Consegna del mattino. “C’è poi il signor Rodolfo. E’ un uomo sfortunato. Ad Aprile è caduto ed è stato ricoverato nella neurochirurgia del centro traumatologico a causa di un ematoma subdurale cronico. A luglio invece gli è stata diagnosticata una TVP poplitea dx ed un’embolia polmonare radiologicamente definita come massiva, per cui è stata iniziata la terapia con fondaparinux. Ieri sera è venuto in pronto soccorso a causa di un ematoma spontaneo nella regione toracica in assenza di traumi. Mi sembrava lievemente confuso, anche se la moglie sosteneva quella essere la sua performance normale, non mi sono fidato e gli ho fatto fare una TAC che ha evidenziato un millimetrico focolaio emorragico cerebrale”
“Bisogna fargli mettere un filtro cavale” dico io, “anche se la lesione emorragica è piccola , l’embolia polmonare troppo recente per sospendere la terapia anticoagulante”.
Le indicazioni al posizionamento dei filtri cavali negli anni sono andate via via riducendo, l’unica indicazione rimasta: la controindicazione alla terapia anticoagulante in pazienti affetti da trombosi venosa profonda degli arti.Questa indicazione si fonda però su evidenze scientifiche o solo su un razionale presupposto fisiopatologico?
Sono stati recentemente pubblicati su Jama Internal Medicine uno studio su questo tema e un editoriale di commento diamoci uno sguardo:
- Indications, complications, and management of inferior vena cava filters: the experience in 952 patients at an academic hospital with a level I trauma center
- The inferior vena cava filter: how could a medical device be so well accepted without any evidence of efficacy?
Proprio basandosi sul precedente presupposto fisiopatologico i primi filtri cavali vennero posizionati negli anni 60, ma erano gravati da molte complicazioni quali la trombosi cavale o la migrazione degli stessi nell’albero vascolare polmonare.
Nonostante i presupposti scientifici del loro utilizzo si basassero su uno studio Twelve-year clinical experience with the Greenfield vena caval filter, non privo di importanti lacune:
- mancanza di un gruppo di controllo
- su 469 pazienti follow up di 43 mesi ottenuto solo per 146 di essi
- 133 decessi (28%)
- 4% di casi di embolia polmonare (con 17 decessi e 9 casi non fatali)
- 96% di device pervi ma il 44% con evidenza di stasi venosa cronica
l’utilizzo dei filtri cavali è andato via via aumentando nel tempo e attualmente di calcola che circa 50000 dispositivi vengano posizionati ogni anno negli Stati Uniti.
Linee Guida
Le linee guida delle più rappresentative società che si occupano di questo tema: the American College of Chest Physicians, the American Heart Association, the British Committee for Standards in Hematology e the Thrombosis Interest Group of Canada concordano che vi è indicazione al posizionamento di un filtro cavale in pazienti con malattia tromboembolica venosa e una controindicazione alla terapia anticoagulante.
Non vi è invece consenso sulle altre possibili indicazioni:
- sviluppo di malattia tromboembolica nonostante il trattamento anticoagulante
- pazienti con recente episodi tromboemboici venosi in cui la terapia anticoagulante andrebbe sospessa per intervento chirurgico
- trombosi venosa prossimale e riserva cardiaca ridotta
- presenza di trombi flottanti
- prevenzione primaria in pazienti ad alto rischio tromboembolico
Lo studio PREPIC
L’unico studio controllato e randomizzato pubblicato nel 1998 è stato lo studio PREPIC (Prevention du Risque d’Embolie Pulmonaire par Interruption Cave) che ha seguito pazienti per un periodo di 8 anni, arruolando 400 pazienti di età uguale o superiore ai 18 anni, con trombosi venosa profonda prossimale, con o senza embolia polmonare considerati ad alto rischio di embolia polmonare.
Criteri di esclusione erano stati:
- gravidanza
- essere stati sottoposti a trattamento trombolitico
- insufficienza epatica o renale
- breve aspettativa di vita
- e sorprendentemente proprio l’indicazione principe attuale: la controindicazione alla terapia anticoagulante
I pazienti vennero randomizzati in due gruppi in a seconda che fossero stati sottoposti o meno all’impianto di un filtro cavale permanente, il warfarin somministrato in modo omogeneo tra i due gruppi
A due anni i ricercatori non rilevarono differenze statisticamente significative tra i due gruppi per quanto riguarda la mortalità ma un’incidenza di trombosi venosa del 10% superiore nel gruppo cui erano stati impiantati i filtri cavali.
