sabato 18 Gennaio 2025

Morire in pronto – l’importanza del come

Loro

Angela ha 97 ed una sodiemia quasi doppia rispetto alla sua età.

Giuseppe ha 93 anni – 93 come la diuresi in ml fatta in un giorno.

Piera di anni ne ha 80 – il doppio esatto della sua p02 e della sua frequenza Respiratoria

Angela, Giuseppe e Piera hanno in comune un percorso di vita difficile, una qualità degli ultimi anni compromessa e il destino, o chi per lui, che ha deciso di farli attendere le ultime ore e di aspettare il fatal destino in Pronto Soccorso.

E se morire è inevitabile, e sembra lo stia diventando inevitabile sempre di più morire in pronto soccorso, il come diventa fondamentale

Gli ultimi momenti di una esistenza affidata a noi

A volte non ne abbiamo comprensione e cognizione. Spesso lo affrontiamo con superficialità, distacco, banalità e sciatteria. Eppure l’unicità, la potenza, l’importanza dell’evento è Enorme. Immensa. Devastante.

Per il paziente affidato a noi. Per i famigliari che si affidano a noi. Per noi.

Tutti noi abbiamo una qualsiasi persona amata che è venuta a mancare. Ognuno di noi ricorda esattamente quell’attimo e quei momenti, il posto, l’odore, il rumore, il silenzio, gli istanti, gli istinti e le emozioni. Il viso della persona che ti parlava. La sua voce. Le sue mani. I suoi occhi. Il muro che fissavi. Gli sguardi che incrociavi nell’attesa. Emozioni, sentimenti, impressioni che nolenti o volenti rimarranno sempre con te, segnandoti ed accompagnandoti. E poche cose sono per sempre come queste. In positivo o in Negativo.

Ecco, quando qualche nostro paziente sta per morire, ricordiamo di tutto ciò. Di quello che abbiamo provato, di quello che ci è dispiaciuto, di quello che non vorremmo non aver visto e che purtroppo ci ricordiamo, Di quello che ci ha scaldato il cuore e convinto che il mondo poteva ancora essere un posto bello, nonostante tutto. Se realizziamo e comprendiamo come con quei momenti incidano, segnino, scavino ed indirizzino la vita chi ci lascia e la vita di chi rimane, allora ne possiamo comprendere la giusta importanza. Solo se ci rammentiamo quegli attimi, solo se consideriamo che la fine deve essere dignitosa e fiera, che deve essere sollievo, conforto, consolazione, possiamo dare la giusta importanza.

Foto di Yukon Haughton su Unsplash

E se la conclusione diventa ineluttabile, il come si arriva diventa fondamentale.

Non solo per il paziente, che deve essere il protagonista di un riposo senza sofferenza.

Per le persone che lo vogliono accompagnare.

E Per noi. In cui Il come diventa il nostro dovere ed obbligo.

Vademecum di come vorrei morire se dovessi avere la sfortuna di morire in Pronto Soccorso

Foto di Annie Spratt su Unsplash

Ecco allora come io immagino come dovrebbe essere.

Il mio sogno: riuscire a metterlo in pratico un giorno

  1. Un percorso di fine vita. Coerente con le scelte e la volontà e la vita del malato. Chiaro per il paziente ed i suoi famigliari. Sereno per entrambi. Condiviso e mai da percorrere da soli.
  2. Una stanza dedicata – la stanza del sollievo. In cui trovare intimità – rispetto – silenzio. Meglio se con un accesso differente rispetto a quello in uso per i pazienti del DEA. Ancora meglio se con servizi igienici dedicati ed un lavandino non tanto per rinfrescarsi quanto quasi per mondarsi, entrando.
  3. Conforto e supervisione di operatori sanitari dedicati e formati specificamente – presenti senza essere invadenti. Spesso non saranno loro a chiedere ma dovrai essere tu a spiegare. A rassicurare. A far presente che il mondo finisce quel giorno ma va anche avanti. Non sempre con le parole. A volte con le mani, spesso con lo sguardo e con i gesti. Sempre con l’esempio. A dare informazioni, anche e soprattutto pratiche.
  4. Un letto non una brandina – un materasso, un cuscino ed un lenzuolo bianco bianco, ma davvero bianco, appena stirato. Di quelli che la mamma ti faceva trovare alla sera, quando ancora non ti faceva il letto e tu lo trovavi perfetto.
  5. Un numero adeguato di Sedie disposto intorno al letto in modo tale che nessuno famigliare debba stare in piedi. E tutti possano circondarla, quell’anima, in una sorta di simbolico grande abbraccio.
  6. La Disponibilità di un Conforto Spirituale, se voluto.
  7. Un odore di fondo: neutro, appena accennato, non intenso ma che riempie la stanza, copre il troppo vuoto o il troppo pieno – l’assenza di odori o l’olezzo intenso dei locali del DEA ed il cuore e la mente di chi aspetta e piange e prega.
  8. Una musica in sottofondo: in filodiffusione, appena accennata, pacata, serena, che prova a supportare senza interferire con il tuo dolore, a confortarti senza disturbarti nella tua sofferenza.
  9. Una Finestra. Da cui entra luce naturale – non troppa – un filo / una lama che illumina senza accecare. Una finestra. Da cui far uscire lo sguardo e guardare verso il cielo. Una finestra con cui una Veneziana con cui lasciare la possibilità di lasciare il mondo fuori e chiudersi dentro in quella stanza.
  10. Del Caffè. Una macchinetta. Vecchia ma funzionante, di quelle delle nonne che non tradiscono mai, Che sembrano che di debbano lasciare ma non ci lasciano mai. Fino a quell’attimo. I cui capiamo che dovremmo fare del caffè con una altra macchinetta.
  11. Una caraffa di acqua fresca ed una piccola raccolta di libri a disposizione. Quasi come fossimo nel salotto di casa della nostra nonna. Come se le persone morissero ancora a casa loro, fra le loro cose, nel loro mondo. Con le loro persone.

