotesi più plausibili e che solo un riscontro autoptico potrà chiarire il tutto. In entrambi i casi, data la presentazione clinica e le comorbidita, penso che l’unico intervento che avrebbe potuto salvare il paziente sarebbe stato quello divino (per chi ci crede). Take care, Ste.
Stefano, grazie del tuo commento e delle belle parole iniziali.Parlare di casi come questo anche solo tra coloro che li hanno gestiti, è difficile, figurati metterli nero su bianco. Credo che questo nostro atteggiamento debba cambiare, per questo motivo, anche a costo di affrontare critiche e polemiche ho deciso di presentarlo. Purtroppo descrivere un caso non è mai come viverlo. L’impressione clinica iniziale, la gestalt degli anglosassoni, che come sai nel caso dell’embolia polmonare vale quanto gli score più validati, è stata per me fortemente condizionante, anche se alla fine non ho avuto l’assertività di perseguire sino in fondo la mia ipotesi diagnostica iniziale. I motivi li ho spiegati, credo a fondo, nel post. Certo il paziente avrebbe potuto avere la chetoacidosi diabetica con associato focolaio broncopneumonico, una sepsi, pero ha avuto un’embolia polmonare massiva. Grazie ancora del tuo commento e della brillante interpretazione fisiopatologica.
Caro Carlo,
ho ripercorso il caso clinico “a freddo” facendo finta di essere al tuo posto prima che il paziente andasse in arresto cardiorespiratorio. La tua impressione clinica iniziale di “embolia polmonare” è stata corretta ed hai avuto la conferma di ciò “ex post”, dal riscontro autoptico. Questo fa di te un medico “con una marcia in più”, possiedi il famoso occhio clinico di Murri. Mi permetto però di fare un’osservazione aggiuntiva. L’ipotesi alternativa di shock settico in questo caso era tutt’altro che improbabile, come lo stesso rianimatore ti ha fatto notare (ed anch’io per quel poco che conta). Io penso che non sia stata mancanza di polso o di “leadership” che ti ha “piegato” ad effettuare la TAC prima di somministrare ALTEPLASE, ma sia stato il buon senso associato ad una dose di modestia che non guasta nella gestione di un paziente critico (“e se avessi torto?”).
Il problema centrale di questo caso clinico, che nessuno avrebbe “risolto” con esiti diversi da quelli che si sono verificati, è cosa succede a noi quando si verifica un caso come questo, quando pensiamo di “aver sbagliato” e di aver contribuito alla morte di un’altra persona. E’ la parte complessa del nostro lavoro ma fa parte integrante di esso. Riuscire ad accettarla e a “perdonarci” anche in assenza di colpe evidenti, è importante per noi stessi e per i pazienti che ci troveremo ad incontrare nel futuro. Inoltre aggiungo, purtroppo per esperienza personale, che la Gestalt non sempre conduce verso la retta via e può essere fonte di scottature. Per il poco che conta, mi piacerebbe incontrare un medico come te, se mai dovessi trovarmi dall’altra parte della barricata.
Grazie per aver condiviso con tutti questa esperienza, che secondo me da un lato ci ricorda dell’estrema difficoltà nella gestione del paziente gravemente obeso e dall’altro ci fa capire un po’ come quella voce interiore (quella che punta il ditino sulla diagnosi al primo sguardo) molto spesso ha ragione. Ci vuole coraggio e tanta onestà intellettuale a condividere i momenti difficili.
Al di là delle varie considerazioni, non credo che la somministrazione di fibrinolitico anche nella prima ora avrebbe cambiato la prognosi: più passa il tempo e più mi sembra che la nostra voglia di usare il fibrinolitico in campi differenti dallo STEMI faccia più buchi nell’acqua che altro. Effettivamente, al di là di questa nozione aneddotica, tutti i vari studi dulla TEP effettuati sin’ora non è che dimostrino una diminuzione della mortalità – forse il ruolo più interessante sembrerebbe averlo sulla submassiva, nel ridurre le pressioni polmonari.
Tra l’altro, suppongo che nell’elaborazione mentale di un evento di per sè complesso e spiacevole la successione di eventi e il ricordo di essi diventa un po’ confuso.
E anche la scelta di intubarlo non è facile: tra l’agente induttore e la pressione positiva si rischia di mandare a quel paese quel poco di circolo rimasto (cosa che mi sembra di capire che è successa).
Provocazione: il povero Amedeo si sarebbe potuto giovare di un ECMO?
PS: rimango dell’idea che nonostante tutte le opzioni terapeutiche di questo mondo, il povero Amedeo avrebbe intrapreso la stessa strada.
Ovviamente il “Tra l’altro, suppongo che nell’elaborazione mentale di un evento di per sè complesso e spiacevole la successione di eventi e il ricordo di essi diventa un po’ confuso.” è riferito al fatto che è tutt’altro che è facile mettere nero su bianco la trafila di eventi e, pertanto, anche la sequenza temporale degli eventi può non rispecchiare quella avvenuta nella realtà (per quanto ne sappiamo il tutto può essere avvenuto anche in venti minuti).
