Scott Weingart è, senza dubbio, un’autorità nel campo della medicina d’urgenza ma , per quanto mi riguarda, ha sopratutto il merito di avere ideato e di essere l’editor di EMcrit, i cui posts sono vere e proprie lezioni di medicina seguite da migliaia di persone in tutto il mondo Cosi dopo aver ascoltato con grande interesse gli aggiornamenti sul trauma da parte di Richard Dutton, questa settimana è la volta di Emanuel Rivers , il padre del moderno approccio ai pazienti affetti da sepsi severa e shock settico
Sono previsti 3 posts; questo è il primo video che vi consiglio ovviamente di vedere.
Farò, comunque, una sintesi dei punti salienti .
Il presupposto di questa lezione magistrale è quello di rispondere ai punti più controversi nella gestione della sepsi e dello shock settico nel dipartimento di emergenza
L’EGDT prevede la somministrazione di antibiotici entro 1 ora dall’arrivo in ospedale e di completare il tratamento , inclusa la trasfusione di emazie e la ventilazione meccanica precoce entro 6 ore, ma ci sono dati che consiglino un inizio ancora più precoce della terapia antibiotica, ovvero in sede pre-ospedaliera?
Lo studio di Kumar pubblicato su Critical Care Medicine nel 2006 aveva documentato, su un campione di oltre 2000 pazienti, che ogni ora di ritardo nell’inizo della terapia antibiotica in pazienti con ipotensione determinava un aumento della mortalità dell’8% ,quindi un ritardo di 6 ore comporterebbe un aumento di quasi il 50% nella mortalità.
L’uso pre-ospedaliero degli antibiotici nella sepsi, sebbene abbia quindi un suo razionale, al momento non è ancora supporatato da studi clinici randomizzati.
Non solo è importante iniziare precocemente la terapia antibiotica ma anche , ovviamente, usare antibiotici appropriati come evidenziato dallo stesso Kumar su Chest nel 2009 , il quale evidenziò che il 20% dei pazienti non riceveva l’antibiotico “giusto” e che in questi casi la sopravvivenza si riduceva di 5 volte
In un altro lavoro pubblicato da Gaieski su Critical Care Medicine nel 2010 ,i pazienti che seguivano EGDT protocol e ricevevano l’antibiotico entro 3 ore dalla valutzione in triage erano quelli con i migliori risultati in termini di sopravvivenza
Sin dallo studio di Jansen pubblicato su Critical care nel 2008 venne data molta importanza al dosaggio dei lattati nei pazienti con shock settico. In questo studio infatti venivano dosati i lattati in sede preospedalera ed un loro aumento > 3,5 mmol/l correlava direttamente con la mortalità.. Un paziente ipoteso con lattati maggiori di 3,5 aveva una mortalità del 100%.
L’importanza dei lattati e soprattutto della determinazione seriata di questi entro 4 ore , la cosidetta clearance dei lattati, è stato enfatizzato dallo studio di Nguyen ,dove pazienti con un alta clearance di lattatti entro 6 ore di trattamento in DEA avevano la migliore sopravvivenza. Questo significava, in linea teorica, poter passare da una misurazione invasiva , la ScvO2, che ovviamente richiedeva il posizionamento di un accesso venoso centrale, ad una non invasiva con indubbi vantaggi sopratutto nei pazienti più fragili come gli anziani.
Nel 2010 così veniva pubblicato su JAMA un lavoro che documentava la non inferiorità della clearance dei lattati rispetto al miglioramento della ScvO2 come obiettivi del trattamento precoce della sepsi severa . A questo riguardo Rivers obietta che i pazienti selezionati nello studio erano mediamente meno critici di quelli considerati nel suo studio sul NEJM del 2001
Rivers sottolinea inoltre che non tutti i pazienti con sepsi severa hanno una lattacidemia aumentata come evidenziato già nel 2003 da Levraut su Critical Care Medicine e successivamente confermato da altri studi nei quali sino al 24% dei pazienti gravemente settici aveva una lattatemia normale, inroducendo il concetto di alactemic sepsis
La sepsi infine andrebbe intesa come una sindrome in cui possono essere riconosciute diverse tipologie di pazienti ognuno con specifiche caratteristiche ed al tempo stesso stadi progressivamente più gravi di malattia: partendo dal paziente ipovolemico a quello compensato e vasodilatato, a quello con danno della funzione miocardica ed infine a quello in cui è compromessa l’utilizzazione di ossigeno.
Weingart conclude questa prima parte sostenendo di fatto la non antiteticità dei due protocolli proponendo quello non invasivo come step iniziale e quello invasivo come passaggio obbligato quando il paziente non migliora e richiede un monitoraggio più attento.
Ne sapremo di più nel prossimo post su EMCrit che ha appunto come tema il monitoraggio.
Sicuro che non manchino spunti di discussione da parte dei cultori della materia e non.
Giusto per dare uno spunto…quali antibiotici inserite in terapia, voi? 🙂
Inoltre…che enfasi date alla diagnostica microbiologica?
PG,
credo che ognuno di noi , pur seguendo le linee guida, faccia con quello che ha in casa e le risorse possano essere un po’ diverse da un ospedale ad un altro.
Polmonite: la diagnosi microbiologica, almeno nel paziente non intubato, rimane ancora piuttosto carente. E’ abitudine consolidata eseguire la ricerca dell’ antigene urinario di pneumococco e legionella, devo dire non sempre motivata dal contesto clinico.
Nelle forme in cui il focus non è immediatamente identificabile, emocolture ed urocolture vengono eseguite sempre così come l’esame microbiologico di eventuali lesioni cutanee.
Credo che il lavoro di Kumar pubblicato su Chest , disponibile free a questo indirizzo web http://chestjournal.chestpubs.org/content/136/5/1237.long, sia molto istruttivo e ci debba spronare a cercare sia ad identificare la causa dell’infezione sia ad iniziare la terapia antibiotica in breve tempo.
Per quanto riguarda la terapia dipende ovviamente dalla situazione clinica dove però i carbapenemi la fanno da padrona. In ospedale esiste un team di infettivologi, uno in organico al nostro gruppo, cui ci rivolgiamo nei casi difficili. Penso che tu, in qualità di esperto del settore, possa aggiungere molto alla discussione.