Creare

Foto di Nathan Dumlao su Unsplash

Costruiamo percorsi. Flussi. Terapia subintensive ed OBI. Monitorizziamo e razionalizziamo. Creiamo spazi, alziamo ed abbassiamo muri. Ottimizziamo e velocizziamo. Nella medicina che va sempre più di fretta, sappiamo cogliere la necessità in alcuni casi di rallentare. Ricordiamoci ogni tanto di dare tempo a chi tempo non ne ha più. Di dare lo spazio giusto a chi spazio non ne occuperà più.

“C’è qualcosa di più forte della morte
ed è la presenza degli assenti nella memoria dei vivi”.
Valerie Perrin

E Piera?

Piera ha trovato una stanza, un letto, un cuscino. I suoi figli guardiani di una fine che sembrava inevitabile e prossima alle ore 9.00 del sabato mattino. Con la sua saturazione di 70% e polmoni pieni di secrezioni. Sono passate 48 ore e Piera è ancora in quel letto. Senza dolore ma ancora con una forza che non cede all’arrendersi. Guardo Piera senza dolore ma non reggo lo sguardo degli figli, pieni di dubbi su qualcosa che ineluttabile doveva essere sabato ma che il lunedì così ineluttabile forse non era o non doveva essere.

Davide Tizzani
Davide Tizzani
Specialista in Medicina Interna, ma specializzando ancora nell'anima. Esperto di Niente. Interessato a Tutto. Appassionato delle tre E: ecg, ega, ecografia. @DavideTizzani |

6 Commenti

  1. Grazie Davie. Hai saputo descrivere quello che da 12 anni portiamo nei corsi SAU e nelle realtà di ciascuno. Da me si chiama “stanza dei sogni”, è come una camera di casa (per quanto possibile in un ospedale) puntando l’attenzione sull’arredamento. Poche cose ma fatte pensandoci, prestando attenzione. Ad esempio il soffitto. Abbandoniamo il pensiero verticale e cominciamo a guardare il mondo in orizzontale. La controsoffittatura sarà dipinta da bambini di IV e V elementare della scuola di Secondigliano ai quali abbiamo spiegato la “bellezza” di una buona morte. Poche cose ma necessarie.

    • “stanza dei sogni”, “end of life”, “sala del sollievo”: è bello sapere che in tutta italia esista la consapevolezza del problema e che in molti posti esista una sua reale attuazione. Ed è bello che empills possa essere un posto virtuale di confronto di esperienza ed opinioni. Grazie

  2. Nell’ obi del mio dea abbiamo creato una stanza dove sistemiamo i pazienti che si avviano alla morte . Arredamento ancora “ tipico “ da sala .
    Da quando si è compreso l’importanza di quella stanza , dei ringraziamenti dei familiari per il trattamento riservato al paziente e a loro stessi , l’ accompagnamento al fine vitae e’ diventato dominante nella rutinarieta’ del nostro lavoro .

  3. Nel PS di Piacenza non è un sogno. Da giugno 2022 esiste sala del sollievo, una istruzione operativa e una scheda farmacologica per la sedazione palliativa profonda condivisa con i palliativisti dell’ospedale (e pubblicata sul sito della società italiana di cure palliative, SICP). Fondamentale è stata la formazione sia per la bioetica (Luciano Orsi) sia per le competenze palliative (Raffaella Bertè) sia per quelle comunicative (Valentina Vignola). Formarsi per gestire il fine vita in MEU vuol dire creare una “intelligente reciproca contaminazione” come disse il prof Spinsanti alla SICP2024 tra MEU e CP, coinvolgendo tutti gli operatori (medici, infermieri e OSS).

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

dal nostro archivio

I più letti