Il trauma rappresenta una delle principali cause di mortalità e morbilità a livello mondiale, in particolare per la popolazione giovane. Si stimano circa 1.2 milioni di decessi l’anno e molto superiori sono i pazienti ospedalizzati (circa 24 milioni) e che necessitano di cure mediche extra-ospedaliere (circa 84 milioni), con un forte impatto in termini di risorse per i sistemi sanitari [1-2].
Si intende per politrauma un evento traumatico che determina lesioni contemporanee di due o più organi o apparati. La sindrome da politrauma si realizza in un paziente che presenta due o più lesioni traumatiche gravi, viscerali e/o periferiche, che possono determinare compromissione delle funzioni vitali cardiorespiratorie, oppure in un paziente con una lesione unica che determina comunque pericolo di vita. Come convenzione internazionale si definisce politrauma un paziente con Injury Severity Score (ISS) superiore a 15. Tale score consiste in un sistema di valutazione che attribuisce un numero in base alla gravità e alla sede delle diverse lesioni causate dal trauma; ad oggi è l’unico score che ha dimostrato una correlazione con morbilità, mortalità e permanenza in ospedale [3-4].
Il trauma grave è un processo sistemico: non interessa, cioè, soltanto il distretto o l’organo direttamente colpito, ma, attraverso l’attivazione di mediatori e networks citochinici, va a configurare un classico quadro di Sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS), con sintomi e segni a interessamento multiorganico. Oltre alle manifestazioni cliniche, che sono particolarmente variabili, anche i dati laboratoristici di una risposta infiammatoria sistemica risultano presenti nei pazienti con trauma grave: si riscontrano nel sangue aumentati livelli circolanti di Interleuchina 6 (IL-6), fosfolipasi extracellulare A2, Proteina C Reattiva (PCR) e Procalcitonina (PCT). Questi biomarcatori hanno dimostrato, come noto, una limitata specificità nell’identificare processi infettivi all’interno di un quadro infiammatorio sistemico, da qui l’interesse della ricerca in marcatori sempre più accurati, precisi e a basso costo.
L’interessamento sistemico che si verifica nel corso di trauma grave può essere causa e al momento stesso conseguenza di perdite ematiche più o meno importanti. L’emorragia è oggigiorno la più importante causa di morte nelle vittime di trauma grave, attraverso due principali meccanismi: emorragia fatale da lesione vascolare con conseguente shock emorragico (che impone trattamento chirurgico o interventistico per il controllo definitivo dell’emorragia) o sanguinamento secondario a coagulopatia (diffusa emorragia microvascolare non localizzata alla sede del trauma); quest’ultima rappresenta un’entità patologica a sé stante e prende il nome di Trauma Induced Coagulopathy (TIC) o Acute Trauma Coagulopathy (ATC). Circa il 25-35% dei traumi sviluppa coagulopatia clinicamente rilevabile e dimostrabile agli esami ematochimici ancor prima dell’arrivo in ospedale, e tali pazienti hanno un rischio di morte entro 24 ore fino a otto volte superiore rispetto ai pazienti senza segni di coagulopatia. I meccanismi alla base di tale processo non sono ad oggi del tutto chiariti, ma negli ultimi anni si è assistito a importanti sviluppi nella comprensione di questo fenomeno e i concetti sono tuttora in rapida evoluzione [5-6].
MECCANISMI FISIOPATOLOGICI
Classicamente la coagulopatia associata al trauma è stata attribuita a disfunzioni o consumo delle proteasi coagulative secondari a emodiluizione (dovuta al rimpiazzo volemico), ipotermia e acidosi (la cosiddetta “triade fatale”). In realtà nessuno di questi meccanismi pare direttamente responsabile del fenomeno, piuttosto il primum movens del processo sarebbe la condizione di shock e ipoperfusione sistemica [7].
Per quanto concerne la emodiluizione, studi recenti dimostrano assenza di correlazione significativa tra la somministrazione di fluidi pre-ospedaliera e l’insorgenza di coagulopatia, ma la correlazione diviene invece significativa per volumi di infusione superiori ai 2200 ml; tuttavia, anche pazienti sottoposti a infusioni estremamente scarse dimostrano insorgenza del fenomeno, cui vanno imputati meccanismi diversi [8-10]. L’effetto dell’ipotermia sulle proteasi coagulative è minimo per temperature superiori ai 33°C e solo una ridotta percentuale di pazienti traumatizzati si presenta con ipotermia moderata o grave, anche se in casi come questi un certo livello di correlazione con l’insorgenza di coagulopatia è stato osservato [11-14]. L’acidosi, la cui ragione principale è da ascriversi proprio alla ipoperfusione sistemica, determina dal canto suo un effetto sulla funzione coagulativa dose-dipendente, che diviene significativo per valori di pH inferiori a 7.2, ma che non mostra segni di sé sui tempi di coagulazione eseguiti comunemente in Pronto Soccorso; la correzione del disturbo e la normalizzazione del pH non comportano peraltro reversione della coagulopatia, le cui cause vanno pertanto ricercate in meccanismi più complessi [16-19].
