mercoledì 4 Dicembre 2024

Less is more…

E’sera, al cambio delle consegne la voce del collega è lievemente imbarazzata. C’è poi il sig Amilcare che è arrivato per tosse, febbricola e una lieve dispnea; a parte una storia di ipertensione l’anamnesi è muta e la radiografia del torace è negativa;  ha una lieve leucocitosi, poi chinando un po’ il capo aggiunge: “e ha un D Dimero di 8”. In genere “abbondare” con gli esami” non è un bene per il paziente ..e neppure per il medico.

Un tempo quando vigeva la medicina paternalistica non vi era discussione. Nel bene  e nel male le decisioni del medico era implicito fossero quelle giuste, anche se non infrequentemente non era così e il paziente aveva un ruolo di totale subordinazione.
Con la modernizzazione della medicina che è diventata sempre più tecnologica si è arrivati alla falsa convinzione che ogni situazione anche la più critica e persino la morte sia affrontabile e superabile proprio grazie ai mezzi che abbiamo a disposizione. Il rapporto tra medico e paziente è cambiato completamente. Volendo stigmatizzare, vi è spesso sospetto e diffidenza da un lato ( questo medico sarà sufficientemente preparato e disponibile?), insofferenza e paura dell’errore ( avrò fatto tutto il necessario per il bene nel paziente e per non incorrere in problemi medico legali?), dall’altro.
Le strade di medico e paziente sono così diventate parallele dove talora l’unico punto di incontro/scontro  è rappresentato dall’intervento della magistratura.
Così siamo andati avanti pensando che se avessimo fatto il maggior numero di test possibile il paziente ne avrebbe avuto un beneficio, e noi quantomeno non saremmo potuti essere accusati di negligenza. Sappiamo bene che le cose non stanno così. Cosa succede ad esempio se un risultato del test risulta essere un falso positivo? In genere eseguiamo un test di conferma che può ulteriormente confonderci le idee, risultare inutile o non sempre essere proprio innocuo per il paziente. L’esempio del D Dimero credo sia emblematico. Se lo chiediamo in un paziente con una bassa probabilità tromboembolica ci troviamo poi con la difficoltà di gestire una positività inattesa che finisce poi col richiamare una TAC che a priori sappiamo quasi certamente negativa.

Le cose non sempre vanno così, come recentemente enfatizzato da uno studio pubblicato su Journal of thrombosis and HaemostatsisD-dimer threshold increase with pretest probability unlikely for pulmonary embolism to decrease unnecessary computerized tomographic pulmonary angiography. e ottimamente recensito su Emergency Medicine Literature of NoteWhen Positive D-Dimers are Negative

Qualcosa però negli ultimi tempi sta cambiando.
Su Archives of Internal Medicine dal 2010 viene pubblicata una serie dal titolo less is more dove viene sottolineato che spesso fare meno accertamenti diagnostici non solo non è rischioso ma fa  il bene del paziente.

Un aiuto per indirizzarci verso scelte maggiormente consapevoli  ci viene poi da diverse società scientifiche. e le possiamo trovare raggruppate nell’inziativa dell’ABIM chiamata Choosing wisely. Non un dogma ma linee di indirizzo basate sull’evidenza per aiutare medici e pazienti nell’affrontare insieme  le decisioni più appropriate in un determinato contesto clinico.

William Osler diceva: “Medicine is a science of uncertainty and an art of probability”, difficile dargli torto anche ai giorni nostri.

Parole che dovremmo ricordare a noi stessi e ai nostri pazienti.

Non vorrei sembrare retorico ma spendere 5 minuti in più parlando ma soprattutto facendo parlare i nostri pazienti ci consentirebbe di arrivare alla diagnosi prima e meglio di tanti sofisticatissimi test. Se ci pensate, questa è esperienza  comune di tutti i giorni.

Contenimento della spesa e medicina difensiva sono due aspetti del problema “salute” che cozzano uno con l’altro e che vanno affrontati ad ogni livello.

Da parte nostra credo vada profuso l’impegno a cercare di cambiare e vivere più serenamente il nostro lavoro, magari proprio avvalendosi di buone e convincenti letture. Ormai non si può più rimandare.