Mi ero reso conto che la frase suonava male dopo averla riletta!
Matteo grazie delle tue osservazioni. Riguardo all’ECMO nessuno ci ha pensato, anche perché non è una risorsa disponibile nel nostro ospedale e trasportare un paziente in quelle condizioni cliniche credo obiettivamente fosse impensabile. I dati su questo approccio terapeutico aggressivo nei pazienti con grave insufficienza ventricolare destra acuta, come sai, sono al momento piuttosto aneddotici anche se non mancano i suoi sostenitori. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24055248
Giuseppe, ho poco da aggiungere a quanto già detto così bene da Mattia,se non che una valutazione della cava inferiore in eco avrebbe forse potuto darci qualche elemento in più nella gestione anche terapeutica di questo paziente seguendo i dettami del RUSH exam. Purtroppo l’obesità del paziente è stata , per me , un ostacolo insormontabile.
http://empills.com/2011/11/il-paziente-e-in-shock-fai-il-rush-exam/
Arianna il tuo pensiero mi era chiaro, anche quando si annidava tra le righe.
Capisco la reticenza, suppongo per diplomazia, ad esprimerlo chiaramente fin da subito, sebbene la schiettezza a me e ai curatori di questo blog è più congeniale e più gradita.
Peraltro data l’avversione ideologica ufficialmente palesata dalla AAROI-EMAC e concretamente perpetrata per vie legali, direi che non c’è bisogno di nascondersi dietro un dito, ma si debba esprimere chiaramente un dissenso. Vieppiù quando i commenti viscerali di alcuni colleghi Anestesisti riecheggiano tutt’oggi nei corridoi dei nostri Ospedali.
Non di tutti ben inteso e magari non sei da annoverare nella lista.
Ma hai ragione: ancora una volta condivido la premessa.
Per poterci fregiare del titolo di medici di medicina di emergenza e d’urgenza dobbiamo mirare alla piena autonomia e quindi a standard alti. Certo sino ad oggi questo è stato ottenuto in maniera inconsistente, a macchia di leopardo, solo al costo di sacrifici personali.
Come già commentavo l’introduzione di una scuola di specialità ha questo obiettivo. Per quanto con incoerenze e limiti, nonché con recenti ingiustificate contrazioni, si cerca di raggiungere questo obiettivo.
Ancora una volta la premessa è condivisa la soluzione no.
E ancora meno la generalizzazione che come tutte le approssimazioni può risultare spregiativa, almeno alle mie orecchie.
Sì il medico d’urgenza dovrebbe gestire tutte le fasi della rianimazione di un paziente critico.
Questo è quello che succede nella mia realtà lavorativa. Non dopo conflitti mai sopiti e ricorrenti critiche.
Peraltro sono convinto che debba essere il medico di emergenza e urgenza ad appropriarsi completamente delle competenze necessarie e delle abilità pratiche connesse, perché ha la giusta prospettiva per inquadrare il paziente .
Non perché si tratti di un supereroe della medicina, ma perché la formazione e il raggiungimento di una competenza culturale che sia applicabile al contesto epidemiologico, quello di una popolazione extraospedaliera indifferenziata, sono possibili solo nell’ambito della nostra esposizione professionale purché non passiva.
Ecco questa è l’essenza di una specialità.
Gli anestesisti sono per definizione rianimatori. Sebbene nessuno di noi abbia alcun interesse a fare l’anestesista, io rivendico il ruolo del rianimatore.
Inoltre credo che nel nostro contesto lavorativo trasferire esclusivamente il bagaglio professionale della sala operatoria, come talora ho visto fare, sia incompatibile con la realtà intrinseca del PS e quindi potenzialmente deleterio.
La qualificazione professionale deve essere sancita per le future generazioni attraverso un percorso istituzionale. Ma qui esiste nuovamente una divergenza insanabile con le posizioni delle società scientifiche di riferimento degli anestesisti e, se fosse il caso, anche con la tua che sarebbe legittima.
La soluzione per me e la SIMEU sta nel costruire questa figura professionale. Al contrario per molti (la maggioranza?) degli anestesisti sta nell’evitare che questa possibilità venga addirittura contemplata.
Però è bene uscire da questo equivoco e parlarne a carte scoperte.
Sono convinto che il confronto sia utile purché non vi siano chiusure preconcette. Ho l’ambizione di convincere come tutte le persone appassionate del proprio mestiere.
Non commenterò ulteriormente su questo argomento perché diverrebbe un esercizio sterile e tedioso.
Spero invece come ti ho già detto che questo nostro incontro possa essere il preludio per confronti futuri, dal momento che la mia voglia di imparare da tutti è superiore ad ogni campanilismo.
Io non sono campanilista, ma sicuramente amo il lavoro. Non ho alcun problema e non ho mai avuto la sensazione di sentirmi “derubata” di qualcosa. In sala operatoria a volte faccio intubare i miei nurses di anestesia perché penso sempre che se mi dovesse accadere qualcosa al momento dell’ induzione, so che loro sarebbero in grado di gestire le vie aeree al posto mio. Per cui…..vedi tu!
