Il muro intorno al Pronto Soccorso si sta chiudendo, mattone dopo mattone.
Abbiamo già parlato di uno di questi mattoni, affrontando il problema del boarding nel capitolo precedente.
Oggi parliamo di laghi e di ghiaccio sottile: il ghiaccio sottile su cui tutti noi medici di pronto soccorso pattiniamo, osservando le crepe che si aprono e che indicano una improvvisa rottura, il collasso del sistema.
Ci guida la seconda canzone di The Wall, The Thin Ice.
“If you should go skating – On the thin ice of modern life – Dragging behind you the silent reproach – Of a million tear-stained eyes – Don’t be surprised when a crack in the ice – Appears under your feet”
“Se dovessi andare a pattinare – Sul ghiaccio sottile della vita moderna – Trascinandoti dietro il silenzioso rimprovero – Di un milione di occhi rigati di lacrime – Non essere sorpreso quando una crepa nel ghiaccio – Appare sotto i tuoi piedi.”
Quali sono queste crepe?
beh, le vediamo ogni mese, ogni giorno, ogni ora: i colleghi che dicono basta, e che abbandonano il pronto soccorso. Le motivazioni sono molte, in parte ne abbiamo parlato affrontando i lati oscuri del nostro lavoro e in parte ne parleremo nei prossimi capitoli, per cui adesso concentriamoci non su chi abbandona, ma sul vuoto che lasciano.
Come viene colmato questo vuoto, se mancano specialisti e medici disposti ad entrare nel servizio sanitario per le stesse motivazioni che hanno spinto i loro colleghi ad andarsene?
Oggi parliamo di outsourcing, l’ennesimo mattone del muro.
Cosa è l’outsourcing? sembra che, ogni volta che affrontiamo un problema, salti fuori un termine inglese.
Di cosa parliamo?
L’outsourcing (o esternalizzazione dei servizi) è semplicemente un rapporto di affari tra una organizzazione o un’industria ed un fornitore di un servizio essenziale non posseduto dalla organizzazione o dall’industria stessa. Il richiedente necessita di un servizio o una prestazione, ma gli costa meno richiederlo all’esterno piuttosto che attivarsi per realizzarlo da sè: questo ha un fine essenziale in termine di efficienza produttiva, e di efficacia
Se da un lato serve per migliorare la produzione e ridurre i costi, dall’altro lato comporta, inevitabilmente, dei rischi: il richiedente delega ad un esterno un servizio per lui importante, sperando che sia adeguato e che non gli porti problemi.
Da quanto abbiamo brevemente descritto, appare evidente che l’outosourcing si basi su un rapporto di fiducia:
chi affida all’esterno una attività necessaria al raggiungimento dei propri obiettivi deve presumere che l’operato del fornitore si basi sui suoi stessi standard di qualità e sicurezza. Se qualcosa non funziona, ne va della reputazione e dell’immagine di chi ha richiesto il servizio, e la sua stessa produzione può risultare compromessa.
Esiste l’outosourcing in sanità?
Certo, da sempre, ed è inevitabile che una organizzazione sanitaria affidi a fornitori esterni servizi essenziali che non può erogare o che gli costerebbe troppo farlo: la sicurezza informatica, gli stessi sistemi informativi, la pulizia e l’igiene, per citarne alcuni. Questo tipo di outsourcing può compromettere la qualità della prestazione sanitaria? in modo indiretto, sicuramente, ma prevenibile e gestibile, proprio perché non interessa direttamente la cura del paziente.
Eppure intorno a noi è un proliferare di turni affidati a medici di fornitori di servizi esterni, le cosiddette “cooperative”.
Il problema della carenza di organico è un problema serio e reale, lo abbiamo detto in precedenza, e ha origini lontane: affidare queste carenze a fornitori di servizi può sembrare inevitabile, ma quali sono le insidie?
Abbiamo accennato in precedenza ai rischi intrinseci all’outsourcing, che nascono quando il prestatore del servizio in affitto non risponde a tutti gli standard di qualità e di sicurezza dell’organizzazione.
