Nel corso delle nostre più o meno lunghe carriere di eroi e sanitari (medici, infermieri o OSS) ci sarà più volte capitato di assistere a degli avvenimenti più o meno gravi che hanno messo in discussione noi, il nostro modo di operare e tutto il sistema. Abbiamo assistito certamente più di una volta ad eventi drammatici o clamorosi lisci salvati all’ultimo minuto per puro caso, fortuna o intervento divino. In queste occasioni siamo molto probabilmente stati testimoni di quello che viene definito un EVENTO SENTINELLA. Se non ci ricordiamo di questi episodi è molto probabile che stiamo mentendo a noi stessi o che andiamo girando per i reparti con le fette di prosciutto davanti agli occhi.
Come si definiscono gli eventi sentinella?
Sono definiti “eventi sentinella” tutti quegli eventi avversi di particolare gravità, che causano morte o gravi danni al paziente e/o che determinano una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del Servizio Sanitario.
Sono stati identificati ben 16 eventi sentinella dal Ministero della Salute, con il XVI (Ogni altro evento avverso che causa morte o grave danno al paziente), inserito a chiosa, per identificare tutto quello che potrebbe essere sfuggito da questo accurato elenco.
Perché Violenza sul Paziente?
L’evento sentinella n°11 può essere definito come qualsiasi tipo di violenza (commissiva od omissiva) compiuta su un paziente da chiunque (operatore sanitario, lavoratore non sanitario, degente) all’interno di strutture sanitarie responsabile di un danno più o meno importante. Alla condizione di danno, si può associare anche una condizione di mancato danno che identifica i cosiddetti “quasi eventi” o “near miss”.
Il razionale della presenza all’interno del noto elenco ministeriale (www.salute.gov.it) di tale evento è legato alla possibilità di evidenziare possibili carenze organizzative, quali la mancanza o l’inadeguata implementazione di specifiche procedure e/o insufficiente comunicazione tra operatori, tra operatori e pazienti/familiari potendo indicare una insufficiente consapevolezza da parte dell’organizzazione del possibile pericolo di aggressione all’interno delle strutture sanitarie. L’evento può essere dovuto a scarsa vigilanza, possibile stress e burn-out del personale, nonché carenza di informazione e formazione che possono a loro volta sfociare nella tolleranza e nell’omessa segnalazione.
Mantenendo saldo il concetto che le situazioni di violenza rappresentano dei veri e propri reati, possono essere identificate delle condizioni in cui non vi sia vero e proprio dolo (legato alla volontà di danneggiare il paziente), in cui il sanitario presenta solo delle responsabilità di tipo colposo (involontarietà – leggerezza) o in cui vi sia semplice errata interpretazione di un atto medico (ad esempio esplorazione digito-ano-rettale o visita-ecografia in regioni considerate particolarmente sensibili).
Ci sono delle condizioni particolari in cui si può parlare di Violenza su Paziente?
Condizioni in cui possiamo ritrovare queste criticità sono rappresentate da:
- Contenimento farmacologico e fisico.
- Molestie sessuali
- Violenza verbale – violenza psicologica
CONTENIMENTO FARMACOLOGICO E FISICO
La contenzione fisica è una pratica principalmente utilizzata in ambito psichiatrico e geriatrico per evitare danno secondario a caduta in soggetti con alterazioni dello stato di coscienza e/o alterazioni della motilità atti di violenza (diretta verso la propria persona o il prossimo). La contenzione fisica può avvenire tramite apposite tecniche di immobilizzazione o applicando al corpo della persona e/o nello spazio circostante dei dispositivi fisici e meccanici (corpetti con bretelle, cinture, bracciali per polsi e caviglie, cinture di sicurezza o spondine per il letto) atti a limitare, inibire o bloccare i possibili movimenti.
