IL CASO: solo una gastroenterite?
È quasi mezzanotte quando, dopo una serie di codici gialli, chiamo il primo codice verde: Maria.
Leggo rapidamente la diagnosi del triage: si tratta di una donna di circa 50 anni che giunge per iporessia e vomito da qualche giorno, anamnesi patologica remota muta. Ammetto di essere rimasta un po’ perplessa edi aver pensato all’ennesima sindrome gastroenterica che in quei giorni affliggeva il circondario.
Ma le mie considerazioni vengono subito tradite dalla vista della paziente.
La trovo già in barella, accompagnata dal marito: una donna distinta e ben curata ora sofferente e fortemente astenica. Non riesce ad aprire gli occhi per guardarmi e con un filo di voce mi dice che si sente molto stanca; fino al pomeriggio era stata ad una riunione di lavoro ma poi tornando a casa aveva avvertito una intensa astenia e nausea. Cerco di raccogliere una anamnesi più accurata, il marito mi racconta che la moglie ha vomitato 2-3 volte negli ultimi giorni e che in realtà nausea ed iporessia vanno avanti già da qualche mese. Per tale motivo tramite medico curante aveva già eseguito una EGDS ed una ecografia addome risultate nella norma. Non assumeva farmaci di alcun tipo.
La visito mentre l’infermiera esegue un’ EGA e i prelievi di routine.
Dopo pochi istanti arriva il risultato dell’ EGA:
Resto alquanto interdetta dinnanzi a questa severissima acidosi lattica e all’ipoglicemia estrema…
non pensavo che questi valori fossero compatibili con la vita… figuriamoci con l’arrivare in PS con i propri piedi!
Somministriamo immediatamente glucosio, monitorizziamo la paziente e alla traccia elettrocardiografica si evidenzia un’onda di Osborne (appena accennata ma c’è): la sonda termometrica conferma che la paziente è anche ipotermica.
Tutto si svolge nel giro di pochi minuti: iniziamo la terapia infusionale con cristalloidi, bicarbonato di sodio ev (che NON amo somministrare nelle acidosi lattiche ma la bicarbonatemia della paziente era 2.4 e il pH 6.84), applichiamo riscaldamento interno ed esterno (riempimento vescicale e aria calda). Gli esami ematochimici sono appena partiti e per il risultato ci vorrà almeno una mezz’oretta.
Nella mia testa passo al vaglio tutte le possibili cause di acidosi lattica e le possibili correlazioni con l’attuale
situazione:
– Ipoperfusione/shock settico: mi sembra la meno probabile clinicamente ed anamnesticamente, ma
in ogni caso inizio un bolo di liquidi
– Rabdomiolisi/sindrome compartimentale: il CPK è in corso ma non c’è storia di trauma né di ustioni,
non obiettivo ematomi cutanei
– Intossicazione da etanolo: la escludo immediatamente, non ha storia né alito alcolico
– Intossicazione da metanolo: manca la cecità
– Sindrome da lisi tumorale: che l’iporessia sia legata ad una neoplasia occulta?
– Ischemia regionale: l’esame obiettivo non è suggestivo e la paziente al momento è troppo
instabile per eseguire la diagnostica strumentale di secondo livello
– Tossicità da farmaci: anamnesi farmacologica negativa
Mi sento persa come Alice nel Paese delle Meraviglie…
Eseguo una POCUS: ecografia del torace e cardiaca nella norma, in addome anse intestinali modicamente distese, non versamento libero
La riguardo e si accende una piccola lampadina: la paziente è magra, a guardarla bene forse un po’ troppo magra…. incalzo il marito con delle domande sulle abitudini alimentari della donna e alla fine mi convinco che la paziente è anoressica. Deve essere per forza così! L’anoressia potrebbe spiegare l’acidosi lattica in vari modi: dal deficit nutrizionale (basti pensare alla tiamina) fino all’ assunzione di anoressizzanti.
A questo punto vado da lei e le chiedo ripetutamente se assume farmaci per dimagrire, le chiedo
specificatamente se assume metformina ma lei nega fermamente. Ma dentro di me inizio a credere che sia questa la vera causa di tutto.
