Essere di turno in “osservazione” è quanto di peggio ti possa capitare. Cominci al mattino, ricevi consegne di decine di pazienti di cui devi decidere il destino: che in estrema sintesi significa dimettere o ricoverare. E’ un lavoro pesante, non solo per la mole di lavoro che bisogna smaltire, ma anche per lo stress che deriva da relazioni non sempre facili con pazienti, parenti e specialisti vari..Non è infrequente poi, che qualche collega ti dica “scusa ma questo paziente non lo potevi mandare a casa?”
E’ stato recentemente pubblicato nel numero di gennaio di quest’ anno degli Annals of Emergency Medicine uno studio retrospettivo che ha valutato il diverso comportamento dei medici d’emergenza nel ricoverare o dimettere pazienti con polmonite:
Hospital Admission Decision for Patients With Community-Acquired Pneumonia: Variability Among Physicians in an Emergency Department.
Il lavoro è, secondo me, molto interessante in quanto offre diversi spunti di discussione
Sono stati rivisti i casi di oltre 2000 pazienti visitati nel pronto soccorso del LDS Hospital di Salt Lake City in un periodo di undici anni dal 1996 al 2006. Sono stati valutati i seguenti parametri
– segni vitali
– esami di laboratorio
– esami radiografici
– ospedalizzazioni
– risultato finale del trattamento
Diciotto i medici d’urgenza coinvolti con un’età media di 44,9 anni ed un’esperienza come attending physicians di 8,4 anni, ognuno dei quali ha esaminato un minimo di dieci pazienti
Nello studio è stata definita una polmonite a bassa severità se il rapporto PaO2/FiO2 era maggiore o uguale a 280 o se una versione elettronica del CURB-65 (eCURB) risultava determinare un valore predittivo di morte inferiore al 5% o se erano presenti un numero di criteri minori per polmonite severa inferiore a 3 delle linee guida IDSA-ATS del 2007
Quali sono stati i risultati?
– Il 58% dei pazienti è stato ricoverato
– Il 10% inizialmente trattato a domicilio è stato ammesso in ospedale entro 7 giorni
– l’età media dei pazienti ricoverati è stata 63 anni con eCURB di 2,65% contro 46 e 0,93% per i pazienti trattati fuori dall’ospedale
– La mortalità a 30 giorni è stata rispettivamente 6,8% per i pazienti ricoverati e 0,34% per quelli gestiti a domicilio.
Il dato più interessante che è emerso e che vi è stata una grandissima variabilità nella decisione di ricoverare o dimettere (dal 38 al 79%) e questa variabilità non correlava con
– gravità della malattia
– esperienza del medico (resident versus attending physicians)
– demografia del paziente o del medico
Inoltre una percentuale maggiore dei ricoveri non determinava ne una riduzione della mortalità ne di riammissione ospedaliera successiva al primo ricovero
La concordanza con i criteri di dimissione suggeriti dalle linee guida (IDSA-ATS eCURB) e dal rapporto PaO2/FiO2 è stato del 69% ma scendeva al 52% tra i medici con la più alta percentuale di ricovero in ospedale.
Alcune considerazioni personali:
Non stupisce , almeno per quella che è la mia piccola esperienza , che i medici non amino adattarsi troppo alle linee guida, anche in situazioni cliniche dove le regole da seguire sono semplici e quindi non comportano un rilevante ulteriore dispendio di tempo e di energia
Esiste comunque un “fattore individuale” sia del paziente che del medico di cui comunque bisogna tenere conto e che alla fine incide sulla decisione finale. Detto questo, credo che bisognerebbe cercare di implementare i nostri sforzi affinché vi sia sempre di più un’omogeinità di trattamenti, in primis per il bene del paziente, ma anche del medico. Potremmo così facilmente rispondere alla domanda iniziale: “scusa, ho semplicemente applicato le linee guida…”
Che ne pensate?
La medicina è un arte, diceva un mio maestro; si, rispondeva un altro, ma basata su evidenze scientifiche. Questa mi sembra un ottima sintesi tra antica saggezza e nuove acquisizioni. Credo che questo lavoro replicato in Italia otterrebbe almeno risultati analoghi, ma certo non vi sono evidenze a supporto della mia affermazione… Comunque molteplici possono essere le ragioni di questa grossa variabilità nel decidere il ricovero o le dimissioni. Una su cui credo dovremmo lavorare: la convinzione e l’orgoglio di essere medici d’urgenza chiamati a svolgere questo bellissimo lavoro nell’interesse dei pazienti, applicando con antica saggezza le moderne LG e gli strumenti a nostra disposizione. In difetto di questa convinzione resteremo sempre prigionieri di quella sorta di sentimento di subalternità ad altre specialità che talora attanaglia molti di noi e che contribuisce significativamente a farci prendere decisioni che hanno un costo non indifferente per il paziente e per la collettività. ” Il miglior medico per il paziente che si presenta in PS è il medico d’urgenza”
Magari avessimo l’Osservazione Breve con Medico e Infermiere dedicato!!
La cosa peggiore è avere consegne e consegne ed essere in Guardia attiva…
Bisognerebbe fare un lavoro anche sui DEA che hanno l’OBI solo sulla carta (e ce ne sono) e la percentuale di ricoveri/dimissioni/riammissioni/mortalità…nonché l’adesione a LG…magari se, per esempio, io potessi fare, ogni tanto, solo OBI, avrei più tempo per seguire le LG e dimettere o ricoverare propriamente…
Gianfrancesco,
concordo che è al medico d’urgenza che competono decisioni e gestione del paziente che arriva in pronto soccorso anche se come vedi questo non impedisce che si attuino comportamenti non sempre condivisibili.I medici dello studio erano infatti medici d’emergenza.
PG63
Ogni realtà è diversa con i suoi pro e i suoi contro; in ogni caso, indipendentemente dalle etichette, non credo che sia auspicabile dover visitare in un turno di lavoro oltre 30 pazienti mai visti prima.