Quando trovo qualche articolo interessante in genere lo conservo da qualche parte, per lo più sul computer, talvolta stampandone una copia. In genere il materiale che ha stimolato la mia curiosità è fonte immediata per un nuovo post, ma non sempre. Ieri all’interno di una cartellina ho trovato un articolo degli Annals di alcuni mesi fa e di cui avevo completamente scordato l’esistenza ma meritevole di una riflessione comune.
Il titolo dell’articolo è: Coping With the Death of a Patient in the Emergency Department, gestire la morte di un paziente nel dipartimento di emergenza. Il titolo può essere ingannevole in quanto l’articolo descrive l’impatto che la morte di un paziente, specie se improvvisa come talora avviene in pronto soccorso, ha sul medico che lo ha avuto in cura. La letteratura su questo argomento è comunque piuttosto scarna sebbene esistano invece una serie di scritti su come i medici debbano comunicare la notizia della morte di un paziente ai suoi congiunti. Questo di per se è ritenuto sia dagli specializzandi che dai medici strutturati un compito difficile da assolvere anche considerando il numero tuttaltro che irrilevante di eventi ( nel 2006 lo 0,2% di tutte le visite nei dipartimenti di emergenza degli Stati Uniti)
La maggior parte degli studi deriva da rapporti osservazionali o opinioni di esperti di specialità diverse dalla medicina d’emergenza. I sentimenti scatenati da situazioni come questa sono svariati e spesso negativi insinuando dubbi nel medico curante sulla propria competenza professionale.
In un’ intervista condotta su 188 medici che avevano curato pazienti che poi erano deceduti, un qaurto di essi hanno connotato questa esperienza come “very disturbing”, per cui erano rimasti molto turbati.
Sentimenti analoghi sono stati evidenziati in altri studi per psichiatri i cui pazienti avevano commesso suicidio. Circa il 10% dei ginecologi avevavn considerato di interrompere tale attività professionale a causa della morte di neonati durante il parto. Stesso e forse anche più impegnativo l’impatto della morte dei pazienti sugli oncologi, il cui livello di burnout è tra i più elevati nell’ambito delle specializzazioni mediche.
Nei dipartimenti di emergenza le cose non vanno meglio. In un altro studio il 47% dei medici d’urgenza si è sentito sconfortato per il resto del loro turno di lavoro dopo una rianimazione pediatrica con esito sfavorevole. In effetti tra le specializzazioni mediche quella di chi lavora in pronto soccorso è forse la sola in cui medico, paziente e famigliari non si sono conosciuti prima, in cui quindi non esiste una relazione precedente all’evento. In più, molti dei decessi coinvolgono persone giovani spesso in modo inaspettato. In molte realtà poi i giovani medici non sono supportati da quelli con maggiore esperienza nell’affrontare queste difficili situazioni soprattutto durante i turni notturni o i weekend. I medici più giovani quindi vivono tutto ciò come una mancanza di competenza tanto da far pensare loro di cambiare professione o specializzazione.
Strategie per mitigare gli effetti negativi che la morte del paziente ha sul medico.
Come già detto in precedenza le raccomandazioni suggerite in letteratura derivano da studi di tipo osservazionale e da pareri di esperti. Cosa si può fare allora?
– i medici possono imparare utilizzando le risorse disponibili nei propri ospedali
– laddove la morte rappresenti l’evento finale di una malattia cronica anche nel dipartimento di emergenza possono essere predisposte misure e condizioni per una “buona morte” con il supporto e la vicinanza delle persone care. Questo non solo può non venir vissuto dal medico curante come un evento stressante ma al contrario come un’esperienza gratificante
– condividere con altri membri del gruppo la propria esperienza sia in modo formale (debriefing ) che informale risulta essere di aiuto
– l’utilizzo di consulenti e terapisti non rappresenta l’approccio di routine in questi casi ma talora può risultare utile
In generale il medico dovrebbe cercare di guardare:
– alla propria storia rispetto al lutto
– eventi passati che potrebbero influenzare comportamenti attuali ed essere cause di difficoltà nella gestione dell’evento
– alle personali esperienze e convinzioni riguardo al significato della vita , della sofferenza e della morte.
Questi i modi in cui in generale i medici reagiscono alla morte di un proprio paziente
– discutere il caso con colleghi amici o in famiglia
– passare tempo da soli
– distrarsi con pratiche sportive o hobby
– una revisione formale del caso
– cercare conforto nelle preghiere o nella religione
Come reagiscono gli specializzandi?