Una recente sentenza della corte di Cassazione (cosiddetta Sentenza Mastrogiovanni – V Sezione della Corte di Cassazione,20 giugno 2018, sentenza n. 50497 ) ha interpretato una contenzione fisica ingiustificata durata circa 87 ore ed esitata nel decesso nel paziente come sequestro di persona (Art. 605 del Codice penale). Per la mancata annotazione in cartella di questo atto medico è stato inoltre contestato ai sanitari anche il reato di “falso ideologico”.
Nella sentenza i giudici hanno spiegato che l’utilizzo della contenzione fisica non vada considerata una vera e propria pratica medica rappresentando un presidio volto a inibire “…la libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce materialmente l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente, anzi, secondo la letteratura scientifica, può concretamente provocare, se non utilizzato con le dovute cautele, lesioni anche gravi all’organismo…”.
La gravità delle lesioni causate da una contenzione non correttamente monitorata possono oscillare da lievi (abrasioni cutanee), a moderate (lacerazioni) fino a gravi (fratture, lussazioni e strangolamento).
La sentenza di Cassazione asserisce che l’atto medico è garantito da tutela costituzionale “…non perché semplicemente frutto della decisione di un medico, ma in quanto caratterizzato da una finalità terapeutica, cui va assimilato quello avente natura diagnostica, parimenti finalizzato alla cura ed alla guarigione del paziente, nonché quello destinato ad alleviare le sofferenze del malato terminale, in quanto comunque diretto a migliorarne le condizioni complessive”.
La contenzione fisica proprio per questo motivo trova modo di esistere solo se finalizzata alla tutela della diritto di salute del paziente evitando danno da caduta, autolesionismo (rimozione di cateteri, tubi di drenaggio, maschera oro-facciale per ventilazione non invasiva potrebbero esserne chiari esempi) o atti di violenza nei confronti di se stesso e degli altri. Al di fuori di un ristretto campo di applicazione la contenzione risulta assolutamente illecita, rappresentando una vera e propria forma di violenza.
Come già precedentemente enunciato la contenzione non è un vero e proprio atto terapeutico ed ha solo ruolo cautelare estremamente limitato nel tempo. L’utilizzo della contenzione in ambito sanitario si scontra con alcuni articoli legislativi e del codice deontologico di medici ed infermieri. Se ne riportano alcuni.
Articolo n° 13 della Costituzione Italiana: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Articolo n° 32 della Costituzione Italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Articolo n° 30 del Codice Deontologico dell’Infermiere: “L’infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali”.
Articolo n° 13 del Codice di Deontologia Medica: “La prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull’uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza”.
Alla luce di questi articoli risulta chiaro come si possa ricorrere alla contenzione solo in casi in cui non vi sia possibilità di salvaguardare la salute del paziente in altro modo e quindi in quei casi in cui si agisca per “stato di necessità”.
Tale approccio è garantito dall’Articolo n° 54 del Codice Penale riguardante lo Stato di Necessità.
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Proprio per queste motivazioni è inoltre importante che nell’utilizzo della contenzione si mantenga il requisito della “proporzionalità” caratterizzato da:
- Blocco progressivo della libertà del paziente
- Blocco temporalmente limitato della libertà del paziente (minimo tempo indispensabile).