ACIDOSI LATTICA
Il ruolo prognostico dell’acido lattico fu per la prima volta documentato da Broder e Weil nel 1964 quando osservarono che valori di lattato > 4 mmol/L erano associati ad un outcome peggiore nei pazienti con shock indifferenziato. Da allora molti studi sono stati eseguiti sull’utilizzo del lattato in una varietà di pazienti. LINK
- Fisiopatologia:
L’acido lattico è prodotto dal piruvato come prodotto finale del processo di glicolisi in condizione di
anaerobiosi. Viene prodotto in molti tessuti ma principalmente nei muscoli scheletrici, nel cervello,
nell’ intestino e dai globuli rossi. La maggior parte del lattato viene metabolizzato dal fegato (in cui funge da substrato per la gluconeogenesi), ed una piccola quota è metabolizzata dai reni. L’intero ciclo metabolico dell’acido lattico è denominato Ciclo di Cori
Vengono considerati normali livelli di lattato inferiori a 2 mmol/L, intermedi tra 3 e 4 mmol/L ed alti livelli superiori a 4 mmol/L. Kruse e colleghi hanno dimostrato che vi è una buona correlazione tra i livelli arteriosi e venosi di acido lattico nel monitoraggio del paziente critico LINK.
Un incremento dei livelli di lattato può risultare sia da un’aumentata produzione che da una ridotta clearance o da entrambi i meccanismi.
E’ già noto in letteratura che sia gli elevati livelli di lattato che una ridotta clearance dello stesso correlano con un aumento della mortalità in diverse condizioni patologiche tra cui sepsi, trauma, arresto e post arresto cardiaco. Vi è tuttavia una variabilità nelle percentuali di mortalità che dipende dalla condizione patologica che ha determinato l’incremento di acido lattico: ad esempio un valore di lattato > 4 mmol/L correla con una mortalità intraospedaliera inferiore al 5% nei pazienti con chetoacidosi diabetica non complicata mentre supera il 75% nel post arresto LINK
Distinguiamo due forme di acidosi lattica:
- Acidosi lattica di tipo A
Dovuta ad ipoperfusione ed ipossia, si verifica in seguito ad un mismatch tra la produzione ed il consumo di ossigeno come risultato della glicolisi anaerobia. Tra le principali cause che sottendono a questo meccanismo si annoverano lo shock e l’ischemia regionale.
- Acidosi lattica di tipo B
Si verifica in una serie di condizioni tra cui epatopatie, tumori, tossicità da farmaci (metformina, epinefrina), nutrizione parenterale totale, deficit di tiamina, ustioni, traumi, chetoacidosi diabetica, intossicazione da etanolo e sottende ad una disfunzione mitocondriale o ad una iperproduzione di lattato da aumentato metabolismo o aumentato lavoro muscolare.
Tra le cause di acidosi lattica di tipo B merita un cenno il deficit di tiamina; la tiamina funge da cofattore per molti enzimi cellulari tra cui la piruvato-deidrogenasi e l’alfa-chetoglutarato deidrogenasi, componenti essenziali del ciclo degli acidi tricarbossilici e del metabolismo aerobio dei carboidrati. Quando si sviluppa un deficit di tiamina predomina il metabolismo anaerobio ed aumenta la produzione del lattato. Condizioni predisponenti l’insorgenza di un deficit di tiamina includono la malnutrizione, l’alcolismo, epatopatie croniche, iperemesi gravidica, anoressia nervosa e la chirurgia bariatrica.
Per ciò che concerne l’intossicazione da etanolo come causa di acidosi lattica vi rimando a quanto già
esaurientemente scritto nel post “Rum, Pirati ed Acidosi Metabolica”. https://www.empillsblog.com/rum-pirati-ed-acidosi-metabolica/
Un discreto numero di medicine e tossine è responsabile dell’incremento dei livelli di acido lattico; data la bassa incidenza di queste manifestazioni cliniche non vi è ancora un consenso unanime per il loro trattamento che spesso si basa sui risultati di case reports e su opinioni di esperti.