I dati della letteratura ci dicono che i medici in formazione tendono a vivere queste esperienze in modo più frustrante rispetto ai medici più esperti. E’ importante così che a fronte di audit del tipo” morbidity and mortatlity” in cui gli errori presunti o reali vengono discussi collegialmente, gli specializzandi ricevano tutto il supporto necessario e tale supporto strutturato formalmente nel piano di studi.
E’ importante inoltre che i giovani medici, guardando il modo in cui i medici strutturati affrontano il lutto dei propri pazienti, non sentano il loro coinvolgimento emotivo come una mancanza o una inadeguatezza.
Tenere conto degli aspetti emozionali di queste esperienze risulta fondamentale anche se non molto spesso praticato. In uno studio infatti la morte di un paziente era seguita nel 63% dei casi da nessuna discussione tra medici, specializzandi e studenti, mentre nel 37% dei casi venivano presi in considerazione i soli aspetti “medici” e nessun aspetto emozionale.
Conclusioni
Gli autori concludono auspicando un sempre maggiore supporto dei medici in formazione riguardo a queste tematiche in modo da metterli in grado di affrontare la morte dei loro pazienti in modo professionale ed empatico al tempo stesso.
Commento personale
Di queste cose credo si parli poco e non so neanche se esse siano materia di insegnamento all’università. Per me non lo sono stati. L’unica occasione in cui mi è stato insegnato formalmente a come comunicare il decesso di un paziente ai suoi congiunti è stato durante i corsi ACLS. Come molti altri colleghi , ho imparato sul campo, anche se ogni situazione è diversa da un’altra. Personalmente credo che essere bravi a comunicare e a gestire nel proprio intimo il lutto sia una cosa preziosissima e una specie di dono che non tutti hanno ma che si può pian pianino imparare. Rimane il fatto che certe situazioni rimangono difficili da gestire ed accettare anche per medici con molte primavere. Alcune settimane fa sono entrato in area rossa mentre era in corso una rianimazione ” che non stava andando bene” in un giovane trentenne dopo un evento aritmico. Uscendo mi sono detto” oggi è un giorno fortunato, questa volta non è toccato a me…”
Aspetto come sempre i vostri commenti ed esperienze.
Dunque…
La prima volta che ho dovuto comunicare la morte di un parente non avevo nessun collega anziano accanto. Avrei tanto voluto averlo.
Per cui spero di poter stare accanto a un prossimo collega giovane che sarà a vivere tale esperienza.
Per poterlo aiutare in caso di difficoltà.
Per non farlo sentire solo.
Per aiutare i parenti del defunto in caso di bisogno.
Mitico Carlo, complimenti, 300 post è un vero record!!!!
non mollare
Complimenti.
Articolo molto bello ed interessante.
Ciro e Francesco grazie. In realtà avevo contato male i post sono “solo” 299. Il trecentesimo arriverà domani!
Grazie Carlo: come sempre la tua competenza professionale va di pari passo con una sensibilità umana rara…
Davvero complimenti per il bellissimo articolo, tocca particolarmente chi come me, forse, sceglierà presto proprio un dipartimento d’urgenza per la specializzazione.
Mi ricordo benissimo però quello che un medico d’urgenza all’ACLS ci disse e che vorrei condividere:
Una persona è morta e non si può tornare indietro ma ce ne saranno sempre almeno altre 2 da curare, la prima sarà il/la consorte i parenti del defunto, magari giunti di corsa appena ricevuta la notizia di un incidente di cui non sanno l’esito.
Ma la seconda persona siete voi, siete voi quelli che dovranno tenere duro e magari salvare altre persone per le prossime ore, oggi,domani o dopodomani. Dovete curare voi stessi e non fare mai finta di nulla perchè altrimenti ogni volta che ricapiterà sarà sempre peggio….
Personalmente non credo che tutte le persone siano psicologicamente pronte di fronte ad una morte, tanto meno di fronte a quella di un bambino o di un ragazzo.
Per risponderti, no non vengono insegnate queste cose, ma sono cose fondamentali su cui non si dovrebbe in alcun modo esitare.
Paolo
Paolo,
grazie per aver condiviso la tua esperienza e per i complimenti.
Ciao Carlo.
Complimenti per gli articoli che metti sul facebook.ho imparato sul campo, anche io se ogni situazione è diversa da un’altra. Personalmente .Importante avere buon metodo di comunicare non verbale e poi annuncio della morte alla fine.E’ un mondo difficileeeeeeeeee…Buon Lavoro e buone ferie. Reza ALIKHANI
Ciao Reza,
grazie del tuo commento.