A 2 anni una riduzione non significativa di embolia polmonare sintomatica che però divenne invece significativa a 8 anni fu rilevata nei pazienti con filtro cavale (6,2% versus 15,2%)
La trombosi venosa profonda invece era risultata più frequente nei pazienti con filtro cavale (35,7 vs 27,5%)e anche a 8 anni nei due gruppi non vi era stata una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda la mortalità
Nello studio di White e collaboratori, pubblicato sempre nello stesso numero di JAMA Internal medicine High variation between hospitals in vena cava filter use for venous thromboembolism. viene sottolineata l’incertezza e la grande variabilità di utilizzo da parte dei medici riguardo all’uso dei filtri cavali nella pratica clinica, almeno in parte collegata alla mancanza di indicazioni basate sull’ evidenza.
L’introduzione dell’uso dei filtri rimovibili ha cambiato poco la situazione, almeno questi sono i dati che emergono dallo studio di Sarosiek, dove il 91,5% dei filtri rimovibili posizionati sono stati lasciati in sede.
- Dei 659 filtri posizionati solo 59 sono stati rimossi con successo
- In 13 pazienti il tentativo di rimozione risultò infruttuoso
- Nel 7,8% dei casi is sono manifestati eventi trombotici di cui
- 25 episodi di embolia polmonare, tutti in pazienti con filtro cavale in sede
- 48% in pazienti senza evidenza di tronboembolismo venoso
- 89% in pazienti non in terapia anticoagulante
- il 24,9 % dei pazienti venne comunque dimesso in trattamento anticoagulante
Gli autori di questo studio retrospettivo condotto da agosto 2003 a febbraio 2011, concludono che il posizionamento di questi filtri è gravato da una quota consistente di eventi tromboembolici venosi
Benefici e danni
Se i benefici dell’uso dei filtri cavali sono lungi dall’essere dimostrati vi è una crescente preoccupazione per i rischi sulla salute riguardo al loro posizionamento. Rischi che possono andare dall’ematoma nella sede di introduzione, al malposizionamento, allo pneumotorace e all’embolia gassosa. Le complicazioni più tardive rappresentate dalla occlusione della vena cava inferiore (22% a 5 anni e 39% a 9 anni in uno studio) e la rottura del dispositivo con conseguente embolizzazione ( sino 16% in alcune casistiche). Questi dati si sono tradotti in un safety alert della FDA nel 2010.
Quale strada è giusto percorrere? L’editorialista nel suo articolo: The inferior vena cava filter: how could a medical device be so well accepted without any evidence of efficacy? conclude che oltre alla necessità di studi controllati che forniscano indicazioni più sicure sul reale rapporto rischio beneficio circa l’utilizzo dei filtri cavali, medici e pazienti al momento attuale si trovino nella difficile situazione di operare una scelta tra seguire le linee guida proposte dalle società scientifiche o discutere con i pazienti in base i dati di letteratura su esposti riguardo a una procedura che sicuramente espone il paziente a dei rischi ma il cui vantaggio clinico è al momento tutto da dimostrare.
Commento personale
Dopo una discussione collegiale con ematologi e neurologi e dopo aver illustrato al paziente i rischi e gli eventuali benefici il paziente è stato inviato dal radiologo interventista per il posizionamento del filtro cavale, certo non a cuor leggero.
Come sempre quando ci capita di approfondire un argomento che credevamo di conoscere ci rendiamo conto che le cose sono tutt’altro che semplici e le risposte niente affatto scontate.
Difficile, anche dopo aver letto la letteratura più recente, trovare un comportamento che desse garanzie di sicurezza in un caso del genere. Sospendere la terapia anticoagulante infatti avrebbe esposto il paziente a un rischio embolico , anche considerato il fatto che l’ecodopper venoso eseguito in pronto soccorso aveva confermato la presenza della trombosi venosa profonda, mentre continuarla certamente avrebbe aumentato di molto il rischio emorragico.
Ripeto spesso a me stesso e ai pazienti che nonostante gli spot televisivi la medicina non è matematica e che le scelte vanno condivise, anche se talvolta né i medici né i pazienti hanno sufficienti strumenti per prendere decisioni in modo consapevole. Niente è più vero in casi come questo.