
Sono le sei del mattino. La notte è quasi passata senza particolari eventi o emozioni quando Vito, l’infermiere al triage, ci avvisa che è arrivata una paziente con una lussazione di anca. “Ha una protesi e si è già lussata diverse volte”. Bene, dico fra me e me, “una lussazione abituale non dovrebbe essere un problema”.
Cominciamo a visitarla.
La paziente è una signora di 83 anni senza particolari problemi di salute eccetto un’ ipertensione ben controllata dalla terapia. E’ portatrice di una doppia protesi di anca a causa di due fratture femorali ed in attesa di intervento poiché da qualche tempo la protesi sinistra va fuori posto con un minimo movimento, l’ultima volta era successo due settimane prima. Nella notte, alzatasi per andare in bagno, era stata colpita da un intenso dolore all’anca, non riferiva altri traumi.
E’ molto sofferente, preso un accesso venoso, somministriamo mezza fiala di fentanil.
Obiettivamente l’arto inferiore interessato è intraruotato e raccorciato, ma non sono evidenti deficit neurologici e i polsi periferici sono validi e ben palpabili. In base ai dati clinici la lussazione è posteriore. Il restante esame obiettivo è indifferente, in particolare non si evidenziano all’esame fisico eventuali altre lesioni di natura traumatica. La invio in radiologia.
Qual è la posizione della protesi?
La radiografia, almeno secondo me, non è molto chiarificatrice, riguardo alla posizione della protesi rispetto all’acetabolo. Non ci sono fratture
La clinica però è piuttosto esplicita quindi ci accingiamo alla manovra di riduzione.
Mentre inizia la sedazione procedurale con del propofol ripasso mentalmente le varie manovre.
La paziente è sedata, cominciamo…
La prima possibilità è quella di, mentre un aiutante mantiene ferma la pelvi, flettere il ginocchio a 90° e poi di trazionarlo verso l’alto e successivamente eseguire manovre di rotazione in modo da consentire il rialloggiamento della testa femorale nell’acetabolo.
Passo alla tecnica di Whistler che prende il nome dalla località sciistica dove è stata sperimentata per la prima volta.
– La gamba dell’arto non interessato dalla lussazione va flessa a 90° e mantenuta ferma da un assistente che dovrà anche stabilizzare la pelvi.
– L’operatore posizionerà poi l’avambraccio nella fossa poplitea dell’arto colpito poggiando la mano sul ginocchio dell’arto non interessato mentre con l’altra mano afferrerà la caviglia del lato affetto
– L’anca colpita andrà flessa a 90° mentre l’avambraccio dell’operatore funzionerà da fulcro e la gamba da leva tirandola in basso e flettendo il ginocchio associando anche movimenti di rotazione interna ed esterna.
purtroppo la barella rigida è anche molto stretta e mi devo arrendere e chiamare l’ortopedico reperibile…
che quando arriva mi dice:” Visto che non ci sei riuscito è meglio ridurla in brillanza in sala operatoria “.
Una magra consolazione, ma volendo cercare sempre un aspetto positivo nelle cose che facciamo mi è servito per ripassare l’argomento e spero che questo un poco possa servire anche a voi.
Ringrazio Michelle Lin di Academic Life in Emergency Medicine per avermi concesso di pubblicare parte del materiale da lei pubblicato sulla tecnica di Whistler: Trick of the Trade: Hip dislocation Part II
E no, però: tu alzi, e allora io schiaccio:
Morale: come dico sempre, non è vergogna chiamare lo Specialista, quando il paziente non è instabile…se poi costui non è disponibile, allora e solo allora spetta a noi…Se avessimo fatto danni a quella povera protesi?
Dovremmo saper fare tutto, ma agire solo quando non sia disponibile una persona più abile di noi…Ma non voglio infierire (stavo per dire “uccidere un uomo morto”, ma in questo contesto la metafora non è carina…). Buon lavoro…
PG superfluo precisare che la paziente non ha avuto danni dai miei tentativi di riduzione e che in più di un’occasione ho visto ortopedici portare in sala operatoria pazienti dopo infruttuosi tentativi di riduzione. Mi sembra il solito gioco delle parti. Quando ti vedo lavorare fai il medico e non il vigile, ma ti piace, per puro spirito polemico, far credere il contrario. In italiano e in quel contesto la parola specialista ha la s minuscola, lo dice uno che di specializzazioni ne ha più di una. Nel rispetto dei diversi punti di vista.
Non mi trattengo…come sempre!
Io la vedo così: se sappiamo fare o abbiamo le competenze in qualunque campo e ci sentiamo al “sicuro” dobbiamo fare. Se non sappiamo fare abbiamo due alternative o chiamiamo chi sa fare oppure, se interessati, approfondiamo le nostre competenze e la nostra crescita professionale. In un lavoro così complesso come il nostro, in cui spesso, non abbiamo persone disponibili, dobbiamo crescere in ogni campo. Non avevamo le capacità per gestire la traumatologia e la piccola chirurgia e l’abbiamo imparato. Il politrauma gestito dall’urgentista non ha prezzo!! per molti l’ecoFAST polidistrettuale è questa sconosciuta! L’ago e cuci ci sembrava un impresa io per esempio all’inizio i fili di sutura…ma chi erano! Imparare e crescere è fondamentale nella garanzia della migliore competenza possibile per il paziente a qualsiesi ora…Ma poi alla fine perchè lavoriamo in DEA…perchè è un divertente pazzo mondo in cui non si finisce mai di scoprire di non sapere e poter apprendere…come diceva un mio amico filosofo…io almeno una cosa la so di non sapere…e aggiungerei che posso migliorae crescere e non annoiarmi MAI!! PG oggi non condivido ma son certa che in altri casi siamo pianamente in accordo!