Berry, Letchuman et al, su Mayo Clin Proc (2021) parlano proprio della posta in gioco dell’outsourcing sanitario: sebbene scrivano della realtà sanitaria americana, così differente rispetto alla nostra, il loro articolo è molto interessante perchè affronta il problema di vari servizi, tra cui la medicina d’emergenza ed il pronto soccorso. Gli autori affermano che l’outosourcing è inevitabile, e a tratti ottimale, quando riguarda servizi lontani dai pazienti e dall’assistenza sanitaria, e che tende a diventare fonte di problemi quanto più si avvicina alla prestazione sanitaria.
Perché l’outsourcing possa contribuire al raggiungimento degli obiettivi sanitari di una azienda, è necessario e fondamentale che l’azienda stessa:
- definisca con precisione il tipo di prestazione richiesta, e soprattutto gli standard di qualità che ritiene necessari
- monitori con attenzione l’efficacia e l’efficienza delle cure.
L’azienda che affida un servizio in outsourcing ad un fornitore esterno deve sapere cosa chiede, e sapere come controllare il fornitore stesso.
Senza entrare nell’analisi della privatizzazione in sanità – che esula dal discorso – non dobbiamo però dimenticare che gli obiettivi (“Mission”) di una azienda sanitaria pubblica (la salute dei cittadini) differiscono non poco da quelli di un fornitore privato di servizi sanitari (il guadagno) e che da questa divergenza si possono creare notevoli problemi.
Gli autori del lavoro citato sottolineano che una azienda sanitaria fatica ad esercitare il controllo necessario quando affida ad esterni le prestazioni a diretto contatto con il malato – e questo può essere un rischio perchè arriva a compromettere lo stesso governo clinico, uno dei capisaldi della sanità moderna.
Non solo, oltre che essere un potenziale rischio perché può compromettere la qualità e la sicurezza nelle cure, l’outsourcing sanitario non rappresenta neppure un vantaggio economico, perché ha costi inapparenti iniziali che diventano evidenti a medio e lungo termine, compromettendo la stessa efficacia ed efficienza delle cure – ossia minando il razionale alla base dell’outsourcing stesso, come descritto in precedenza.
Ecco, siamo arrivati a parlare di economia, un terreno minato, perchè è un argomento davvero complesso e preferirei non entrarvi.
Però esiste un ulteriore punto, sottolineato dagli autori, e che è davvero fondamentale: parliamo di competenze – e quindi di “Identità” del professionista dell’urgenza, che possono essere compromesse dall’outsourcing.
Quando viene affidato un servizio sanitario d’emergenza a personale esterno, vengono garantite le competenze professionali considerate essenziali?
Se la risposta è no, come è esperienza di molti, in questo modo si sminuisce il ruolo degli altri professionisti del servizio, che perdono fiducia nell’organizzazione stessa, perché vedono che il loro lavoro, per cui dovrebbero essere specialisti, viene assegnato a persone prive delle stesse competenze ed esperienze. Il benessere organizzativo viene compromesso, e la qualità delle prestazioni erogate può deteriorarsi. Soprattutto se esiste una notevole disparità di trattamento economico tra le due figure professionali, e una notevole disparità nel carico di lavoro e nelle responsabilità, se i medici esterni non possono gestire i casi più complessi ed urgenti.
Ma questi sono altri problemi, che non posso affrontare in questo post.
Il ghiaccio è sottile, le crepe sono sotto gli occhi di tutti e prima o poi si romperà: l’outsourcing può sembrare una soluzione comoda, ma a ben vedere altro non è che un ulteriore mattone del muro che si sta chiudendo.
Perchè ha probabilmente anche dei rischi non indifferenti.
Un problema si affronta con una soluzione, è inevitabile. Ma se la soluzione stessa è una possibile causa di un problema futuro, sarebbe sciocco non tenerne conto. Da uno studio inglese molto recente (luglio 2022) pubblicato su Lancet, Goodair e Reeves dimostrano che la riforma del servizio sanitario inglese, con il ricorso all’outsourcing delle prestazioni sanitarie, ha causato:
- un peggioramento della qualità percepita dall’utenza (customer satisfaction)
- un aumento dei tempi di attesa delle prestazioni
e, teniamoci forte,
- un aumento della mortalità evitabile.
Il modello inglese non è equiparabile al nostro, e gli autori sottolineano come i tagli calla sanità della riforma del NHS possano aver contribuito al fenomeno: ma l’analisi multivariata rispetto all’introduzione dell’esternalizzazione dei servizi, successiva alla riforma, ha dimostrato un rapporto causale diretto tra l’outsourcing e l’aumento della mortalità.