Associare la TIC a una coagulopatia da consumo appare altrettanto riduttivo: non esiste ad oggi alcuna evidenza che il consumo di fattori della coagulazione rappresenti un meccanismo rilevante per la genesi di coagulopatia in pazienti traumatizzati, tantomeno è stata dimostrata l’evidenza chiara di Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID). In pazienti senza segni clinici di shock, infatti, non si assiste a un prolungamento significativo dei tempi di coagulazione, indipendentemente dalla quantità di trombina generata; raramente peraltro il fibrinogeno è ridotto, come tipico della CID; alcuni Autori suggerirebbero, però, che una coagulopatia CID-simile si verificherebbe nei casi di trauma cranico grave, ma anche di questo mancano evidenze [18-22].
Lo shock e la ipoperfusione tissutale sono, invece, fattori di rischio indipendenti per la genesi di TIC e marcatori prognostici estremamente negativi per i pazienti politraumatizzati. Inoltre pazienti senza segni di ipoperfusione e deficit di basi nella norma non mostrano allungamento nel tempo di protrombina e tromboplastina parziale attivata, indicando che queste condizioni rappresentano importanti moventi patogenetici nella genesi di coagulopatia; mentre fibrinogeno e piastrine, risultati in limiti di norma nella maggior parte degli studi, avrebbero un ruolo secondario anche se ad oggi non del tutto chiarito [23-26]. Invece che essere una disfunzione delle proteasi coagulative, pertanto, la TIC sembrerebbe essere dovuta ad alterazioni del sistema pro-coagulante, consensuali ad attivazione sistemica di processi anticoagulanti e della fibrinolisi: questi meccanismi sarebbero innescati dalle condizioni di shock e ipoperfusione sistemica e mediati dalla attivazione del pathway che vede implicate Proteina C e Trombomodulina [27].
Esiste ad oggi un significativo corpo di evidenza che nella TIC si inneschino meccanismi di anticoagulazione sistemica, secondari in particolare ad attivazione della Proteina C. In presenza di ipoperfusione sistemica le cellule endoteliali espongono in superficie molecole di Trombomodulina, che, in seguito alla formazione di un complesso con la Trombina, attiva la Proteina C, la quale ha attività inibitoria su fattore V e fattore VIII; una minore quantità di trombina è, inoltre, disponibile per scindere il fibrinogeno in fibrina, con conseguente ridotta stabilità del coagulo (Figura 1).
Figura 1. Meccanismi di anticoagulazione sistemica. Modificato da Brohi et al. Curr Opin Crit Care 2007, 13: 680-685 (TM: trombomodulina; PC: proteina C; aPC: proteina C attivata).
Questi fenomeni, osservati in vitro, sarebbero uno dei meccanismi implicati nella genesi della TIC; i tessuti sottoposti a basse pressioni di perfusione sviluppano fisiologicamente un milieu anticoagulante (attraverso la attivazione della Proteina C e della sua cascata) per evitare fenomeni trombotici a livello del letto vascolare, ma i pazienti vittime di trauma grave e con condizioni di shock vanno incontro ad una magnificazione del fenomeno che diviene quindi patologico e causa di una importante diatesi emorragica. La reale magnitudine in vivo del meccanismo di attivazione di questa via è ancora da chiarire, anche se sembra influenzato in maniera incrementale da parte della gravità del trauma e della conseguente ipoperfusione sistemica.
La fibrinolisi è, inoltre, una importante componente della TIC e i pazienti politraumatizzati gravi vanno incontro a un processo di iperfibrinolisi(Figura 2); numerosi studi dimostrano, infatti, incremento dei valori di frammenti di degradazione della fibrina (D-Dimero) in seguito al trauma [28]. In seguito a lesioni dirette e ischemia, le cellule endoteliali rilasciano attivatore tissutale del Plasminogeno (tPA) cui consegue la formazione di plasmina e la rottura dei ponti di fibrina sul coagulo: il fenomeno sarebbe di per sé un meccanismo di controllo fisiologico, mirato a evitare la propagazione del trombo all’interno del letto vascolare, ma la concomitante iper-attivazione della proteina C, associata allo stato di ipoperfusione sistemica, comporta una inibizione dell’inibitore 1 dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1) e, quindi, una slatentizzazione del fenomeno della fibrinolisi, che diviene sistemica e patologica [29].