David Newman figura di spicco della medicina d’emergenza americana, ha scritto alcuni anni fa un libro intitolato Hyppocrates’ Shadow dove questi temi vengono approfonditi..
Un libro che ogni medico credo debba leggere e di cui potete aver un assaggio in questo video

Prima di terminare, come sempre aspettando i vostri pensieri, voglio ringraziare l’amico e collega Ciro Paolillo  medico d’urgenza presso l’ospedale di Udine e autore insieme a Ilenia Spallino del blog a life at risk, che mi ha fatto avvicinare a queste tematiche e suggerito questi approfondimenti.

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Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

5 Commenti

  1. La Storia ci insegna che gli uomini danno il meglio di se nei momenti di difficoltà, se il 2012 sara ricordato per la catastrofe di cui noi tutti sappiamo, sarà anche ricordato per la promulgazione di 2 campagne mediatiche senza precedenti che ci cambieranno il lavoro in meglio: la prima è “choosing wisely” che hai gia citato e la seconda riguarda la pubblicazione delle nuove linee guida sull’uso del sangue.
    Strange days!!!

  2. Questo post è meraviglioso. C’è tutta l’essenza dell’essere medici ed in particolare medici d’urgenza. Spesso ci sentiamo in difetto verso i pazienti, per non aver fatto, per non aver chiesto, soprattutto perchè abbiamo l’impressione di non essere abbastanza: bravi, competenti, preparati, talvolta specie se passiamo il nostro tempo libero a studiare (senza metodo).
    Allora ci rifugiamo in mille esami, consulenze, lasciamo il paziente in osservazione così da lasciare la “patata bollente”-siamo sinceri, i pazienti talvolta li consideriamo così- al collega del turno successivo, prescriviamo mille terapie spesso inutili, al solo scopo di placare, prima di tutto, il demone interiore della nostra presunta o reale inferiorità che genera il timore di controversie legali o semplici fastidiose discussioni con il direttore, la direzione sanitaria, l’URP.
    Nell’era della tecnologia esasperata al punto di illuderci che basta fare esami su esami per trovare la “malattia”-ma allora perchè non sostituire il medico con un buon computer in tempi di spending review?- ci siamo dimenticati che la più sofisticata tecnologia a nostra disposizione per curare i pazienti alloggia tra le nostre orecchie: si chiama cervello. E, dati di letteratura aggiornati alla mano, da solo contribuisce per l’80-90% nel processo diagnostico e terapeutico: come ai tempi, tecnologicamente più grezzi, di sir William Osler…
    Abbiamo dimenticato che il medico “di per se” è già una terapia, poichè con la sua sola presenza sorridente e rassicurante contribuisce a tranquillizzare il paziente, come nostra madre faceva con noi da bambini quando tornavamo piangenti dal cortile con le ginocchia sanguinanti.
    L’essere viene prima del fare. Se non si è non si può fare. Troviamo il coraggio di essere e la coerenza per fare conseguentemente.
    Ciao e grazie Carlo!
    Gianfrancesco

  3. Gian,
    grazie del tuo appassionato commento.
    Credo che su questo tema stiamo iniziando a fare “la diagnosi”, a renderci conto del problema. Adesso dobbiamo trovare la cura, cercando di riportare le cose e il nostro modo di essere medici e pazienti su un terreno più naturale, più normale. Non sarà un cosa facile ma ci dobbiamo provare.

  4. Sono contento di star facendo da molto tempo la cosa che tutti voi condividete…non meno esami per risparmiare ma “il meno possibile ma tutto il necessario”.
    – Dolore toracoaddominale (pregresso) atipico per SCA in paziente a basso rischio?: eco in DEA > colelitiasi > domicilio. Nessun esame.
    – Reazioni allergiche?: terapia, nessun esame in DEA > domicilio
    – crisi ipertensiva (senza angor)?: terapia, nessun esame > domicilio
    – Febbre in faringite? Perché fare ECG e rx torace? Emocromo/PCR > domicilio…

    🙂

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