domenica 6 Ottobre 2024

Le feste in pronto soccorso

Per chi lavora in Pronto Soccorso un giorno vale l’altro, non esistendo la settimana classica.

Di conseguenza capita spesso di essere in turno durante le festività maggiori. Ovviamente non prima di aver richiesto le desiderata, rivendicato i sacrifici degli anni passati, litigato con chi si accolla l’infame ruolo di stilare i turni.

Ma a differenza di altri lavori, e diciamo anche di altri reparti, il pronto soccorso è quasi sempre una comunità, una famiglia. Un luogo dell’ospedale aperto 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, dove si lavora fisicamente uno a fianco all’altro. Dove si gestiscono tante situazioni dolorose, bizzarre, faticose. Il luogo principe per condividere soddisfazioni, delusioni, paure di essere condannati. Dove ci si ferma a fare due chiacchiere alle tre di notte su una barella libera.

Questo legame tra il personale si esplica nel consueto darsi tutti del “tu“, spesso dal primario a chi si occupa delle pulizie, senza che questo venga vissuto come una mancanza di professionalità o di rispetto dei reciproci ruoli.

E quindi in fin dei conti anche quando lavoriamo a Natale, Pasqua, Ferragosto o Capodanno non ci sentiamo soli. Anzi il turno spesso si arricchisce di elementi identitari, familiari e goliardici.

Ma ovviamente in pronto soccorso non ci siamo solo noi.

Ci sono i nostri pazienti, che sicuramente non hanno nessun desiderio di passare le feste chiusi dentro un ospedale!

Questo salvo qualche rara eccezione: le persone sole. È noto come durante le feste ci sia un picco di suicidi. Perché tutto il contesto evidenzia la propria solitudine. Quindi il pronto soccorso può diventare un luogo di accoglienza, di ascolto, di cura. Tanto a casa non ci sarebbe nessuno.. Magari auto convicendosi di un malanno per stare ore in sala d’attesa aspettando di essere visitati, pesando “che sfortuna, proprio a Capodanno!”.

Molte regioni d’Italia vivono il noto problema del sovraffollamento, per cui tutti gli spazi possibili si riempiono di pazienti in attesa di ricovero. L’OBI diventa a tutti gli effetti un reparto dove si passano giorni, invece delle ore stabilite dai protocolli.

Questo fenomeno si aggrava ovviamente durante le feste. Quando quasi tutti i reparti e i servizi rallentano, e anche trasferire pazienti in strutture esterne diventa molto più complicato.

Il corpo umano e la società non sono perfette: per cui durante le feste la nostra comunità di pazienti in PS si allarga. Ma in pronto soccorso per definizione c’è spazio per tutti, anche quando fisicamente non ci sarebbe.

Si sentono tante telefonate, molte più del solito. Con la recente abitudine di fare videochiamate o usare il viva voce. Per cui riusciamo a sentire i parenti lamentarsi: “ma sei ancora in pronto soccorso?”, “ma non ti hanno fatto niente?”, “ma ti ha visto il professore?”, “ma c’è qualcuno che lavora a Natale?”.

C’è il paziente cachettico in affanno che deve sorbirsi i saluti di tutta la tavolata.. Tra chi minimizza “andrà tutto bene, dai che ci vediamo presto” e chi concepisce la malattia come una lotta dove chi è debole perisce: “resisti, sei forte come un leone!”.

Molti più parenti vengono a fare visita ai familiari malati, e magari chiudiamo un occhio su orari e protocolli Covid.

C’è la signora di 50 anni con un tumore al pancreas metastatico e un colangite che aiuta le vicine di letto a mangiare, chiedendo quando potrà tornare a casa e a lavoro. Che cede al pianto solo la mattina di Pasqua.. Immaginando possa essere l’ultima. “Dottore io voglio stare in ospedale il meno possibile, so di non avere molto tempo“. E allora la medicina passa in secondo piano: si stravolge un po’ la terapia, d’altronde la farmacocinetica cos’è in confronto all’amore della famiglia?

“Va bene, vada pure a casa, le lasciamo il letto. Torni quando vuole, meglio se entro le dieci così rifacciamo la dose di antibiotico.” Per poi rivederla tornare alle otto molto più in forma di quando era uscita!

La gioia sprigiona invece dal paziente che viene dimesso in tempo per il pranzo in famiglia, salutando il vicino di barella quasi sentendosi in colpa: “Mi dispiace, dai ti chiamo più tardi”.

C’è poi il paziente demente e allettato, che non sa né dove si trova né che giorno sia. Al massimo si ricorda il suo nome. E forse le parole “Natale” e “Pasqua” gli tirano fuori qualche ricordo dalla testa. I parenti lo hanno abbandonato in ospedale per passare le feste tranquilli? Forse no.. dicono che ripasseranno stasera. Vabbè vediamo, poi proviamo a risentirli.

D’altronde siamo abituati a tutto.

Articolo precedente
Articolo successivo
Tommaso Grandi
Tommaso Grandi
Pronto Soccorso e Medicina d'Urgenza Campus Bio-Medico di Roma - Specialista in Medicina d'Emergenza-Urgenza @TommasoGrandi84

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

dal nostro archivio

I più letti