Vi sono pertanto delle valutazioni che potrebbero essere definite necessarie e propedeutiche all’utilizzo della contezione in ambito sanitario:
- Valutazione infermieristica e medica iniziale del paziente
- Prescrizione medica
- Annotazione in cartella clinica delle condizioni cliniche che richiedono la contenzione iniziale e, ad intervalli regolari, l’eventuale continuazione
- Scopo della contenzione e possibilmente una stima della durata della stessa
- Valutazione di alternative meno restrittive
- Monitoraggio clinico del paziente alla stregua di un paziente critico
- Monitoraggio della risposta all’intervento utilizzato
- Monitoraggio e descrizione in cartella di qualsiasi cambiamento significativo nelle condizioni del paziente
Fermo restando che il sanitario che ha in carico il paziente è il garante dello stato di salute del paziente e che la contenzione farmacologica o fisica ha scopo (“teorico”) di garantire il diritto di salute, citando la suddetta sentenza di Cassazione, “… occorre che il pericolo di un grave danno sia attuale ed imminente, o, comunque, idoneo a far sorgere nell’autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in siffatto stato, non essendo all’uopo sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto. Si deve trattare di un pericolo non altrimenti evitabile sulla base di fatti oggettivamente riscontrati e non accertati solo in via presuntiva. Questo vuoi dire che non è assolutamente ammissibile l’applicazione della contenzione in via “precauzionale” sulla base della astratta possibilità o anche mera probabilità di un danno grave alla persona, occorrendo che l’attualità del pregiudizio risulti in concreto dal riscontro di elementi obiettivi che il sanitario deve avere cura di indicare in modo puntuale e dettagliato”.
La valutazione medica, il ragionamento clinico, il rischio imminente cui può andare incontro il paziente ed il programma andranno accuratamente riportati in cartella.
MOLESTIE SESSUALI SU PAZIENTE
Definizione di molestia sessuale. La molestia sessuale può essere definita come qualsiasi attività inerente la sfera sessuale che alteri fastidiosamente o dolorosamente il normale equilibrio psico-fisico di una persona tramite. Tale definizione viene ripresa da alcune sentenze di Cassazione (ad esempio Cassazione, sez. I, Sentenza 24 marzo 2005, n. 19718) che definiscono la molestia come tutto ciò che altera dolosamente, fastidiosamente e importunamente lo stato psichico di una persona, con azione durevole o momentanea.
La molestia sessuale viola quindi la dignità della persona, creando una situazione degradante o umiliante, ed a volte intimidatoria ed ostile. L’azione negativa effettuata prende forma di molestia solo dopo essere stata percepita ed elaborata negativamente dalla vittima. Vi è quindi una spiccata soggettività nella percezione della molestia stessa. La molestia sessuale può essere infine catalogata come atto discriminatorio.
Risulta chiaro a questo punto che non vi è un limite netto tra ciò che può essere considerato molestia sessuale e ciò che può essere tollerato, in quanto particolari azioni vengono filtrate attraverso le caratteristiche personali della vittima (età, condizioni psicologiche, condizioni patologiche, etnia, religione).
È necessario infine sottolineare infine che alcuni atteggiamenti devono essere considerati oggettivamente inaccettabili ed intollerabili: per questa tipologia di eventi l’atteggiamento di tolleranza deve essere nullo.
È evidente però che, nel tentativo di creare una cultura di “non biasimo” dell’errore (“no blame culture”), comportamenti involontariamente offensivi ed involontariamente sbagliati, catalogabili come incomprensioni, possano e debbano essere rapidamente risolti senza attivazione di complessi percorsi di correzione.
Condizioni comuni che possono essere considerate come molestia sessuale sono:
- Apprezzamenti indesiderati, verbali o non verbali
- Commenti inappropriati con riferimenti alla sessualità della persona
- Domande invadenti su relazioni personali
- Espressioni denigratorie sulla diversità di espressione della sessualità
- Contatti fisici fastidiosi e indesiderati
Alla luce di ciò è importante sottolineare come la corretta interpretazione di procedure mediche da parte dei pazienti non può considerarsi una regola assoluta o la norma e l’erronea percezione è una condizione di rischio da tenere sempre in considerazione. Inoltre lo stato d’animo del paziente, legato alla condizione di acuzia che lo ha spinto a recarsi in Area di Emergenza, può non permettere una situazione di corretta recettività per ironia, sarcasmo (battute, scherzi) ed apprezzamenti (che andrebbero accuratamente ponderati).