So anche però, che quando io o i miei colleghi gestiamo un malato, lo facciamo fino in fondo senza chiamare nessuno a cui delegare la gestione di nulla. Chiamiamo solo per consulenze. I malati noi li vediamo da soli dall’inizio alla fine. In rianimazione funziona così. In sala operatoria anche. In ambulatorio di terapia antalgica anche, visto che siamo in genere l’ultimo degli ingranaggi a cui i pazienti vengono sottoposti nei loro calvari. Dopo di noi…siamo sempre noi. Questa è la realtà. Il lavoro di sala operatoria è diverso dalla rianimazione. Chi fa entrambi, come io, ha forse una duplice visione e mentalità , necessarie per affrontare tutte le situazioni in due ambienti molto diversi, dove però ti puoi trovare a gestire pazienti molto critici della rianimazione in sala operatoria. Non concordo assolutamente sulla rivendicazione del ruolo del rianimatore. Il rianimatore gestisce tutto e non chiama nessuno altro per gestire qualcosa. Purtroppo per te è così. Per gestire bene le vie aeree (per fare uno stupido esempio) ci vogliono anni di continue intubazioni in sala operatoria, con tutti i dispositivi e anche col fibroscopio. Nessun corso e nessun manichino te lo può insegnare. E nonostante tutto quando hai il paz che non è ventilabile né intubabile , cerchi con l’esperienza di “inventarti ” (passami qs verbo ) qualcosa e perdi 30 anni di vita, anche se hai già fatto migliaia di intubazioni.
Detto questo mi fermo qui , nel rispetto del blog e di Carlo
Carlo grazie di aver condiviso la tua esperienza e per aver dato vita a questo confronto interessante.
Ho letto con attenzione le riflessioni sul caso clinico nonchè quelle riguardanti un tema che sta molto a cuore ai professionisti del DEA ovvero competenze-skills del medico di P.S. e dei futuri medici specialisti in medicina d’urgenza.
Tuttavia è riguardo alla leadership che vorrei porre un quesito: una volta chiamato il collega rianimatore per un paziente come Amedeo, destinato nella migliore ipotesi alla Rianimazione-Terapia intensiva, a chi passa la leadership? Il leader per definizione deve essere uno ed uno solo, soprattutto se devono essere prese decisioni difficili in tempi brevi e che possono avere un sensibile margine di variabilità come in questo caso. Il medico del DEA ha ancora in carico il paziente, verosimilmente il rianimatore dovrà avviare la gestione per portarlo in TI… quindi?
Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione, oltre quella già espressa da Carlo, sull’argomento.
Roberto, grazie della tua domanda, che pone un problema non da poco e a cui non è facile dare una risposta. Cercherò di chiarire il mio pensiero, facendo seguire le mie considerazioni ad alcune domande? Chi ha il compito dovere di accettare e ricoverare i pazienti che giungono in pronto soccorso? Lo specialista che seguirà successivamente il paziente o il medico del pronto soccorso? La teoria ci dice quest’ultimo, la pratica… dipende dai diversi contesti, che in Italia come sai sono molteplici e variegati. Ci sono alcune situazioni, come quelle contemplate dall’ALS; in cui il team leader deve essere uno solo, ma in molti casi un confronto tra professionisti, ed in questo includo anche gli infermieri, non solo è utile , ma doveroso.
Non credo ci sia arroganza nel dire che noi abbiamo il diritto e il dovere di dire la nostra sui pazienti che stiamo valutando nei nostri pronto soccorso, la cui gestione dipende in primis dal nostro livello di esperienza e competenza In pratica assai spesso succede il contrario, riducendo il nostro ruolo a quello della polizia municipale, non sempre però questo fa il bene del paziente.
Forse dipende dalle strutture presenti nell’H e perciò dall’organizzazione. Da noi e in tutti gli H dove sono stata (come specializzanda) che hanno una rianimazione, la leadership passa al rianimatore. Nell’ H dove ho iniziato a lavorare ormai più di 10 anni fa , privo di terapia intensiva e con un DEA gestito fondamentalmente da internisti e qualche cardiologo di passaggio, l’anestesista (che quindi faceva e tutt’ora fa solo sala operatoria), veniva chiamato solo per procedure al volo (intubazioni o cvc che non riuscivano a fare i colleghi). Sono rimasta molto poco in quell’H….sinceramente…
Forse dipende dal tipo di H e da come è strutturato. Da noi e in tutti gli H in cui sono stata (quando ero specializzanda) , che hanno una rianimazione, è il rianimatore a prendere la leadership. Nell’H dove ho iniziato a lavorare , privo di terapia intensiva e con un DEA gestito da internisti e qualche cardiologo di passaggio, l’anestesista invece aveva un ruolo di “salvataggio” sulle procedure non riuscite o previste difficili come intubazioni o cvc . In quel H gli anestesisti facevano e tutt’ora fanno solo sala operatoria. Sinceramente io sono rimasta poco là. ..però. ..
Mi scuso per il doppio commento. Ma inizialmente non mi aveva pubblicato il primo…poi tutti e due assieme. Boh