Come nel capitolo precedente, quando abbiamo parlato del boarding, qui non vogliamo proporre una soluzione – sarebbe presuntuoso – ma offrire uno spunto di riflessione per una soluzione (l’esternalizzazione dei servizi sanitari in carenza di personale) che può apparire comoda ed allettante, ma che può essere foriera di non pochi problemi.
Albert Einstein, parlando dell’energia atomica nel 1945, disse che “La produzione dell’energia atomica non ha creato un problema nuovo. Ha semplicemente reso più urgente la necessità di risolverne uno già esistente.”
Lo stesso si può dire dell’outsourcing: esternalizzare i servizi sanitari a privati non ha creato un nuovo problema, ma semplicemente ha reso più urgente la necessità di risolverne uno già esistente, ovvero la carenza e la fuga dai pronto soccorso dei professionisti.
Se non risolviamo questo “piccolo” problema, ne andrà della sopravvivenza del servizio sanitario stesso, con tutti i rischi a carico dei pazienti.
Perché ricordiamoci sempre quello che afferma la legge di Murphy sulla termodinamica: “Sotto pressione, le cose peggiorano”.
E oggi la pressione sul pronto soccorso è massima.
Sarebbe interessante conoscere quali siano le strategie per ritenere più personale in pronto soccorso e più in generale in sanità.
Inoltre quali sono le strategie di reclutamento in sanità e nello specifico in pronto soccorso.
Ho letto un po’ al riguardo di recente e sono sempre più convinto che per quanto si possano chiamare “aziende sanitarie” di aziendale ci sia ben poco su queste operazioni.
Strategie? Il problema dell’outsourcing è la mancanza di strategie e di controllo. E l’aziendalizzazione avrebbe senso solo se fossero davvero aziende, con traguardi e risultati, premi e sanzioni, e libertà di azione. Io sarei anche per togliere i concorsi. I medici dovrebbero essere scelti dal direttore (così può avere un controllo effettivo dei risultati e della qualità), rispondendone per inadeguatezza nella scelta. Così per la nomina dei direttori. Ognuno responsabile dei passaggi, delle nomine, dei risultati.
La sanità non figura tra le priorità della campagna elettorale, la condizione dei DEA/PS non interessa se non a chi ci lavora.
Il sentimento è che la pandemia sia alle spalle: brutti ricordi di cui disfarsi non metaforicamente!
E’ notizia di qualche giorno fa: la regione Calabria farà affidamento su quasi 500 medici cubani per coprire le carenze di medici negli ospedali. Si deduce che la sanità non è una priorità, costituisce solo un costo. Specie i DEA/PS.
Per esperienza vissuta l’esternalizzazione non è né comoda né allettante: fu il male necessario e senza alternativa.
Un post forse non deve proporre soluzioni; una comunità di professionisti che esprime società scientifiche si. Una comunità di professionisti con una identità chiara, condivisa, vissuta giorno per giorno nel lavoro quotidiano si. Una comunità di professionisti autorevoli e riconosciuti per competenze si.
Questo è il problema.
Grazie Alessandro
Grazie Maverick. Credo che l’eterna, avvilente instabilità politica italiana impedisca proposte reali e costruttive, perché si è sempre al punto di partenza. Dovremmo davvero iniziare a pensare in modo compatto per farci ascoltare, ma non solo per noi, ma per i pazienti
Se i soldi che si spendono per medico cooperativa – da 70 a 100 euro l’ora – li dessero ai poveri medici di PS in incentivazione avrebbero un servizio migliore con personale più felice !
Sì. E no.
Sulla questione “soldi” ne vorrei parlare nel prossimo post.
È vero quanto dici, e i gettoni sono un aiuto. Ma anche una condanna.
Aiuto, perché in determinati momenti possono essere d’aiuto ed essere davvero importanti per chi li fa. Ma una condanna quando non li vorresti più fare e, per via dei gettoni, l’azienda negli anni non ha assunto perché non aveva percezione di una carenza di personale.
Io sono convinto che, per un meu, non ci sia nulla di più prezioso del proprio tempo libero, perché il lavoro è davvero impegnativo, stressante e stancante.
Quindi, i soldi possono essere davvero importanti, ma la relazione non è lineare.
È di questo ne parliamo nel prossimo post!
Grazie per il commento.