A tale scopo si suggeriscono alcuni accorgimenti da adottare durante l’approccio al paziente:
- presentarsi al paziente con nome e qualifica
- visitare i pazienti (in particolare soggetti giovani) in presenza di un altro sanitario (preferibilmente di sesso analogo a quello del paziente)
- evitare se non prettamente necessario di spogliare il paziente e laddove necessario limitarsi alla parte da visitare (esempio, evitare di far togliere ad una giovane donna maglietta e reggiseno per auscultare le spalle)
- evitare di spogliare più volte i pazienti
- evitare apprezzamenti indesiderati, verbali o non verbali
- evitare commenti inappropriati con riferimenti alla sessualità della persona
- in previsione di esame obiettivo genitale o di esplorazione digito-ano-rettale comunicarne al paziente la necessità e gli obiettivi chiedendone il nulla osta per l’esecuzione (anche semplicemente verbale)
- valutare la possibilità di demandare la procedura a sanitario dello stesso sesso o a specialista (urologo – ginecologo)
Oggi in Italia la molestia sessuale si configura nel quadro della contravvenzione di “molestie” punita dall’art. 660 c.p..
Va tuttavia specificato che la sopracitata contravvenzione è stata ritenuta configurabile solo in presenza di espressioni verbali a sfondo sessuale o di atti di corteggiamento, invasivi ed insistenti, che trascendono dall’abuso sessuale. Condizioni in cui vi sia un chiaro contatto fisico, sebbene breve e fugace, configurano invece il reato di violenza sessuale, che risulta disciplinato dagli art.609 bis e seguenti del codice penale italiano.
Condizioni di vera e propria molestia sessuale o abuso sessuale se comunicate, trascenderanno la competenza del Rischio Clinico e saranno direttamente trasmesse per competenza alla Direzione Sanitaria ed alle Autorità Giudiziarie.
Con la presa di coscienza da parte della società di una sessualità di tipo non binario la molestia sessuale non va intesa solamente nei confronti delle donne ma in senso più esteso come molestia di genere.
VIOLENZA VERBALE- VIOLENZA PSICOLOGICA
Con il termine violenza verbale si intende una vera e propria aggressione alla persona basata prevalentemente sul linguaggio e resposanbile (nella maggior parte dei casi volontariamente) di umiliazione, denigrazione ed in senso più ampio di offesa della vittima. Ciò può avvenire in maniera diretta (veri e propri insulti, urla, parole scurrili) o indiretta (svalutazione del valore personale, biasimo).
La violenza psicologica è composta da una serie di atti comunicativi, di natura non solo verbale ma anche comportamentale, che mirano a sgretolare il senso di sé di una persona, attraverso il dubbio, il rifiuto, la critica spietata, la mancata accettazione del prossimo denigrando pensieri, opinioni e desideri in quanto non considerabili appropriati e di alcun alcun valore.
Condizioni potenzialmente associate con violenza verbale e/o psicologica sono:
- Fenomeni di razzismo
- Body shaming
- Espressioni di giudizio su scelte cliniche e di vita del paziente
Fenomeni di razzismo – Fenomeni di discriminazione
Il termine razzismo nella sua definizione più semplice si riferisce ad un’idea, preconcetta e scientificamente errata di diseguaglianza tra le varie popolazioni volta nella maggior parte dei casi a discriminare i ‘diversi’ (nazioni, culture, classi sociali inferiori) giustificandone l’oppressione.
In senso lato identifica ogni atteggiamento attivo o passivo di intolleranza (inteso come minacce, discriminazione, violenza, omissioni) verso gruppi di persone chiaramente e facilmente identificabili attraverso la loro cultura, religione, etnia, sesso, aspetto o abitudini (potus alcolico, utilizzo cronico di stupefacenti, abutudini sessuali).
Differenze nella qualità dell’assistenza e delle cure legati a motivazioni non cliniche (ceto sociale, etnia, sessualità, etc…) devono essere catalogate come atti discriminatori e possibili fenomeni di razzismo.