- Approccio al paziente con acidosi lattica
Come già detto l’incremento dell’acido lattico può essere secondario ad ipoperfusione ed ipossia o a disfunzioni del metabolismo da varie cause per cui l’approccio iniziale al paziente con acidosi lattica è un percorso a step che ha come scopo quello di individuare la causa sottostante al fine di intraprendere il trattamento più appropriato. Il gruppo di Andersen ha proposto una check list che prevede una valutazione iniziale dello stato perfusivo del paziente e l’eventuale trattamento dello stesso, segue la ricerca di ischemie regionali e successivamente la ricerca di cause di acidosi lattica di tipo B.
(cliccare sull’immagine per ingrandirla)
Il trattamento dell’acidosi lattica di tipo A si basa sull’ottimizzazione della perfusione attraverso la
somministrazione di liquidi ed eventualmente di concentrati eritrocitari, vasopressori e inotropi.
Più complessa è la gestione dell’acidosi lattica di tipo B poiché molto spesso è difficile individuare ed
eliminare la causa sottostante.
L’utilizzo di alcali come il bicarbonato di sodio, il dicloroacetato, il carbicab (soluzione equimolare di
carbonato di sodio e bicarbonato) e di THAM (soluzione basica contenente trometamina) non si è dimostrata efficace negli studi eseguiti (LINK)
La terapia renale sostitutiva è indicata nelle forme di acidosi lattica indotte da farmaci (LINK)
Alcuni studi hanno dimostrato un ruolo promettente nell’utilizzo della L-carnitina (substrato importante per le funzioni mitocondriali) in corso di infezione da HIV poiché la carnitina risulta deficitaria in questi pazienti (LINK)
E’ raccomandato inoltre l’utilizzo di tiamina (alla dose di 100-500 mg ev) nei pazienti sottoposti a nutrizione parenterale totale o negli alcolisti il cui deficit causa frequentemente acidosi lattica.
Infine nelle disfunzioni mitocondriali può essere utile l’utilizzo di antiossidanti e amminoacidi (LINK)
Sono passati quasi tre quarti d’ora da quando Maria è entrata in sala rossa….
Ripetiamo l’ega: l’acidosi è sempre severa, nonostante il bolo di liquidi (circa 4 lt) e la terapia con bicarbonato di sodio ev… non c’è più tempo, Maria deve dializzare in un reparto ad alta intensità di cure. Allerto la terapia intensiva e ricovero la paziente per iniziare l’emodialisi.
Prima di ricoverarla esegue una TC addome in bianco che conferma la distensione diffusa delle anse coliche senza segni indiretti di ischemia intestinale. Nel frattempo arrivano anche gli esami ematochimici che evidenziano una insufficienza renale acuta severa, nella norma l’emocromo, gli indici di flogosi e di
rabdomiolisi
ACIDOSI LATTICA DA METFORMINA (MALA)
Come già noto la MALA è la più grave complicanza legata all’utilizzo della metformina con una incidenza che varia da 1-10/100.000 ed una mortalità compresa tra il 25% e il 50%.
La tossicità da metformina si caratterizza tipicamente con una triade di manifestazioni che comprendono: insufficienza renale acuta, alti livelli plasmatici di metformina ed acidosi lattica severa.
Uno studio italiano condotto dal gruppo di Locatelli ha dimostrato come i sintomi prodromici
dell’intossicazione da metformina sono rappresentati più frequentemente dai disturbi gastrointestinali (77% dei casi) ed insorgono circa 72h prima dell’accesso in area di emergenza.