Figura 2. Meccanismi di iper-fibrinolisi. Modificato da Brohi et al. Curr Opin Crit Care 2007, 13: 680-685 (TM: trombomodulina; PC: proteina C; aPC: proteina C attivata; FDPs: prodotti di degradazione della fibrina; tPA: attivatore tissutale del plasminogeno; PAI-1: inibitore dell’attivatore tissutale del plasminogeno).
Studi con metodiche di tromboelastometria hanno messo in luce come l’incidenza di una iperfibrinolisi conclamata in pazienti con trauma grave (ISS>15) sia intorno al 6,8% e come una parte di questi pazienti presenti un quadro di iperfibrinolisi fulminante, in cui si osserva una lisi completa del coagulo entro 60 minuti: costoro presentano una mortalità e un fabbisogno trasfusionale decisamente superiore [30] e queste osservazioni hanno posto le basi per un approccio terapeutico basato sull’utilizzo di inibitori della fibrinolisi, come trattato più avanti in questo capitolo.
La TIC sarebbe, pertanto, iniziata da uno stato di ipoperfusione e mediata da fenomeni di anticoagulazione sistemica e iperfibrinolisi, ma altri meccanismi (alcuni dei quali ad oggi poco conosciuti) sono certamente implicati.
La conta piastrinica è moderatamente ridotta dal trauma ed è stata osservata una associazione tra piastrinopenia e peggioramento della prognosi; tuttavia non si osservano solitamente riduzioni tali da contribuire in maniera significativa a un quadro di coagulopatia [31-33]. Si può, pertanto, ipotizzare che la disfunzione piastrinica sia primariamente funzionale e alcune utili, anche se non definitive, indicazioni in tal senso derivano da studi di aggregometria in pazienti vittime di trauma grave, in cui la aggregazione piastrinica risultava lievemente inibita [34-35].
Anche l’endotelio, come detto, gioca un ruolo importante nella genesi di TIC, per mezzo dell’esposizione della trombomodulina (che attiva, in associazione con la trombina, la proteina C coagulativa) e la produzione di t-PA che media, come visto, la fibrinolisi. Altri meccanismi sarebbero, tuttavia, implicati, come il rilascio di fattore di von Willebrand (vWF), la degradazione del glicocalice endoteliale, che sarebbe alla base di una sorta di processo di “auto-eparinizzazione” e l’attivazione di altre vie (come quella del sCD40L, o la liberazione di mediatori neuro-ormonali) potenzialmente implicate nel rapporto tra danno endoteliale e coagulopatia [36-40].
Il danno traumatico induce infine l’esposizione del sub-endotelio e la conseguente interazione tra fattore VII e fattore tissutale endoteliale (TF), anche se, come già descritto, il danno tissutale non è di per se stesso in grado di determinare un quadro di coagulopatia, se non si associa una condizione di ipoperfusione sistemica. Lo shock emorragico, d’altra parte, attiva una risposta infiammatoria sistemica e una conseguente esposizione di TF su diverse superfici vascolari; potrebbe essere questo un meccanismo che coopera alla genesi di una coagulopatia sistemica, con attivazione delocalizzata a distanza dalla sede di trauma e forte influenza della ipoperfusione, con analogie, ma anche sostanziali differenze rispetto alla CID [41-42].
Figura 3. Patogenesi della TIC. Modificato da Spahn D et al. Crit Care 2013, 17: R76
In sintesi, come riportato in figura 3, a differenza di una semplice coagulopatia da consumo, la TIC è una alterazione dell’emostasi che si sviluppa rapidamente in seguito a danno tissutale e shock emorragico/ipoperfusione sistemica, caratterizzata da inibizione del fattore V, disfibrinogenemia, anticoagulazione sistemica, alterata funzionalità piastrinica e iperfibrinolisi. Acidosi, ipotermia e terapia infusiva con fluidi ipocoagulanti contribuiscono collettivamente a stabilirne la genesi e la portata.
Approccio diagnostico e terapeutico seguiranno nel prossimo post
To be continued…
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Complimenti molto intressante! Sono ansiosa di leggere l’approccio terapeutico!
Stay tuned…arriverà! 😉