Bodyshaming
È un termine traducibile come “derisione del corpo” ovvero l’atto di deridere o discriminare una persona per il proprio aspetto fisico. Qualsiasi caratteristica fisica può essere presa di mira: obesità, magrezza patologica, statura, assenza di cura del proprio aspetto, peluria, dimensioni di seno-pene, presenza di tatuaggi, etc.
Anche condizioni patologiche come le micosi, l’acne e/o la psoriasi possono essere fulcro di una condizione di body shaming.
Classici esempi di body shaming sono rappresentati da:
- Fat shaming: umiliare le persone ritenute sovrappeso. Dato il comune pensiero secondo il quale l’obesità possa essere considerata una scelta di vita, un qualcosa di cui il paziente ne sia responsabile, risulta essere una condizione di violenza molto comune tanto che ogni aggressione sembra essere legittima.
- Thin/skinny shaming: colpevolizzare le persone troppo magre. Non risultano coinvolte solo le donne ma anche uomini che possono essere additati come deboli o poco virili.
- Hair shaming: umiliare le persone per il taglio dei capelli o la peluria.
- Dick shaming: umiliare gli uomini per le dimensione del loro pene, soprattutto se più piccolo rispetto alla dimensione considerata normalità.
- Slut shaming: umiliare una donna particolarmente attiva sessualmente.
Espressioni di giudizio su scelte cliniche e di vita del paziente
Critiche dure e spietate da parte del personale sanitario nei confronti di scelte cliniche e di vita del paziente possono rappresentare dei fenomeni di violenza verbale e psicologica che possono turbare anche profondamente lo stato d’animo del soggetto.
Esempi particolari possono essere l’obesità, l’attitudine al fumo di sigaretta e la mancata vaccinazione (in particolare anti-SARS CoV2): condizioni in cui con estrema leggerezza il paziente viene pubblicamente ritenuto resposanbile delle proprie condizioni di salute ed umiliato.
In particolare, nelle suddette condizioni, il bisogno di salute del paziente viene ritenuto inopportuno e le richieste di aiuto inappropriate.
Un’altra condizione molto delicata e comune in cui si può verificare tale fenomeno è l’interruzione volontaria di gravidanza (richiesta di contraccezione di urgenza o complicanze post-procedurali che motivano accesso in Area di Emergenza), in cui la donna può non essere accolta con atteggiamenti corretti e con i dovuti modi. Tale approccio può ulteriormente peggiorare le condizioni psicologiche della paziente che non ha certamente affrontato tale percorso con leggerezza e della quale non se ne conosce assolutamente il vissuto.
Tutti questi atteggiamenti appena descritti, che tendono a colpevolizzare il paziente (anche per la quantità di lavoro in eccesso svolto), possono essere espressione di aumentato livello di burnout del personale sanitario e devono, pertanto, essere fermamente contrastati.
- John D Banja. Preventing sexual attacks in healthcare facilities: risk management considerations. J Healthc Risk Manag. 2014;33(3):5-12. doi: 10.1002/jhrm.21130.
- Articolo 660 Codice Penale (R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)
- AA.SS. 655, 1597 e 1628 – Disposizioni per il contrasto delle molestie sessuali, con particolare riferimento all’ambiente di lavoro. Nota breve. Servizio studi del Senato. N. 268 – aprile 2021
- Riconoscere per prevenire i fenomeni di molestia e violenza sul luogo di lavoro. Documento ufficiale INAIL. Redatto dalla Commissione Cug Prevenzione e contrasto alle discriminazioni di genere. Anno 2021.
- L. Luca e F. Cavalli-Sforza, “Razza o pregiudizio? Evoluzione dell’uomo tra natura e storia”, Einaudi scuola, Milano 1996.
- Michael Yudell, Dorothy Roberts e Rob DeSalle, Taking race out of human genetics, in Science, vol. 351, n. 6273, 5 febbraio 2016, pp. 564–565, DOI:10.1126/science.aac4951.