Questi sintomi conducono all’ipovolemia accelerando quindi l’accumulo della metformina e lo sviluppo della insufficienza renala acuta (LINK)
Per approfondimenti sulla MALA vi rimando ai post già pubblicati precedentemente:
– “Metformina, dialisi e la storiella del paracadute” https://www.empillsblog.com/metformina-dialisi-storiella-paracadute
-” Il lato oscuro della metformina…” https://www.empillsblog.com/il-lato-oscuro-della-metformina/
In aggiunta al lavoro dei colleghi vi riporto una recentissima review pubblicata su BMC Nephrology nel 2017 che ha analizzato 253 casi di MALA occorsi tra il 1977 e il 2014. I risultati sono i seguenti:
– Mortalità del 17.2% (decisamente più bassa rispetto alla mortalità del 50% riportata nei risultati di
un singolo centro)
– Correlazione positiva tra i livelli di acido lattico ed i livelli ematici di metformina.
– Correlazione positiva tra i livelli ematici di metformina e la dose assunta dai pazienti.
– Correlazione tra i livelli di lattato e la mortalità per MALA: per ogni incremento di 1 punto di
lattato si assisteva ad un incremento del 9% (95% CI, 2-17, p:0.01) della mortalità. All’analisi dose-risposta: l’incremento della mortalità è più significativo per valori di acido lattico > 20 mmol/L.
La terapia renale sostitutiva ad oggi è l’unica arma in nostro possesso nei confronti della MALA e gli studi hanno dimostrato come non vi sia una superiorità in termini di sopravvivenza tra le varie modalità.
Kopec e Kowalski hanno suggerito, in una review, i criteri per l’inizio dell’emodialisi:
Due anni dopo una review del gruppo di Calello ha proposto come indicazioni alle dialisi:
– Livelli di lattato > 20 mmol/L
– pH ≤7.0
– Shock
– Fallimento della terapia di supporto
– Riduzione dello stato di coscienza
Secondo lo studio inoltre il trattamento dialitico deve essere continuato fino a raggiungere una
concentrazione di acido lattico inferiore a 3 mmol/L e un pH > 7.35 (LINK)
Infine, ancora in corso di pubblicazione, un lavoro italiano di Galiero che ha dimostrato come in un caso di intossicazione da metformina, in seguito allo sviluppo di shock distributivo refrattario all’utilizzo degli
inotropi, solo l’infusione di vasopressina si è dimostrata efficace nel ristabilire l’emodinamica del paziente (LINK)
CONCLUSIONI
La gestione dell’acidosi lattica è sicuramente una sfida per il medico d’urgenza in quanto sottende ad uno spettro esteso di patologie life-threatening.
Come nel caso di Maria non è sempre immediato il riconoscimento della causa che l’ha determinata per cui un approccio sistematico e ragionato come quello proposto da Andersen può semplificare il percorso decisionale e terapeutico.
Se escluse le cause di acidosi lattica di tipo A, vanno ricercate le cause di acidosi tipo B e in quest’ottica il ricorso al dosaggio sierico dei livelli di metformina (qualora si abbia la possibilità di dosarla), di etanolo/metanolo e delle droghe principali può avere un senso anche nei pazienti con anamnesi muta.
Infine, il paziente con acidosi lattica severa è un paziente critico e il tempo a nostra disposizione è poco per cui una volta ottimizzato lo stato emodinamico e tentato di correggere lo squilibrio metabolico, in caso di acidosi refrattaria, non bisogna ritardare in alcun modo il ricorso alla terapia dialitica.
A fine turno, l’indomani mattina, salgo in TIPO per andare a trovare Maria; sta ancora facendo dialisi ma globalmente sta meglio e l’acidosi è quasi corretta.
Incontro il collega della TIPO che mi aggiorna: “Sai durante la notte il marito è andato a casa e ha trovato nascoste delle confezioni di metformina e lasix 500 mg che la paziente assumeva di nascosto per dimagrire”.
Maria era davvero anoressica e nonostante le avessi chiesto più volte se assumesse metformina lei lo aveva negato fermamente fino alla fine anche di fronte ad un imminente pericolo di vita.
Questa volta aveva ragione l’anti-medico per eccellenza, Gregory House: il paziente mente sempre.
Brava Rossella, sei la numero uno!!!
Complimenti per l’articolo!
Grazie mille!
Gran bell’articolo: scientifico, chiaro e concreto.
Grazie del contributo e complimenti.
Grazie mille!
Articolo molto interessante e utile grazie mille.
Eccellente.