Mohamed
Mohamed ha 37 anni. E colpisce forte. Le parole diventano pugni quando mi dice che doveva rimanere in Sudan. Che lì aveva salute, rispetto, lavoro ed una famiglia. In sintesi una vita.
Proprio per la famiglia e la loro di vita ha compiuto quello che pensava e chiamava il grande viaggio. Che lo ha portato a declinare il suo sogno in una barella di un pronto soccorso di un’ospedale qualunque di una città operosa del nord Italia.
Mohamed giace inerme in una barella scomoda ma che per lui è un lusso. Giace incapace di alzarsi, non si sa se perchè la vita questa volta ha colpito troppo forte.
Sostiene di non sentire più le gambe. ieri pomeriggio è stato accompagnato da solerti volontari all’ingresso del pronto soccorso ed il mio collega lo ha trattenuto nella notte.
Non ho davvero compreso se l’osservazione era stata consigliata da uno scrupolo medico o semplicemente umano. E non capisco se Mohamed accentua, finge o semplicemente non riesce proprio più.
L’impressione è che Mohamed non senta più la vita.
Una neuropatia alcolica sicuramente non acuta ha portato via le sue sensazioni nervose periferiche superficiali da una vita che gli aveva già tolto il privilegio di provare sentimenti centrali e profondi.
I nervi malati hanno contribuito a scalfire ancora di più un cuore puro, indomito ma ormai indurito. Vivo un sussulto di gioia quando lo vedo mangiare con avidità e sorpresa l’intero vassoio della distribuzione mensa.
Vivo un brivido di trasgressione quando rubo lo stracchino al mio collega odioso, il prosciutto alla oss sovrappeso ed il purè al vicino di letto che dorme per creargli un secondo vassoio, regalo di consolazione, di una vita che lo ha dichiarato perdente.
Addirittura un EMG eseguito in urgenza (cosa mai ottenuta nella mia vita di medico d’urgenza sinora) testimonia una neuropatia su base carenziale tossica che certifica la gravità del danno e la sicura cronicità.
Mohamed messo in piedi caracolla, riesce a fare due passi prima di doversi appoggiare. I suoi nervi sono ubriachi e carenti di vitamine, mielina e sicuramente assistenza. Mi guarda chiedendomi un sostegno. Io gli porgo il braccio ma non per rassicurarlo ma per assicurarmi che compia gli ultimi 5 di passi che lo separano dalla uscita del pronto soccorso senza indecorose ed ineleganti cadute.
Mohamed non esiste per il sistema, sanitario o altro.
Non ha una tessera sanitaria o un documento di identità. Ha un nome ma non un cognome. L’assistenza sociale non sa come poterlo aiutare o forse non vuole perchè bisognerebbe evadere da regole e norme burocratiche.
Mohamed è giovane e forte con una vita davanti a sè. O meglio potrebbe essere giovane e forte ed avere una vita davanti a sé, ancora. Il suo disturbo invalidante avrebbe bisogno di tante cose: vitamine, riabilitazione, fisioterapia, ausili, incentivi, assistenza, sussidio. Aiuto. Sostegno. Appoggio.
L’unica cosa concreta che riceve è una carrozzina con cui arrivare più agilmente alla uscita del pronto soccorso per evitare una catastrofica caduta dentro le mure del dea. Perchè una caduta dentro sarebbe sicuramente molto meno pericolosa di una, inevitabile, caduta fuori. Vuoi mettere che poi lo devo rimettere su una barella e compilare un RC?
Antonia
Antonia ha 96 anni. Non 86. Non 90. Ma proprio nove sei.
Viveva sola e “senza alcun sospetto”, neanche quello di non riuscire più a farcela.
Sospetto suo e dei figli che probabilmente erano senza sospetto, sicuramente senza affetto. Neanche senza il sospetto di finire la sua esperienza di vita non in casa sua. Fino ad una rovinosa caduta che lo ha portata vicino a Mohamed.
Antonia è il fine vita. La caduta la conseguenza di una ipossia frutto dei sui 96 anni, di un polmone e di un cuore che iniziano ad essere inefficienti, ipossia che un pò di ossigenoterapia riesce comunque e facilmente a correggere.
Antonia ha bisogno meno possibile dell’ospedale perchè già dopo tre ore inizia a vedere suo padre, dopo 4 parla con sua madre e dopo 5 mi dice che deve andare in cucina.
Mohamed ha bisogno di una struttura che possa aiutarlo a sopravvivere in un mondo dove i disabili vengono schiacciati.
Antonia non ha bisogno di una struttura dove gli anziani perdono se stessi.
Mohamed non può tornare a casa perché casa non ne ha.
Antonia dovrebbe tornare a casa, ma non può perchè in quella casa è sola. O almeno lo decidiamo noi ed i figli, indifferenti entrambi ed insensibili i secondi al volere di un Antonia che smette di avere una voce e di essere ascoltata dato che ormai non ragiona più.
Ho pensato di portare Mohamed a casa di Antonia. Ho pensato di portare Mohamed a casa con Antonia.
Ho pensato. Invece nulla. Mohamed prende la strada di una casa inesistente nel mondo ed Antonia quella di una struttura dove sfiorisce senza morire.
E io mi chiedo dove sta l’errore.
Bibliografia
- https://www.instagram.com/andrea_astengo/
- https://www.instagram.com/rickirich86/
Caro Davide. Bellissimo post come sempre. Chi lavora in Area di Emergenza è obbligato ad effettuare sempre delle scelte etiche pesanti. Anche non scegliere e non decidere è una scelta. Quello che spesso ci consuma è il dover decidere in pochi minuti, poche ore. Spesso senza strument. Senza poter rinviare all’indomani mattina dopo esserci lavati di dosso la stanchezza con il sonno.
Queste persone invisibili alla società non sono invisibili a noi e come hai detto tu colpiscono duro
Colpiti duri, speriamo di riuscire a trovare le risorse per reagire
Questo post indica la differenza tra fare il medico ed essere medico. Grazie . Andrebbe fatto leggere ai neo laureati in medicina e a tutti quelli che iniziano professioni sanitarie .
In fondo l’idea di empills è questa: non cercare di insegnare a fare il medico ma ad esserlo.
Grazie, bellissimo post